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ERA DAVVERO UNA SPADA DI HATTORI HANZO
LOCAL HEROES

Numa Crew



 

 

“Per quanto riguarda la Numa Crew potremmo dire che l’idea, il genere dubstep, lo han fatto conoscere Arge e Tkay, i primi dj siamo stati io (Lapo) e Leo, il primo producer è stato Botz e poi da lì siamo cresciuti insieme. Adesso non è che posso dirti chi è più bravo: ognuno ha il suo ruolo e la sua personalità.”

Se non conoscete la Numa Crew, probabilmente negli ultimi anni vi siete divertiti davvero poco.

Lapo, Leo, Botz, Tkay, Arge, Donni23 e Ninja costituiscono indubbiamente la realtà locale che maggiormente ha varcato i confini nazionali, proponendosi come ambasciatrice italiana per la bass music.

Non chiederci cos’ è la dubstep. I ragazzi sono avvezzi alle interviste e questo è l’incipit della nostra conversazione. Proviamo allora a circumnavigare la domanda.

Leo: E’ un periodo di svolta questo. Nel senso: o si svolta, o non si svolta. Una svolta personale intendo: noi, come Numa Crew, abbiamo iniziato nell’era Myspace, (la prima release a nome Numa Crew, ad opera di Botz, risale al 2007, su etichetta “Elastica”) quindi super diffusione. Questa è una musica digitale, nata in un’era digitale, non come la drum n bass o la jungle.

Lapo: Vero, noi però siamo partiti che la cosa (la dubstep) era già in una fase “di mezzo”. Nel senso che sì, era partita in digitale, internet, ecc però i pionieri del genere, che era non di nicchia ma super-di-nicchia si facevano gli acetati, nessuno suonava coi cd. Noi compravano tonnellate di vinili ed ancora c’era l’idea “vai a sentire il dj se vuoi sentire quel pezzo perché non potrai sentirlo su internet”. Noi abbiamo vissuto la fase di passaggio, adesso la cosa è completamente cambiata. Anche noi siamo cambiati. Lo stesso Skream suona coi cd, per dire. La diffusione della musica, ed anche la longevità di un brano, sono cambiate, tutto si consuma molto prima, un pezzo appena esce è già vecchio perché l’hai sentito per mesi nelle selezioni, o su youtube o su altri canali.

Leo: Si è perso un po’ quel “feticismo” di chi fa parte di una nicchia. Quando tu entri a far parte di un movimento, perché alla fine questo è, un movimento, che nasce e si espande a macchia d’olio anche tramite myspace ed i social network, noi rimaniamo un punto fermo, nel senso che siamo i primi che ci sono arrivati a livello italiano. Ci possiamo considerare i pionieri del genere, però il genere ora sta arrivando al suo picco massimo di diffusione ed anche di trasformazione perché l’evoluzione del genere porta a nuovi stili.

Lapo: Appena si trova “l’algoritmo” del genere, ovvero la formula per fare il pezzo, di solito si dice che il genere è morto.

Leo: Io credo che la nostra forza sia quella di essere legati al genere, ma fino ad un certo punto. Anche a livello di bpm, e se consideri il nostro background, noi veniamo da esperienze musicali molto diverse e questo ti aiuta a leggere la musica in modo molto più globale. Come Numa, essendo molti elementi, ognuno porta il suo influsso, la sua storia.

Lapo: La dubstep ci piaceva, e ci piace ancora, proprio perché all’interno di un set era possibile, penso a quelli di N-type ad esempio o Youngsta, sentire tantissimi generi. Se penso alla serata che abbiamo fatto a Napoli, con Leo e Arge, penso che lì abbiamo suonato veramente di tutto: dubstep, kuduro, dancehall. Non vogliamo essere riconosciuti solo come artisti dubstep: ovviamente il grosso delle nostre produzioni è legata a questo genere, però in generale, il fatto di saper fare più cose e conoscere più generi di musica è una caratteristica alla quale teniamo molto.

Leo: E’ limitante essere associati solo alla dusbtep. Mi sento di rappresentarla ma l’espressione, ripeto, è limitante: noi rappresentiamo la musica di oggi.

Non è paradossale che vi vogliate distanziare dal genere proprio nel momento in cui questo raggiunge la sua massima esposizione?

Leo: Tante persone che ci danno questa etichetta magari alla dubstep ci sono “arrivati” solo adesso. Il genere all’inizio faceva paura, sembrava lento, non ballabile. Adesso tutti vi ci sono avvicinati invece, l’underground è stato risucchiato.

Lapo: C’è da dire che le major inglesi sono diverse dalle major americane. Perché la major inglese prende Skream e Benga, senza distruggere troppo, almeno a mio modo di vedere, il loro modo di fare. Invece la major americana ti prende, ti storpia e ti rende vendibile alla massa. Penso, ad esempio, alla parte dubstep del pezzo di Madonna con M.I.A. A me la cosa che fa più “paura” al momento sono i cantanti hip hop italiani che vanno sulla dubstep.

Leo: Male.

Lapo: Non solo male, senza stile, senza cultura.

Leo: E’ l’attitudine che è sbagliata. Stanno sfruttando la scia, anche giustamente, ma è roba che non ha una gran personalità.

Beh, la cosa era inevitabile no?

Leo: E’ inevitabile ed infatti, quello che voglio dire, è che non mi sento nemmeno rappresentato solo dal termine dubstep. Preferisco parlare di musica a 360, come ho sempre fatto. L’importante è che suoni bene e che rispecchi la mia personalità.

Lapo: Adesso i produttori vanno su internet, si cercano il tutorial e cominciano a fare le cose che suonano cattivissime (mima con la bocca il suono “tritacarne” dei vari Skrillex & company). Tutti fanno la stessa cosa.

Leo: E’ la standardizzazione del tutto. Nel senso, io produco dubstep e faccio manicomio (il riferimento è nuovamente al suono di Skrillex & co. da qualcuno ribattezzato “brostep”) e questa attitudine ha storpiato quella di partenza che era invece una cosa diversa, c’era un’attenzione incredibile al solo tocco di cassa. Ora c’è tutto questa cosa del wobble..

Lapo: Non voglio dire che non mi piaccia ma ha perso il significato.

Leo: Ha perso l’anima. Per cui definirci dubstep può anche andare se per dubstep intendiamo quella che intendo io, cioè non questa roba tipo “Sepultura in versione elettronica” con tutto il rispetto per i Sepultura.”

Quello che sta accadendo è più o meno quello che è successo all’hip hop 10-15 anni fa.

Lapo: Si. Rispetto all’hip hop quello che ci piaceva era l’innovazione, la dubstep era diversa.

Leo: In realtà non so se era diversa, però era quello che volevo sentire.

Lapo: Se andate a sentirvi le cose del 2006-2007 come Digital Mystic, Loefah, Skream, i primi Tempa, Kode9 era tutta un’altra cosa. Prima la dubstep aveva un’altra profondità. Quello che mi da fastidio della dubstep americana non sono tanto i “drop” quanto quello che c’è prima, che è stato sciacallato dal rock e dal pop.

Leo: In maniera super barocca. Nauseante.

Lapo: Skrillex è un grandissimo produttore, ma il suo suono proviene più dal fidget e dall’electro che dal dub. Keep the dub in dubstep.

Leo: Questa è una musica che al 90% gioca sulle basse frequenze e ti picchia sul torace.

Lapo: Quella americana è fatta di synth, viaggia su frequenze medio alte. Anche la struttura dei pezzi è completamente diversa. Io comunque non sono preoccupato di quanto sta succedendo, anche perché vedo poco futuro per questa sua nuova incarnazione. Mi scoccia solo quando le persone si aspettano da me cose che non ho mai voluto fare.

Leo: Quella è apparenza. La profondità di un pezzo è data da un semplice giro di basso. Non vorrei parlare troppo di Skrillex però.

Ok. Quindi voi che direzione prenderete?

Lapo: La nostra direzione in qualche modo era già presente nelle nostre prime uscite, quindi la dubstep col reggae è il nostro punto di forza perché, volenti o nolenti, siamo molto conosciuti per pezzi come Herbalist, Gangsta Na Play, Tuff Africa che sono classici del genere. Ci sono invece pezzi come “Out trip” o “Lock” che sono più sull’afro e c’è poi il lavoro su Voodoo Rebel portato avanti principalmente da Arge.

Leo: L’idea dietro l’etichetta Voodoo Rebel era quella di unire le varie sfaccettature della bass music.

Lapo: Posso anticiparti che assieme a Foster creeremo questa etichetta, 8hz, dedicata alla dubstep sperimentale. Vogliamo tornare indietro, all’elettronica, alla meditazione, al vinile.

Leo: La cosa sarà abbastanza “exclusive”, non saprei usare altra descrizione. Ma molto, molto, valorizzata. Visto che siamo in tema di anticipazioni posso anche dirti che faremo uscire un lavoro sull’etichetta di Dub FX che è Convoy Unlimited. Abbiamo un buon rapporto di amicizia con Ben (Dub FX, appunto) e questo è l’inizio di un bel percorso. Sarà una raccolta di dub mai usciti, una sorta di raccolta del nostro sound dal 2008 all’anno scorso.

Vorrei tornare su due temi che sono emersi fino ad ora, quello dei bassi legati alla meditazione ed il discorso digitale/vinile.

Leo: Quello su basso/meditazione è un trip mio ma credo sia condivisibile. La prima volta che penso di essermi avvicinato alla mia idea di dubstep, ti parlo delle prime cose fatte con Reason nel 2007, è stato grazie ad una linea di basso che creai e che feci sentire a tutti i miei coinquilini per ore ininterrottamente. Un giro di basso che andava da sé, per barre e barre, ed io mi ci rivedo in questa cosa e credo che questa sia la base di questa musica  che molto spesso non viene riconosciuta come tale. E qui si tratta di ignorare quello che c’era prima. Un po’ come quelli di oggi che ti dicono che la tekno è l’hardfloor di adesso.. no, la tekno è un’altra cosa, vatti a sentire cos’era la tekno.

Lapo: Sul discorso vinile/digitale, io devo dire di esser un po’ spaventato perché il 95% dei nuovi artisti sono bit su computer. Hanno il loro facebook, il canale youtube ecc ecc.. non c’è più il lavoro sulle serate, sulla socialità, sull’oggetto fisico vinile. Prima, per sentire certe cose dovevi andare a Londra dove le persone le vedevi e le toccavi, ora è tutto molto più veloce, molto più facile, e questo è buono ma c’è anche il lato negativo della medaglia cioè la svalutazione del tutto. Ti sembra di avere tanti vantaggi ma in realtà la cosa diventa limitante perché sei rinchiuso all’interno del computer e legato all’immagine che la gente ha di te attraverso lo schermo.

Quando vi siete accorti che le cose per voi cominciavano a girare bene veramente?

Lapo: Direi dopo la terza release e, soprattutto, dopo “Herbalist”. Almeno in termini di “fama”.

All’interno della nostra chiacchierata c’è un termine che ricorre più volte, underground. Il sottosuolo materno, che da vita a nuova musica e mal volentieri si separa dai propri figli. Anche se, per i ragazzi di Numa Crew, underground, non è un luogo di partenza ma un’attitudine, uno stato mentale. Praticamente un’etichetta di genuinità ed indipendenza.

Lapo: Secondo me il discorso relativo all’underground non va interpretato come: “non sono famoso, appena divento famoso entro nel giro mainstream.” Tu magari potresti pensare che uno “underground” fa musica meno buona o musica che ancora non è arrivata su palcoscenici maggiori. Invece no. L’underground è un altro canale, un’altra cultura, volendo..

Leo: L’underground è l’evoluzione delle sotto culture.

Lapo: A me non piace il modo in cui viene vissuta e commercializzata l’arte, ora come ora. Costruiamo un altro canale, un altro modo di rapportarsi all’arte. Io me la vivo così. Penso ad “Erba” che è un bootleg illegale del quale non ho neanche i diritti e sul quale non c’è neanche il nome: non è che penso all’erba perché voglio che i ragazzini di oggi si spacchino di canne, l’idea è quella di vendere qualcosa di illegale sottobanco, qualcosa di non convenzionale, che non è considerato legale. Secondo me è un po’ quello il messaggio. Siamo in un momento storico nel quale l’arte è molto sacrificata.

Leo Poter far musica ed arte è il privilegio più grande.

Lapo Vorrei chiudere l’intervista dicendo: noi non siamo affatto “arrivati”. Stiamo maturando, sia dal punto di vista dei messaggi che diamo sia dal punto di vista di capire cosa effettivamente vogliamo fare. Abbiamo fatto tante cose ma dobbiamo ancora capirne altre. Siamo in un buon momento, anche per quanto riguarda quello che cerchiamo di esprimere ai ragazzi: prima pensavamo solo a “spaccare”. Musicalmente stiamo imparando a far suonare bene i pezzi, a capire quali sono le influenze che ci interessano davvero. Quindi non vorrei che si guardasse alla Numa Crew come ad un pacchetto fatto e finito, ad un prodotto pronto per il marketing. Siamo un gruppo di amici che lavora assieme da sempre, che sta costruendo il proprio suono e magari anche qualcos’altro. Se poi fra 5 anni non ci sarà più il gruppo, Leo sarà musicista in un modo, io magari in un altro, però con l’esperienza della Numa Crew che ci ha fatto crescere. Quindi, noi stiamo ancora maturando: se il mondo non finisce nel 2012, il 2013 è nostro! (risate)

 

 

Numa Crew sarà protagonista della serata del 12 maggio assieme a Slesh & Ckrono e Ms Dynamite per l’Outlook Launch Party, all’interno di Fabbrica Europa.

Indipendenti e genuini. Non vorrete mica perderveli vero?

OUTLOOK LAUNCH PARTY

12 MAGGIO dalle ore 23
Stazione Leopolda, Firenze
XIX edizione Fabbrica Europa

Un evento a cura di Switch Creative Social Network e Fabbrica Europa
In collaborazione con Numa Crew, Disco_nnect, Common, Gold, Uma Creative Project, Decibel Eventi, Riot Van, No dump

Per la prima volta in Italia!
MS DYNAMITE (London – Uk) live

Hosted by
Numa Crew (Elastica – IT) dj set
Slesh & Ckrono (Machete Bass – IT) dj set
+ special guests

Ticket 10 euro (+1 euro d.p) disponibile su http://dynamiteflorence2012.eventbrite.com
prenotazioni (10 euro): http://listetelematichedynamite.eventbrite.com/
Infoline e liste telefoniche: 346/0303984 – 346/8577597
maggiori info: http://www.ffeac.org – http://www.switchproject.net

Ticket alla porta 15 euro