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Leoncavallo, lo sgombero che chiude (per ora) cinquant’anni di Milano sociale



Il 21 agosto 2025 lo storico centro sociale Leoncavallo di via Antoine Watteau 7 è stato sgomberato dalle forze dell’ordine in esecuzione di un ordine di sfratto, con la riconsegna dell’immobile alla proprietà. La notizia ha attraversato la città e il Paese come uno schiocco secco: nelle stesse ore sono arrivate le reazioni del governo — “niente zone franche” — e l’irritazione del sindaco Giuseppe Sala per non essere stato avvisato in anticipo dalla Prefettura. L’accesso dell’ufficiale giudiziario era inizialmente previsto per il 9 settembre, dopo numerosi rinvii negli anni.    

Dall’occupazione del 1975 agli sgomberi, fino a via Watteau

La storia del Leoncavallo comincia il 18 ottobre 1975 con l’occupazione di un’ex area industriale in via Leoncavallo 22 da parte di collettivi nati nell’onda lunga del ’68. Nel 1989 il primo sgombero con parziale demolizione, la rioccupazione e poi un secondo sgombero nel 1994; da lì il trasferimento e l’occupazione dello stabile di via Watteau, dove il centro ha vissuto fino al 2025. Negli anni Duemila si è autodefinito Spazio Pubblico Autogestito (S.P.A.).    

Questa traiettoria non è stata solo una disputa immobiliare: ha scandito l’evoluzione dei movimenti milanesi e italiani, traghettando pratiche di autogestione, cooperazione e cultura indipendente nel cuore di una metropoli in rapida trasformazione. Negli anni Ottanta il Leoncavallo è diventato un riferimento nazionale per le sottoculture musicali, mentre nei decenni successivi ha continuato a ibridare politica, arte e socialità.  

Servizi sociali, mutualismo, formazione: cosa ha significato “il Leonka” per la città

Per generazioni, il Leoncavallo ha offerto servizi sociali a basso costo o gratuiti: dall’asilo e scuola materna autogestiti al doposcuola, dalla mensa al consultorio e sportello sanitario, fino agli sportelli migranti. Accanto, la Scuola Popolare di Italiano ha organizzato corsi serali per persone di ogni provenienza. Queste attività — spesso sostenute dall’autofinanziamento e dall’ingresso a sottoscrizione — sono state una rete informale ma stabile di welfare di prossimità in un quartiere popolare come Greco.    

Dentro al Leoncavallo hanno trovato casa anche esperienze come la Cucina Popolare (corsi e cene sociali), laboratori artistici, redazioni radiofoniche e gruppi sportivi; un ecosistema che, in alcuni periodi, ha contato una quindicina di collettivi e associazioni attive contemporaneamente.   

Donne, cura e autodeterminazione

Nella memoria collettiva milanese il Leoncavallo è legato anche alla Casa delle Donne e alle Mamme Antifasciste, esperienze di auto-organizzazione femminista e di cura che hanno attraversato più decenni e generazioni, testimoniando l’intreccio tra pratiche sociali e conflitto politico.   

Un palco che ha fatto la Storia

Il capitolo culturale è sterminato. Sul palco di via Leoncavallo e poi di via Watteau sono passati Public EnemySubsonicaAfterhoursSuzanne VegaMassimo Volume, PunkreasModeselektorGiorgio CanaliWu Tang ClanPorcupine Tree, Marlene Kuntz e decine di scene diverse: punk, hip hop, elettronica, cantautorato. Non era solo programmazione: era una palestra di produzione culturale dal basso, che ha lanciato band, creato filiere tecniche e professionali, e formato pubblico.    

Lo scontro (anche) di diritto: sentenze, rinvii, proprietà

Negli anni lo sfratto è stato rinviato molte volte. Nel 2024 una sentenza ha condannato il Ministero dell’Interno a risarcire i proprietari dell’area (famiglia Cabassi) per il mancato sgombero, mentre nel 2025 la Prefettura ha eseguito l’ordine di rilascio con un blitz anticipato rispetto alla data fissata. Il caso ha riacceso il dibattito su proprietà, usi temporanei e valore pubblico degli spazi sociali.  

E adesso?

Mentre la città discute di ciò che Milano perde con la chiusura del Leonka, si apre uno spiraglio: il Comune sta predisponendo un bando per un immobile in via San Dionigi che potrebbe accogliere parte delle attività, su proposta presentata dall’associazione legata al centro; non è una continuità scontata, ma un’ipotesi concreta sul tavolo. 

Perché lo sgombero del Leoncavallo parla a tutta Milano 

Il Leoncavallo non è solo la storia di chi lo ha attraversato: è una infrastruttura sociale e culturale che, per cinquant’anni, ha reso pratiche la partecipazione, la mutualità e l’accesso democratico alla cultura. La sua chiusura segna la fine di un’epoca — e per molti anche di un’idea di città capace di riconoscere valore alle esperienze autogestite — ma lascia in eredità competenze, reti e desideri che difficilmente si sgomberano con un atto amministrativo. 

Settembre 2025: mobilitazione, assemblee e corteo

In risposta allo sgombero, il Leoncavallo e i suoi sostenitori hanno annunciato una serie di iniziative per settembre 2025:

Assemblea pubblica il 2 settembre

Corteo nazionale il 6 settembre, contro lo sgombero e per rivendicare un nuovo spazio   .

Daniele Farina, attivista e portavoce del centro, ha definito la manifestazione come “nazionale” e propedeutica a contrastare un modello sociale che verrebbe anticipato dalla repressione del Leoncavallo.

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Sul sito ufficiale, la campagna è stata battezzata Giù le mani dalla città: due appuntamenti centrali (assemblea e corteo), l’apertura di una cassa di resistenza, una raccolta firme nel tentativo di mobilitare solidarietà attiva, organizzata direttamente dall’associazione stessa. 

Una nuova vita?

Il cancello di via Watteau si è chiuso, ma ciò che il Leoncavallo ha costruito in cinquant’anni non si cancella: resta il disappunto per la perdita di un pezzo di città, ma anche la speranza che, da qualche parte, un nuovo spazio saprà accendere di nuovo quella scintilla di libertà e cultura che Milano non può permettersi di spegnere.