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Maxi B: La settimana di otto giorni del frontaliero del rap



Il percorso artistico di Maxi B (Maximiliano Bonifazzi) comincia a Varese, per esplodere neanche troppo curiosamente in Svizzera, nel Canton Ticino. Nella sua città natale, già patria di un’altra bandiera del rap italico, gli OTR ovviamente, dà vita al binomio artistico Kaso & Maxi B, ma è col suo secondo progetto, Metro Stars (con Michel Antonietti aka Michel), che il rapper varesino comincia ad esser realmente riconosciuto in Svizzera.

Quell’operazione dà ulteriori frutti nel momento in cui decide di proseguire la propria carriera da solo, pubblicando “Invidia”, disco che diventa un piccolo caso discografico. Tra le perle dell’album si segnala “Destra sinistra”, rifacimento di un brano di Giorgio Gaber, apprezzato anche dalla famiglia dello scomparso cantautore. Arriviamo così al recente “L’ottavo giorno della settimana”, pubblicato per l’italiana Tempi Duri Records, sotto-etichetta della Universal gestita dal cavalca-classifiche del rap italiano per eccellenza, Fabri Fibra. La parola a Maxi…

Sei in tour?
Si. E’ cominciato, mi pare, il 29 gennaio a Palermo. Con me c’è il mio staff, un totale di quattro persone, tra cui Michel.

Quindi non ti sei allontanato poi troppo dal progetto Metro Stars.
In realtà, come persone che si muovono intorno al progetto, no. Come sonorità e come testi siano veramente lontanissimi. Ecco perché abbiamo cambiato il nome mettendo in gioco la mia persona e non gli altri.

Possiamo quindi considerare il progetto Metro Stars concluso o semplicemente accantonato?
No, direi che è un progetto concluso. Poi sai, mai dire mai.

Ok parliamo del tuo ultimo disco allora, “L’ottavo giorno della settimana”.

“L’ottavo giorno della settimana” è il secondo della mia carriera solista. Dopo “Invidia” mi ero imposto di realizzare un altro disco entro due anni. Questo però è molto diverso: “Invidia” era un disco personale, che trattava dei miei sentimenti verso altri rapper. Questo lavoro è invece frutto dei due anni seguenti, oltre 90 date tra Italia, Germania, Repubblica Ceca, Francia, esperienze che neanche potevo immaginarmi.

Quando parlavi della Repubblica Ceca ti riferivi all’Hip Hop Kemp, giusto?
Si esatto il Kemp. Poi sono riuscito ad “attaccarci” altre due date che son state, per me, quasi più belle, dato che la cosa era più incentrata su di me. Sono riuscito anche ad avere dei contatti con TalibKweli, che è uno degli artisti che preferisco. Delle belle giornate.

L’incontro con Tempi Duri come nasce?
Io Fabri lo conosco già da un po’ perché avevo fatto un feat nel 2004 con suo fratello Nesli dove c’era anche lui, e lui invece aveva fatto un feat per me sul disco “Tangram” quando ancora suonavo con Kaso. Poi, per come sono fatto io, l’ho lasciato un po’ perdere, anche perché lui aveva fatto il botto e sembrava di sfruttare quella situazione lì.

Ho iniziato a scrivere il disco e mi mancavano due pezzi, uno dei quali era “Troppo bello”. Avevo quest’idea, che mi sembrava forte, e così una notte gli ho mandato una mail. Saran state le 4 di mattina, mi ha risposto dopo un quarto d’ora. Impressionante. “Non vedevo l’ora, non ci sentiamo da una vita, quello che fai spacca di brutto…” Per cui, mi son detto, meglio di così… Gli ho mandato le cose ed in tre giorni il pezzo era pronto. Mi piace questo di Fabri, è un professionista vero, lavora davvero velocemente.

Così assieme al master decisi di mandargli anche il resto dell’album, in modo che lui si potesse rendere conto della direzione che stava prendendo. Due o tre giorni dopo Fabri mi manda una mail con scritto: “Ferma tutto, il disco è una figata, secondo me dovrebbe esser distribuito da una major non da una indipendente. Se vuoi lo prendo in mano io e ci metto la produzione.” Ovviamente per me è stato un bel salto in avanti ed ho accettato.

A che punto era il disco quando Fibra è entrato in produzione?
Il disco era finito. Mancava la sua canzone e la titletrack. Quindi tutto quello che senti è tutta roba che era già stata fatta prima che entrasse in gioco lui. Non è un disco pensato per la major, è un disco pensato da indipendente.

Guarda, non ci trovo niente di sbagliato nel pensare un disco per la major, non sono un oltranzista dell’hip hop.
Il fatto è che molti mi hanno chiesto se io avessi in mente di fare le canzoni in una certa direzione ed invece ti posso dire che questo è proprio quello che mi sentivo di fare. Tutte le canzoni che ci son dentro le ho volute io.

Quali sono i singoli che traineranno il disco?
Il primo è stato “Dammi il tuo numero” che è stato passato da molte radio.

Il primo singolo per il web invece è stato “Odio ‘sti sfigati”.

Ora invece c’è in rotazione “Controvento” sicuramente il pezzo più radiofonico del disco. A quanto mi hanno detto, almeno un altro paio di singoli ci saranno. Le cose stanno andando bene. Io poi ho anche l’aiuto di uno sponsor che è “Thug Life” che mi aiuta nella promozione.

Come cambia il tuo percorso artistico dopo questa collaborazione con Tempi Duri? E’ solo un discorso legato alla maggiore visibilità o c’è anche altro?
Beh, a parte la maggior visibilità, mi piace l’esperienza che ho fatto con Tempi Duri, quindi avere uno stretto contatto con Fabri, con Paola (Zukar, storica firma di Aelle, oggi manager di Fibra, tra le altre cose)… Serve a farti capire come funzionano le cose ad alti livelli. Quando dico alti livelli non intendo artisticamente, intendo quello che può essere una grossa catena come una major. Mi è servito a rendermi conto che, col mio staff, nel nostro piccolo, lavoriamo già a quel livello. E’ stato bello rendersi conto che da soli siamo riusciti a mettere in piedi un piccolo meccanismo che funziona alla perfezione.

C’è anche il discorso di legarsi alla major senza rimanerci a vita. Io ho firmato per un disco, col prossimo vediamo cosa mi gira per la testa. Non voglio legarmi ad una situazione che possa portare all’esasperazione di alcuni punti di vista o di alcuni metodi. Io ci tengo molto al lato artistico dei dischi. Anche se oggi bisognerebbe ragionare in termini di singoli e di impatto, io resto un amante del fare, su 15 canzoni, 15 canzoni belle. Non 3 belle ed il resto riempitivo. Sono fuori tempo ma questa è la mia ottica. Poi io non riesco a scrivere un disco con un solo “gusto”.

L’idea dietro al disco qual’è?
“L’ottavo giorno della settimana” è il giorno della rinascita. E’ un giorno che non esiste, è un cambiamento di mentalità. Quando vado all’estero, a noi italiani, ci vedono sempre per luoghi comuni. Non si rendono conto che siamo cambiati, che ci siamo incupiti parecchio. La speranza è l’ultima a morire, ma siamo vicini ad una specie di collasso. Quello che ho registrato in giro, è un menefreghismo, un lasciarsi andare pazzesco. Questa cosa mi ha spaventato, ma allo stesso tempo mi ha dato l’idea per fare il disco.

Parli di questa rinascita impossibile, quindi un messaggio decisamente crudo. Tu da dove ripartiresti per cambiare le cose?
La prima cosa da fare è cambiare la mentalità. Ti faccio l’esempio del Nord Europa: lì i ragazzi escono di casa veramente presto, anche se hanno i soldi ed un lavoro. Non ci stanno in casa con i genitori. In Italia ci stanno fino a 40 anni. Già questo è un piccolo messaggio. In Italia il popolo è facile da manipolare, tutti sembrano identici: esce un nuovo artista, tutti gli vanno dietro e tutto il resto non esiste. Non c’è un artista che fa da traino agli altri. In Francia se uno ha successo si tira dietro un po’ di gente. Potrei parlarti della carenza d’istruzione che sta creando veramente dei mostri e quindi tutti devono scappare all’estero. Io non voglio fare la paternale. Però penso che se non si trova da fare nulla qui, bisogna uscire ed andare all’estero. Noi ragazzi italiani siamo poco indipendenti.

A proposito di estero, in Svizzera com’è la scena?
A livello di dj, writer e breaker è molto forte, dagli anni ’80 ormai. A livello di rap, ci sono pochi mc che riescono ad uscire dai confini. Io sono un caso atipico perché sono di Varese ma ho fatto successo nel Canton Ticino. Sono stato accolto benissimo, considerando che sono un italiano che spesso e volentieri “invade” il loro territorio. Anzi, se vuoi, possiamo dire che sono un po’ il portabandiera dei colori ticinesi. C’è Stress che è un ragazzo svizzero-francese. Comunque calcola che ogni due settimane qua c’è un americano o un francese di livello che viene a suonare.

Tu come ti sei avvicinato al microfono?
Dopo un po’ che avevo conosciuto il rap. Mio padre, di ritorno da una vacanza, mi portò due cassettine trovate su una bancarella: erano i primi due dischi degli EPMD. Lui pensò di avermi regalato una merda ed invece…

Non poteva andare meglio!
Esatto, anche perché, e questo lo dico sempre, è stata proprio la musica della rivoluzione. A casa mia si ascoltava musica fichissima, Jimi Hendrix, i Beatles, gli Zeppelin. Però era la loro musica ed io stavo cercando la mia. Io non avevo mai sentito una cosa del genere e me ne sono innamorato. Calcola che per almeno un anno ho ascoltato solo quelle due cassettine! Poi ho scoperto che al mondo c’era altra gente che ascoltava quel suono. C’erano gli OTR a Varese che avevano la sede vicino a casa mia: i primi che ho conosciuto sono stati loro, essendo di lì.

Mi sembrava strano che non venisse fuori il nome degli OTR prima o poi.
Eh, beh, quello è ovvio. Se sei di Varese loro sono la grande bandiera. Poi ci siamo stati io e Kaso, adesso c’è E.Green. Il microfono è venuto dopo. Io son partito col freestyle del quale ero un invasato. Poi, passato quello sfogo, ho capito che volevo scrivere canzoni: io ho sempre scritto. Nella vita faccio l’autore, per cui faccio rap, scrivo libri, scrivo racconti brevi, scrivo programmi radio o tv.

Ti sei cimentato anche nelle altre discipline dell’hip hop?
Ho provato con le bombolette, mi piaceva moltissimo, lo facevo di notte, erano più che altro cose illegali, era quella la sensazione che mi piaceva. Mi piacevano i treni, il nome che viaggiava, però ho capito subito che non ero portato per diventare uno dei più bravi. Caratterialmente preferisco fare poco a livello alto che fare tutto ma male. Quindi ho mollato abbastanza presto. Niente breaking, ho provato un po’ come dj, più che altro perché non sapevo bene che direzione prendere, ma la scrittura è stata da subito la mia disciplina.

Mi ha incuriosito questo tuo ruolo di autore. Posso chiederti cosa hai scritto o dove collabori?
Scrivo un programma che si chiama “Ghetto blaster” su quella che è la Rai svizzera, in radio, in prime time. Collaboro anche con la RSI, la tv nazionale, dove mi chiamano per scriver dialoghi. Ho scritto per giornali, per fare un confronto, una sorta di “Tv sorrisi e canzoni” svizzero. Qui ho trovato terreno fertile per quanto riguarda il lavoro. Quelli che vanno a lavorare in Svizzera si chiamano i frontalieri.

Di solito sono muratori o elettricisti. Io lo faccio con la scrittura. In realtà il più del lavoro lo faccio da casa, adesso ho in programma di far uscire un libro, ma devo capirne anche tempi e modalità. Ho due romanzi finiti, una è un’autobiografia che mi è stata “imposta”, e un altro è un romanzo vero e proprio che non c’entra con me e non c’entra col rap. Infine, nel famoso cassettino, ho 150-200 racconti brevi che vorrei racchiudere in un libro.

Frontalieri che, se non ricordo male, furono accusati di aver rubato il lavoro agli svizzeri.
Come no. Tu calcola che mio papà è frontaliere dagli anni ’70, ogni giorno Varese-Lugano. Quello che gli italiani erano negli anni ’70 e ’80 adesso in Svizzera lo sono diventati gli slavi ed i turchi. Quindi la minoranza che arriva, prende il lavoro… Gli italiani adesso sono abbastanza inseriti.

La manovalanza, quindi…
Si, come ti ho detto prima, meccanici, elettricisti, quelli che fan le strade… sicuramente non quelli che lavorano in banca, questo è ovvio. Io lo sono sempre stato, infatti c’è un po’ questo dilemma su di me, tutti pensano che sia svizzero perché sono spesso “di qua”. In realtà io sono in italiano, di Varese, e per molti di Varese è facile andare a lavorare in Svizzera perché ci vuol mezz’ora di macchina e le paghe sono migliori.


I frontalieri rappresentati come ratti, che rubano il formaggio agli Svizzeri, nel poster di una recenta campagna lanciata dalla Lega del Canton Ticino.

Il mio non è un lavoro di manovalanza, è un lavoro molto più libero che posso fare da casa per poi consegnare il materiale. Il fatto di rubare il lavoro… Mi ricordo anch’io questa campagna che è stata buttata fuori. Io ne sono stato uno dei più grandi contestatori, anche perché essendo un nome grosso qua, ho messo in piedi un bel battage per fare sentire la voce dei frontalieri. Io ho fatto l’esempio di mio padre e di mia madre: si svegliano tutti i giorni alla sei e non hanno rubato il lavoro a nessuno. Fanno un lavoro che nessuno vuole fare, questa è la verità. Tra l’altro sono sotto pagati rispetto ad uno svizzero perché non è che i frontalieri sono più pagati rispetti agli svizzeri. Sono pagati più di un italiano in Italia, ma sono sicuramente pagati meno di uno svizzero, quindi c’è anche un guadagno da parte delle aziende svizzere nel prendere gli italiani a lavorare.

Ultima domanda. Considerata la spinta promozionale maggiore che stai ricevendo rispetto al passato, immagino che vedrai questo disco come un passo importante nella tua carriera. Che aspettative hai?
Il ragionamento che ho fatto da quando ho cominciato a pensare come Maxi B, quindi come solista, è proprio quello di non averne. Sono partito come indipendente, adesso sono distribuito major, quindi la mia idea è di salire sempre di più. Questo è quello che io mi aspetto da me, non dagli altri. Se non dovessi rinnovare la firma con Tempi Duri per me non sarebbe una sconfitta, perché artisticamente e musicalmente sto migliorando di disco in disco. Questa è una cosa che mi viene riconosciuta un po’ da tutti e questo è quello che io voglio per la mia carriera: non avere punti morti ed arrivare sempre più in alto. Quindi le mie aspettative sono già state superate, perché se calcoli che per Fabri, e per quelli che tengono in mano Tempi Duri, il disco sta andando bene, ho già ampiamente superato il mio esame. Dunque non ho aspettative in quel senso. Passerò un annetto a promuoverlo ed i nuovi pezzi, che sono già pronti, andranno sul prossimo mixtape o sul prossimo disco.

C’è qualcosa che vuoi aggiungere?
Venite ai live. Quella è una fase mia dove mi ritengo molto forte. Il fatto che ci sia sempre più gente ai live mi fa capire che quella è la direzione del futuro. Dischi se ne vendono sempre meno, quindi ora diventa molto importante l’aver fatto una bella gavetta dal vivo. Io quando vado a vedere artisti nazionali o internazionali spesso rimango deluso da gente che non chiude le rime o non sa tenere il microfono.

Beh, a questo punto, il nome di uno che ti ha deluso me lo devi proprio fare.
Di americano sicuramente Nas. Chi invece mi ha impressionato sono gli Iam: mi han proprio cappottato. Altri americani forti… Jay-Z. Fabri è forte e non lo dico perche siamo in contatto. Ho visto la data del Controcultura Tour e devo dire che è proprio forte. Prima era introverso, non parlava con la gente, adesso è a livelli molto alti. E non è questione dell’entourage che hai dietro, perché poi sul palco ci sei tu, e a quel punto o ci sai fare o non ci sai fare. O ancora potrei dirti gli MOP o i Dilated People. Ecco, i Dilated People, quello è lo standard che bisogna avere. Allora, lì, puoi dire che stai facendo lo show e magari uno che non ascolta rap può capitare al tuo live. Se invece si va avanti a fare cose improvvisate e basta… L’improvvisazione ci sta eh, però se è tutto così poi la gente si stufa.