STORIES
Palestina, scendere in piazza è un esempio di civiltà anche per i nostri ragazzi
di Filippo Bernardeschi23 Settembre 2025
Foto di: Hosny Salah, reporter palestinese originario della Striscia di Gaza
Quello che sta accadendo – che continua ad accadere – in Palestina, è tragico e catastrofico.
Tragico prima di tutto per i palestinesi, stretti come pesci in una tonnara, ai quali è dato scegliere (nel migliore dei casi) fra perdere la vita e perdere la terra – vale a dire ogni bene materiale – per un futuro dove l’unica coordinata certa sembra essere la povertà assoluta.





Ed è catastrofico per le fragili coscienze di noi occidentali. Anche quelle di chi non è interessato. Anche quelle di chi preferisce voltarsi altrove. Anche quelle di chi la pensa diversamente.
Come acqua che sgocciola da una tubatura nascosta, gli effetti devastanti dell’offensiva israeliana raggiungono i nostri salotti interiori più riposti. Ben presto pezzi d’intonaco cadranno sulle nostre teste e alcuni di noi si chiederanno ammutoliti quale ne sia la causa.
Questi pezzi d’intonaco sono i nostri figli.
Io non ne ho, ma lavoro con bambini e adolescenti da oltre vent’anni. E vedo già nei loro occhi, parole e gesti, i segni della mancanza di autorevolezza o dell’eccesso di autorità e il disorientamento che ne consegue, spesso dovuti al dissesto famigliare.
Il gesto violento di Israele, e ancor più il balbettio dei governi occidentali incapaci di un atto di coraggio – chiudere i rapporti con lo stato ebraico almeno fino al cessate il fuoco – sanciscono in modo inequivocabile la preminenza della legge del più forte.
Molti sottovalutano l’effetto che questo disprezzo delle regole del diritto internazionale e dell’etica umana avranno sui ragazzi di Gaza e su quelli di uno sperduto paesino di provincia italiano.
Questo sciame di violenza fisica e verbale costellato di menzogne e manipolazioni mediatiche si concretizzerà in un voto di morte nel peggiore dei casi (terrorismo, e sto pensando ai bambini di Gaza) e in un modello comportamentale basato sul disprezzo delle istituzioni nel migliore (vandalismo, bullismo, e sto pensando ai ragazzini italiani).
Incapaci di una reazione adeguata, i nostri governi stanno ipotecando il sistema di valori della nostra civiltà e, di conseguenza, dei nostri giovani.
Non dobbiamo dimenticare che la patria è una sorta di genitore surrogato. E ogni qual volta un genitore tradisce i valori che ci ha insegnato, la nostra mancanza di fiducia lievita.
Secondo Save the Children, che a sua volta riporta i dati dell’Ufficio Stampa del Governo di Gaza, in quasi due anni di conflitto sono morti 20.000 bambini. È una cifra enorme, traducibile in un bambino palestinese ucciso ogni ora, come fa notare l’organizzazione umanitaria. Se questo non bastasse (effetti collaterali, dicono alcuni) il Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti delle persone con disabilità segnala altri 21.000 bambini rimasti invalidi a vita.
Le onde sismiche di questo crimine, consumato a pochi passi dalla nostra nazione scuotono le fondamenta del quieto vivere in cui vorremmo crogiolarci e a poco a poco penetrano, interrogandoci, nella struttura stessa del nostro sistema sociale.
Perciò, la posta in gioco a Gaza è alta, anzi altissima, e si contende fra due voci. Una, grida: vincono solo i più forti. L’altra, al momento flebile ai piani alti dei palazzi che contano, sta cominciando invece a prendere vigore mentre sale dal basso.
Sono i portuali di Genova, Livorno e Ravenna.
Sono gli attivisti della Global Sumud Flotilla, armati del coraggio che manca a tanti politici.
Sono insegnanti che sacrificano (rendono sacre) ore d’insegnamento per discutere coi loro studenti quanto sta accadendo dall’altra parte del Mediterraneo.
Sono uomini e donne del mondo dello spettacolo che si espongono rischiando la carriera (ancora troppo pochi).
Sono migliaia di cittadini e cittadine di ogni età che stanno invadendo le piazze di tutta Italia con manifestazioni e presìdi e ufficialmente gridano: Palestina libera.
Ma implicitamente affermano: esistono ancora lealtà, coraggio e coerenza, ragazzi.