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Facebook vuole il tuo voto!!! Democrazia? O presa in giro?




Grafica di Guido Martini.

I seggi restano aperti fino a domani, venerdi’ 8 giugno, alle 18:00 ora italiana. E non stanno dentro una scuola o un ufficio comunale: stanno dentro al tuo computer! Facebook ha chiesto infatti a tutti i suoi utenti di dire la loro, votando “si'” o “no” come in un referendum, sulla nuova versione delle norme sulla privacy che si prepara ad adottare. Con 900 milioni di potenziali elettori questa e’ la piu’ grande votazione mai organizzata. Qualcuno sostiene addirittura che sia una svolta epocale per la democrazia (dopotutto potresti mai immaginare marchi come Apple, Microsoft, Sony o Samsung che fanno votare la loro clientela?). E quindi? Tu hai votato? Sai come si fa’? Hai la piu’ pallida idea della posta in gioco? Te ne frega qualcosa?

Ok, facciamo un bel passo indietro e torniamo all’inizio di questa strana storia. Se Facebook ha indetto questa consultazione e’ in un certo senso tutta colpa di Max Schrems. Max ha 24 anni e studia legge presso l’universita’ di Vienna. Ovviamente, come qualsiasi coetaneo che non sia un eremita, usa Facebook. E a un certo punto gli e’ venuta la curiosita’ di capire meglio che cosa i gestori del social network registrano e archiviano di tutte le attivita’ che lui ci svolge sopra. Questa e’ una domanda che un sacco di altra gente probabilmente si e’ posta. E che subito dopo ha accantonato, pensando che e’ un mistero insolubile da nerd incalliti.

Ma Max ha l’idealismo di un avvocato in erba. E forse un pizzico di pignoleria teutonica. Cosi’ e’ andato a controllare le informazioni societarie dell’azienda. Ed ha notato che i servizi internazionali di Facebook sono gestiti da una sussidiaria di diritto irlandese (quel paese e’ ben noto per i forti sconti fiscali che offre alle multinazionali high tech). Questo vuol dire che a norma di legge Facebook deve rispettare le direttive europee sulla privacy. E uno dei principi sanciti da quelle direttive e’ che l’utente di un servizio digitale ha diritto di conoscere quali dati personali il fornitore ha accumulato su di lui. Max si e’ allora preso la briga di scrivere una bella lettera, composta nel gergo legale appropriato, chiedendo una copia di tutto quello che i server di Facebook sapevano su di lui. E poi ha aspettato.

Quando la risposta e’ arrivata pesava quanto una secchiata di mattoni. In un stampato di ben 1222 pagine, Max ha ritrovato tutto quello che aveva mai pubblicato sul sito, inclusi wall post e messaggi che aveva cancellato, e molti altri dati raccolti in automatico, come il numero di IP di ogni computer da cui si era collegato al sito, un’informazione da cui si puo’ facilmente dedurre in quale luogo lui si trovava in certi giorni e in certe ore. Insomma un diario dettagliato di tutta la sua vita.

Come la stragrande maggioranza degli studenti universitari, Max sostiene di non avere nulla di particolare da nascondere. Fa una vita normale. Forse banale. Ma quella mole immensa di dati l’ha lasciato perplesso. “E’ un po’ come avere una telecamera accesa in camera tutte le volte che fai sesso,” ha spiegato lui. Anche se non sei un pervertito, anche se quella registrasse solo i tuoi amplessi con la fidanzata, sarebbe inevitabile provare un certo disagio. E chi puo’ mai dire che uso potrebbe essere fatto di quel diario ultra dettagliato fra 20 o 30 anni? Un’innocente marachella di gioventu’, o anche un commento infelice postato mentre sei mezzo addormentato, puo’ assumere un tono completamente diverso a distanza di decenni, fuori dal contesto in cui era nato. La nostra memoria umana con il tempo dimentica tante cose. Gli hard drive di un computer ricordano quello che c’e’ scritto sopra per l’eternita’.

Max ha contattato allora l’autorita’ di tutela della privacy irlandese, segnalando che il comportamente di Facebook gli pareva in violazione delle leggi in vigore. Quella ha iniziato un’indagine. Poi ha aperto un caso legale presso un tribunale tedesco, provocando un’inchiesta della magistratura locale. Ed e’ andato a bussare persino alle porte delle autorita’ comunitarie di Brussell, attivando un altro fronte di controlli e verifiche ufficiali. La storia della sua micro crociata e’ stata rilanciata da molti media di lingua tedesca, spingendo almeno 40.000 persone a richiedere a Facebook copia dei loro dossier personali.

Ora, se fai lo sforzo di andare a leggere i termini e le condizioni con cui Facebook ti offre il suo servizio (e non e’ una cosa facile: sono dozzine e dozzine di pagine scritte in legalese stretto), ci trovi delle affermazioni all’apparenza rassicuranti. Facebook dichiara che il proprietario di tutto quello che posti sul social network sei tu. E che quello che tu cancelli, lui lo fara’ sparire anche dai suoi server (non subito, perche’ ci sono varie copie di back up, ma eventualmente…). Nelle pieghe di quei documenti legali ci sono pero’ dei “ma” grandi come case. Certo, ufficialmente il proprietario dei dati sei tu, ma nel momento stesso in cui cominci ad usare il servizio concedi a Facebook una licenza d’uso gratuita di tutto quello che posti. E quella licenza e’ trasferibile a terzi, a discrezione dell’azienda, senza alcun dovere d’informarti o di chiederti il permesso. Che e’ un po’ come dire che anche se il padrone di casa sei tu, Facebook si tiene una chiave della porta, con il diritto di distribuirne delle copie ad altra gente che non sai nemmeno chi sono…

Per la maggior parte degli utenti di Facebook questo non e’ un gran problema. Mantenere in funzione un social network usato da quasi un miliardo di persone costa inevitabilmete una barcata di quattrini. Ed e’ facile pensare che un certo traffico dei tuoi dati personali, per far felici gli inserzionisti pubblicitari, sia uno scotto minimo da pagare in cambio di tutto quello che Facebook ti offre assolutamente gratis. Anche la tv funge cosi’, no? In cambio di film e sceneggiati ti devi sorbire un certo numero di spot. Perche’ stare a far tanto baccano?

Ebbene, qui ci sta’ bene un’altra storia, che e’ quella di Nick Bergus. Nick ha 32 anni, vive al centro dell’America in Iowa, lavora come produttore multimedia ed usa Facebook. Lo scorso San Valentino, mentre gironzolava sul sito di Amazon, gli e’ capitato sotto gli occhi un prodotto davvero bizzarro: un barile da 55 galloni (poco piu’ di 200 litri) di “lubrificante personale”. Senza pensarci troppo Nick ha copiato quel link e l’ha postato su Facebook, aggiungendo il commento: “Per il giorno di San Valentino. E ogni altro giorno. Per il resto della tua vita.” Una bella battuta, giusto? Beh, non solo: nel giro di qualche giorno la facciona sorridente di Nick e quel suo commento sono diventati una pubblicita’, generata da un algoritmo automatico di Facebook e sponsorizzata da Amazon, che ha cominciato a tartassare il network dei suoi amici!

Facebook chiama questo genere di annunci promozionali “sponsored stories”, e pare deciso ad espanderne l’uso il piu’ possibile, perche’ secondo le sue analisi gli utenti cliccano almeno il 50% di piu’ su delle pubblicita’ che mostrano il nome e la foto di un amico. Per gli inserzionisti le “sponsored stories” hanno il vantaggio addizionale che non richiedono di ingaggiare un’agenzia pubblicitaria (lo slogan dell’annuncio e’ il tuo commento) o di sborsare soldi per un testimonial famoso (il testimonial non pagato sei tu, che ovviamente famoso non sei, ma conosciuto dai tuoi amici invece si’). E in base a quale criterio l’algoritmo di Facebook decide di selezionarti come mascotte di un prodotto? I dettagli precisi sono un segreto industriale, ma la trasformazione puo’ essere attivata da un’azione banale come cliccare su un “Like”.

Prova a pensare ora a tutti i “Like” su cui hai cliccato di recente. Ce ne sono sicuramente molti legati a cose, persone o affermazioni che veramente ti piaccione un sacco, e con cui magari saresti fiero di essere associato pubblicamente fra tutta la gente che ti conosce. Ma ce ne sono sicuramente anche molti altri che hai cliccato per scherzo, per fare dell’ironia, o perche’ volevi aggiungere certe informazione nel tuo feed, o anche perche’ speravi di ottenere uno sconto, un piccolo premio, un’oppostunita’ di business e chissa’ quante altre ragioni. In tutti questi casi l’idea che tua zia o il tuo datore di lavoro possa ritrovarsi davanti alla foto della tua faccia che funge da imbonitore commerciale magari non ti sta’ tanto bene. Vuoi evitare che questo succeda? Spiacente ma non puoi. A norma di regolamento Facebook considera i tuoi “Like” e i tuoi commenti come news, ovvero materiali che e’ libero di riusare come gli pare per offrire un’esperienza migliore agli altri utenti del sito!

Tutto questo dovrebbe dimostrare che i risvolti della privacy (o meglio della sua mancanza) sono molto piu’ bizzarri e inaspettati di quanto uno possa inizialmente pensare. Facebook, dopo il mezzo flop della sua quotazione in Borsa, ha un gran bisogno di dimostrare ai suoi nuovi azionisti che e’ in grado di aumentare rapidamente gli incassi. E le tue preferenze, i tuoi post, i tuoi commenti, sono la valuta piu’ preziosa che ha a disposizione per convincere gli inserzionisti pubblicitari che puo’ invogliare la sua utenza a comprare i loro servizi e prodotti in modo piu’ efficace di qualsiasi altro media. Le “sponsored stories” sono solo la prima arma, forse ancora un po’ goffa, in questa grande operazione di persuasione.

Un’obiezione scontata e’ che nessuno e’ obbligato a stare su Facebook. Non ti piace la mole di dati privati che i gestori del social network accumulano su di te? Non ti piace come li rivendono? Non ti piace come li usano? Puoi sempre andartene… Ma questo ormai non e’ piu’ cosi’ vero. Come molte altre tecnologie moderne Facebook genera quello che gli esperti chiamano un “effetto network”. Per fare un parallelo pensa al telefono. Una volta, tanto tempo fa, il telefono era un lusso che possedevano solo poche famiglie. La maggior parte delle persone vivevano benissimo anche senza. Ma poi il telefono si e’ diffuso. E piu’ gente ha cominciato ad usarlo piu’ e’ diventato utile. Fino al punto che oggi non e’ piu’ possibile vivere senza (come puoi trovare un lavoro o mantenere una relazione senza un telefono?). Facebook sta rapidamente raggiungendo la stessa fase (se oggi sei un teenager, e non hai un account su Facebook, sei di fatto condannato a vivere un’esitenza da disadattato). E questo ci riporta alla storia di Max.

Da buon aspirante avvocato, Max non e’ affatto contrario all’idea che Facebook faccia quattrini. Vorrebbe solo che rispettasse le leggi. Come qualsiasi altro business. Dando semplicemente ai suoi utenti piu’ controllo sui dati che li riguardano. Ma quando i dirigenti dell’azienda hanno accettato d’incontrarlo, lui ha concluso che sulla questione della privacy loro proprio non ci sentono. Anzi, nonostante le pressioni delle autorita’ europee, quando la ditta ha recentemente deciso di modificare le norme che regolano l’uso del servizio, lui ha notato che la nuova versione prevedeva meno privacy invece che di piu’. Nei termini d’uso ancora in vigore c’era pero’ un codicillo interessante. Quel codicillo diceva che Facebook ha il diritto di modificare le regole quando vuole, ma deve offrire un preavviso minimo agli utenti, e che se quelle modifiche provocano almeno 7,000 commenti, deve sottoporre la nuova versione ad un referendum.

Presto fatto: Max e la banda di giovani che ormai si sono uniti alla sua battaglia hanno lanciato una campagna di hacktivismo online, riuscendo a convincere oltre 7.000 persone a postare commenti in inglese, piu’ 40.000 in tedesco, e costringendo quindi Facebook a proclamare il referendum che si concludera’ domani. E adesso possono vincere? No, e’ estremamente improbabile, anzi praticamente impossibile. Sempre secondo le regole che Facebook si e’ dato, i risultati di quel referendum saranno infatti vincolanti per l’azienda solo se votera’ almento in 30 per cento della base di utenti. In una tornata elettorale tradizionale un quorum di partecipazione al voto del 30 per cento sembrerebbe bassino. Ma il popolo di Facebook conta quasi un miliardo di persone, sparse su tutto il pianeta, separate da dozzine di linguaggi diversi, ignare a stragrande maggioranza che questo referendum e’ addirittura in corso (i manager della ditta si sono ben guardati dallo spiegare di cosa si tratta o dal pubblicizzare il link che porta alla cabina elettorale).

La conclusioe e’ quindi semplice: queste elezioni non hanno nulla a che fare con la democrazia, perche’ Facebook non e’ una nazione, una comunita’ di liberi cittadini, uguali di fronte alla legge, che scelgono come vogliono essere governati in base al principio di un uomo un voto. Facebook e’ un’azienda, con dipendenti, azionisti, investitori, inserzionisti pubblicitari, che e’ tutta un’altra cosa. Questo pero’ non vuol dire che Max e i suoi amici siano pronti a gettare la spugna. Facebook sa benissimo che se non vuol fare una fine ignobile come MySpace non puo’ scontentare troppo chi lo usa. Deve insomma trovare il giusto equilibrio fra l’esigenza di monetizzare la sua base d’utenza e quella di non irritarla con programi pubblicitari troppo invadenti. E in questo senso anche il tuo voto piu’ davvero servire a qualcosa. Prova. Basta un click!

La cabina elettorale di Facebook: Facebook Site Governance Vote

Il sito lanciato da Max Schrems: Europe vs. Facebook