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La lunga notte del cambiamento climatico



Foto in alto: a cura di Yves Bernardi

Mi giro e rigiro nel letto come su uno spiedo. Il lenzuolo si attacca alla pelle, lo scosto con fastidio ma anche così il caldo non passa. Prima un fianco. Poi l’altro. La finestra aperta lascia entrare solo il tempo scandito dal campanile, nessun refolo, neppure minimo. Vado in bagno e nel cuore della notte mi concedo un pediluvio rinfrescante. Il sollievo dura giusto il tempo di tornare a letto. La fronte è umida. È come se il mondo fosse stato immerso in un caldo brodo. Decido di spogliarmi completamente ma pure questa non è una soluzione. Allora, impudicamente, disperatamente, mi sdraio nudo sulle mattonelle e ottengo l’agognata frescura: peccato che la location sia maledettamente scomoda. Non riuscirò a dormire, sarà una lunga notte.

Per l’esattezza, quella dell’estate 2003, quando ancora non c’erano climatizzatori installati in casa mia e di cambiamento climatico si parlava poco. Oggi ascolto il climatologo Luca Mercalli definire quella lontana estate “la prima estate tropicale in Europa occidentale“, che nei mesi di luglio e agosto avrebbe mietuto circa 70mila vittime. Da allora, di passi avanti se ne sono fatti molti. E molti altri se ne sono fatti all’indietro, un po’ come quel giovane che nel 2003 non trovava pace nel suo letto di brace.

Luca Mercalli, climatologo e divulgatore scientifico

Oggi queste due parole – cambiamento climatico – sono sulle labbra di tanti, e forse tutti ne conoscono il significato, fosse anche solo per negarlo. L’anno di svolta, in questo senso, è stato probabilmente il 2019: da allora si susseguono i moniti e gli appelli del Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres; sempre nel 2019 un gruppo di 11mila scienziati ha messo in guardia sull’emergenza climatica che avrebbe portato a “sofferenze umane incalcolabili” se non fossero stati compiuti grandi cambiamenti.

Nel 2019, infine, è stato lanciato il Green Deal europeo, un pacchetto di misure volte a raggiungere la neutralità climatica tramite l’abbattimento delle emissioni di gas a effetto serra. Nonostante ciò, molti punti di non ritorno sono stati superati. Ad esempio per quanto concerne la condizione del permafrost, o la deforestazione della foresta amazzonica.

La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana, ph. Greenpeace Brasile

Ma soprattutto: abbiamo raggiunto i livelli massimi di CO2 da milioni di anni. Solo nell’ultimo secolo, ciò ha comportato l’aumento di 1°C della temperatura media globale. Sui fenomeni metereologici estremi invece occorre prudenza. Non tutti sono connessi o riconducibili al cambiamento climatico (che ormai dovremmo chiamare Crisi Climatica, e vedremo perché).

La loro frequenza e virulenza, tuttavia, si è intensificata, e questo è un indizio che le cose sono cambiate. I fenomeni di questo tipo si dividono in rapidi e lenti. Alla prima categoria sono da ascrivere il record di acqua alta a Venezia nel 2019, le alluvioni che hanno ripetutamente colpito Genova e l’Emilia Romagna, o quanto accaduto in Val di Fiemme nell’ottobre 2018, con venti oltre i 200 km/h e record di alberi abbattuti, per non parlare della terribile alluvione che ha flagellato il sud-est della Spagna nel 2024.

Spagna, la città di Valencia dopo l’alluvione del 2024 (AP Photo/Alberto Saiz)

La tropicalizzazione dei nostri mari è un fenomeno lento, che ha fatto largo alla Caulerpa Taxifolia, alga tossica fra le più invasive. Lo scioglimento dei ghiacciai è un fenomeno che – se mai è stato lento – appare oggi del tutto evidente. Mentre i fiori “inseguono” i ghiacci in ritirata, questi si riducono, e si frammentano, così possiamo dire che i ghiacciai sono in aumento – oltre 900 – ma non è una buona notizia: la frammentazione è in molti casi il preludio alla loro scomparsa. Gli scienziati stimano che la gran parte dei ghiacciai delle Alpi al di sotto dei 3.600 metri sparirà entro il 2100. La COP30 di Belém, in Brasile, si è da poco conclusa senza mettere insieme una roadmap condivisa per l’uscita dai combustibili fossili.

Ghiacciaio del Gorner, Monte Rosa – Ph. ChiemSeherin

Appare logico chiedersi dove andremo a finire. L’IPCC, pannello intergovernativo sui cambiamenti climatici, traccia due rotte. Per agevolare la comprensione, usiamo l’immaginazione: la Terra è una piccola biglia e il sentiero sul quale corre a un tratto si biforca. Da un lato lo scenario denominato “prudente”; dall’altro, simile a un inferno su misura (una sorta di ricorrente notte 2003, se vogliamo, ma ben più grave) lo scenario “catastrofico”.

Il primo, lo scenario prudente, accade se riusciamo a contenere l’aumento di temperatura non superiore ai 2°C entro il 2100. In tal caso, il livello del mare salirà di circa 0,5 metri. Sarebbe un pessimo risultato ma è quanto di meglio a cui possiamo aspirare al momento. Il secondo scenario – quello catastrofico – avverrà con un innalzamento della temperatura di ben 5°C entro fine secolo e un conseguente innalzamento del mare pari a 1 metro.

Ph. DominikRh

Questo scenario prevede che entro il 2070 oltre 3,5 miliardi di persone si troveranno fuori dalla nicchia di sopravvivenza climatica. Soprattutto India e Arabia tenderanno a essere invivibili. Ma questo non può consolare.

Le migrazioni di popoli che ne deriveranno potrebbero innescare conflitti di portata globale. Eventi estremi, come l’ondata di calore che ha investito il Canada nel 2021, con picchi di 49,6 °C e molluschi cotti vivi sulle rocce troppo calde, diverranno più frequenti. “Non abbiamo tempo” continua a ripetere Luca Mercalli. “Al massimo una decina d’anni per curare il malato grave“. Al momento, infatti, siamo in rotta non per i 2°C ma per 5°C. Lo scenario catastrofico è a un passo. E a quel punto, sarà una lunga notte per i nostri nipoti.