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Sònar di giorno quanto è bello. Ma la notte…



Premessa necessaria: ogni reportage dal Sonar è necessariamente parziale. Non solo per la soggettività dei gusti ma, anche e soprattutto, per l’impossibilità di assistere a tutti gli act dello straripante programma con quattro palchi di giorno e tre di notte che, in contemporanea, macinano live e dj set (senza considerare l’area pro con le installazioni, le conferenze e la sala cinema).
Abbiamo cercato il kit dell’ubiquità su eBay ma non siamo riuscito a trovarlo ad un prezzo abbordabile per cui ci siamo dovuti affidare ad un ottimo strumento disponibile gratuitamente sul sito del festival: si chiama MySonar e praticamente ti permette di organizzarti una rigorosa timeline con le cose che proprio non vuoi perderti. Te la stampi o te la porti in giro sul tuo device preferito e quella ti fa da nostromo tra tendoni, pratoni e padiglioni.
Questa volta io e il mio fido socio Jeff Raniero abbiamo voluto far le cose per bene e siamo arrivati a Barcellona il giorno prima dell’inizio, giusto in tempo per ritirare gli accrediti, beccare la nostra basista locale Nadine Dogliani (ve li ricordate King David Warriors?), passare a salutare un po’ di amici buoni che coltivano sane passioni in terra catalana e fare un giretto dalle parti del MACBA alla scoperta dei nuovi negozi di vinile che stanno invadendo il quartiere, alla faccia della tanto paventata crisi di vendite dell’industria musicale. Quello che riesce a trattenere per più tempo i nostri polpastrelli avidi è il Paradiso al 39 di Calle Ferlandina. A parte la prima sala, riservata agli ultimi arrivi, le chicche si trovano soprattutto nel retrobottega letteralmente stipato di preziosissima roba vecchia, stampe fuori catalogo e usato in ottime condizioni e prezzi abbordabili. Qui scopriamo che i venti della scena Skweee nordeuropea sono arrivati anche in Spagna e per la notte i ragazzi del negozio organizzano un party che riunisce alcuni dei migliori producer locali. Ma c’è da tenersi freschi per il primo giorno di full immersion festivaliera quindi si fa i bravi e si va a nanna presto.

Il giovedì mattina si comincia di buona lena e la prima sorpresa la becchiamo sul palco che, ancora una volta, si dimostrerà il migliore di tutto il festival per qualità ed originalità delle esibizioni: il Sonar Dome ravvivato dai colori di Red Bull Music Academy. È qui che ci imbattiamo nella scoperta del giorno Exeter: produttore, vocalist e multi strumentista canadese capace di rielaborare la tradizioni beat della scena losangelina col talento di un mutante derivato dall’incrocio tra Prince, Tom Waits e Panda Bear. Il risultato è soul music buona per il nuovo millennio.
I migliori live e dj set che si sono succeduti su questo palco li potete riascoltare qui.

Nel frattempo, sul palco più assolato e mastodontico del festival, il Village, arriva la corazzata Brainfeeder guidata dal grande capo Flying Lotus che suona per ultimo e ci delude non poco, reiterando la formula dei beat spezzettati con gli insert sognanti che in certi momenti pare mostrare la corda. Ma il fatto che sia Los Angeles l’epicentro di un suono che continua a regalare brillante futuro al concetto di Hip Hop arriva dalle ottime esibizioni di Jeremiah Jae e Lapalux. L’Art Hop di cui è artefice il primo – la definizione è sua – è il perfetto punto di fusione tra il suono duro di Cichago e l’anima funk della città degli angeli, studiato nel laboratorio di uno che sa fare il rap, suonare cinque strumenti, dipingere e fare video (e tutto molto bene). Il suono dell’inglese Stuart Howard a.k.a. Lapalux, invece, è tanto astratto e sofisticato da poter quasi finire sotto la tag ambient ma senza le leziosità che hanno mandato in cancrena il genere. Al loro posto un background Hip Hop che evolve in direzione sperimentale, tenendo grasse le linee di basso e dilatate le strutture ritmiche.

L’unica pausa dal sol leone del cortile ce la concediamo per fare un salto a sentire l’incredibile produzione originale del festival che passa sotto il nome di Mostly Robots. Non sappiamo ancora se il progetto ha un futuro discografico o se girerà su altri palchi ma la super band composta dal campione DMC Dj Shiftee ai piatti, Jeremy Ellis alle tastiere e, soprattutto, Tim Exile all’MPC e Jamie Lidell alla voce con marchingegni vari fa, letteralmente, le buche per terra. La jam session centrifuga soul, electro, beat, scratch, Herbie Hancock e Aphex Twin (omaggiati con cover riarrangiate in real time). Il succo che ne deriva è nettare estratto dalla migliore musica degli ultimi trenta anni.

Ritorniamo sotto la tenda dei tori che si pigliano a capate giusto in tempo per immergerci nell’esplosiva dancehall del turntablist e producer inglese Jim Coles. Dentro ci stanno reminescenze Jungle e accelerazioni Footwork, sirene vintage e dreadlocks fumanti. Le sue release a firma Om Unit sono la sintesi perfetta della bass music made in UK: groove lenti, beat spezzati, ritmi cangianti. Con le uscite su All City e Civil Music si è guadagnato ampia riconoscibilità, molte collaborazioni, remix e date in giro per il mondo. Tra le ultime avventure: l’inaugurazione dell’etichetta Cosmic Bridge e il progetto Dream Continuum con Machinedrum. Qui trovate una mia intervista al soggetto, corredata da un mix delle sue recenti produzioni:

OM UNIT @ Mixology by Mixology on Mixcloud

Che Juke e Footwork siano il suono del momento lo confermano, subito dopo, due leoni della scena di Chicago: Rashad e Spinn, assieme ad uno strepitoso ballerino non accreditato nella line up. I brevi campioni girano in loop ossessivi e veloci come i movimenti dei piedi: six-step, go down, powermove e freeze ci fanno ripassare la lezione della migliore breakdance con tutto il tendone a braccia all’aria. Non potevamo sperare in una conclusione di giornata migliore. Coi polpacci provati ci concediamo una cena nel barrio e andiamo a posare le stanche membra sui divani gentilmente forniti dagli amici.

Il secondo giorno di festival comincia con la centrifuga di rito, nel giardino vegano accanto al museo, preludio iperproteico che sorseggiamo con le orecchie attente al Soul Glitch dello spagnolo Clip!, ottimo preludio prima della strepitosa sorpresa chiamata Esperanza. La band italiana formata da Matteo Lavagna, Giacomo Zatti, Cécile e Sergio Maggioni, manda a gambe all’aria duemila persone, nonostante il sole allo zenit, con una esplosiva miscela di cassa dritta, bassline funk, atmosfere cosmiche e attitudine rock. Appena riusciranno a incanalare su disco la dirompente energia che hanno dal vivo diventeranno un caso internazionale. Fidatevi! Il resto del pomeriggio ci riserva un’ottima sorpresa e un’attesa vendetta. La prima arriva da una ragazzina slovena d’adozione inglese che per arrivare a far girare i dischi sui piatti deve chiedere ai tecnici di palco una pedana di rialzo ma appena preme start vola altissima.

Si chiama Nightwave e, con stile e maturità, nel suo set mette a tempo classic house, R&B, grime, juke, hip-hop trasformando il pratino sintetico del Dome in una bolgia festante di sorrisi e braccia alzate. La vendetta è quella che il nipotino di Coltrane, meglio conosciuto come Flying Lotus, consuma alle spalle di chi, come noi, non aveva apprezzato il suo live del primo giorno. Sentirlo cesellare i suoi beat in uno spazio più raccolto rende l’idea del genio creativo dietro le sue produzioni: trasporto e precisione, fuori dai generi e dentro una visione (la rima è accidentale ma funziona). Per chiudere il Sonar de Dia ci infiliamo nella cattedrale laica del Complex (miglior location del festival) e veniamo rapiti dalla psichedelica dub di Peaking Lights. La coppia americana più chiacchierata del momento riesce nell’arduo compito di rendere live i magistrali suoni dell’acclamato disco “936”. Aaron Coyes e Indra Dunis costruiscono una straniante bellezza di riverberi e melodie come giochi di luce che si rifrangono nello spazio blu. Se lo ricordiamo come un sogno non è colpa del pusher.

C’è giusto il tempo di un hamburger di seitan e poi tocca volare verso il quartiere fieristico, sede delle lunghe notti festivaliere, mentre ci chiediamo se non siamo un po’ troppo vecchi per questa roba. Quella specie di enorme hangar che passa sotto il nome di Club è il luogo nel quale si consumano due dei live più attesi di questa edizione. Entrambi hanno a che fare con un concetto che ci passerete, quello di magia fredda, realizzata attraverso dispositivi multimediali molto complessi, ma gli esiti sono davvero diversi. Amon Tobin vince la sfida di presentare suono registrati in maniera microscopica lasciandoli deflagrare in uno spazio mastodontico. Dal suo cubo incastonato in un sistema geometrico mutevole, grazie alle proiezioni video, lancia sequenze ritmiche che collassano una sull’altra lasciando spazio a melodie inaspettate. Tom Jenkinson, invece, perde la spinta della sua ricerca musicale, a nome Squarepusher, davanti ad un videowall di geometrie essenziali ed inutili, giocherellando con un basso che sembra più un vezzo da ragazzino davanti alla Wii che non lo strumento di uno che la musica elettronica l’ha fatta davvero. Preferiamo tornare sul divano con nelle orecchie le melodie di Nicolas Jaar. Per quanto certe volte suonino troppo aggraziate, almeno cercano una formula credibile nell’accostamento di strumenti elettronici ed acustici.

Per affrontare al meglio la terza ed ultima giornata del festival chiediamo di addizionare un po’ di guaranà alla solita centrifuga mattutina e, prima dell’ultimo sorso, siamo già sotto il palco dei canadesi Keys n Krates. Una bella sorpresa davvero la formazione composta da Adam Tune alla batteria, il turntablist campione del mondo Jr-Flo ai piatti e Matisse alle tastiere. “Re-inventing the remix” è il loro motto. Lo fanno usando una pioggia di campioni da ogni ambito musicale che vi possa venire in mente ma con una forte dominante analogica e processando il tutto in tempo reale: una gioia che ci regala un sacco di energia. Quella stessa energia che il noioso live di Darkside rischia di farci dissipare e allora puntiamo tutto sull’accoppiata a stelle e strisce Salva e Brenmar sotto il tendone più colorato del Sonar. Il primo va in polleggio con beat gommosi e boogie lisergico, accelerando poi in chiave juke; il secondo conquista lo scettro del set più swag nel pomeriggio spagnolo: micidiale nel dosaggio perfetto di r’n’b pitchata, footwork, house, booty e rap.

Serve ricaricarsi un attimo prima del rush finale. L’ultima notte di festival comincia come meglio non potrebbe, The Roots al gran completo e in spolvero magistrale per un’ora di live compatto ed estroso, preciso come un metrono (?uestlove alla batteria è un garanzia) e onnivoro: fagocita di tutto, anche i Guns’n’Roses, per estrarne l’essenza del rap-soul-funk allo stato dell’arte. Se sei cresciuto con la black music il loro è il concerto definitivo!

Una delle cose segnate con l’evidenziatore giallo nella nostra agendina era il back to back tra la regina dell’FM inglese Mary Hanne Hobbs e il nuovo prodigio Blawan. La combinazione garantisce il miglior aggiornamento su tutto ciò che in Inghilterra sta succedendo dopo l’ondata dubstep: cassa dritta, derivazioni techno, bassi mastodontici, suono asciutto, veloce e potente. Tocca lasciare l’area Pub per muoversi verso il Lab, scansando i derelitti che cominciano ad accusare pesantemente le due notti festivaliere, dato che il programma prevede lo showcase di una delle etichette che hanno segnato il suono inglese dell’ultimo decennio, la Hyperdub di sua maestà Kode9. Optiamo per l’ascolto del set di apertura firmato Cooly G. La troviamo in una fase di transizione tra gli esordi da dj già apprezzati in vari appuntamenti italiani, il ruolo di talent scout con la sua label personale, Dub Organizer, e le nuove vesti da cantante e producer. Il risultato non è ancora maturo come vorremmo ma lascia ottimamente sperare per l’immediato futuro. Se siete incuriositi qui potete ascoltare il suo mix esclusivo per Mixology condito da una veloce chiacchierata con la nostra eroina:

DUB ORGANIZER @ MIXOLOGY_eng by Mixology on Mixcloud

Non è ancora tempo di riposarsi dal momento che su un altro palco è partito lo show di Modeselektor con i visual di Pfadfinderei. Da vent’anni Gernot Bronsert e Sebastian Szary, agitano energicamente le acque della club music europea e spingono costantemente in avanti i confini di un suono ruvido e basso, vigoroso e mutevole che centrifuga minimal techno, dubstep, wonky ed elettro. In occasione dell’uscita del loro ultimo album ci avevamo fatto una chiccchierata per parlare di audiocassette, del progetto Moderat, dei nuovi piani per l’etichetta Monkeytown:

MODESELEKTOR @ Mixology by Mixology on Mixcloud

Decidiamo che la nostra avventura a Sonar si può chiudere con questa scarica d’adrenalina pura. Siamo più che soddisfatti. Tra qualche ora abbiamo il nostro aereo Low Cost per il ritorno alla base e ci stiamo già mutando in degli zombi con la testa piena di ottima musica e di appunti da rielaborare per capire dove va la musica di oggi (e quella che ascolteremo domani).
Vi lasciamo con un nostro lungo speciale nel quale parliamo con la responsabile comunicazione del festival, Georgia Taglietti, dell’edizione 2012 mixando le ultime produzioni dei nostri preferiti:

SONAR 2012 Mixology Guide by Mixology on Mixcloud

Con il fiato che ci resta ci ripromettiamo di tornare a giugno 2013. Di festival, ogni anno, ne maciniamo tanti ma questo resta ancora il luogo delle scoperte, delle verifiche attendibili, delle anticipazioni illuminanti. Il posto migliore dove costruire oggi le nostre prossime tracklist.