Scopri l'universo
espanso di Gold
Gold enterprise
Goldworld Logo
PENSA FORTISSIMO AI DUE MARÒ
ARTS

The Art of Rap



The art of Rap è il tema della settimana per chi segue anche lontanamente la Cultura hip hop.

Qui su Goldworld abbiamo voluto offrire due pareri differenti, quello di Davide “Deiv” Agazzi, giornalista,  e quello di Paolo “Faz” Fazzini, regista (è suo l’horror tricolore “Mad in Italy”) ed Mc nella storica crew delle Menti Criminali.

La rece di Deiv.

Esce in questi giorni, per solo tre serate!, il chiacchieratissimo documentario realizzato da Ice-T sull’arte del rap.

Something from nothing, qualcosa dal nulla, recita il sottotitolo. Difficile dirlo meglio.

L’opera dell’autore di “Copkiller” , un paio d’ore circa, offre un bello spaccato sull’abilità di sbriciolare microfoni presentando una serie di interviste ad alcuni pesi massimi del campo. Davvero tanti i nomi presenti, tra leggende dell’old school (Melle Mel, Grandmaster Caz, Bambaataa),  campioni della golden age (Q-tip, Nas, Rakim) ed eroi del rap alternativo (Kool Keith, Common, Mos Def). Il film, per fortuna, non è completamente New-York-centrico e si concede una brevissima sortita a Detroit (Eminem, Royce da 59) ed un tappa obbligata sulla west coast (B-Real, Snoop, Dre, Ice Cube). Non mancano neanche le ladies, rappresentate egregiamente da Salt e da Mc Lyte.

Personalmente, da amante della doppia h, il film mi è piaciuto parecchio. E’ pieno di spunti e di momenti brillanti, condito da una serie di aneddoti davvero gustosi per gli appassionati del genere. Penso, ad esempio, alla genesi di KRS One come Mc: il buon Krishna Parker,  fino a quel momento semplicemente writer, decide di prendere in mano un microfono perché insultato in una battle alla quale stava solo assistendo.

Era stato offeso e voleva rispondere.

C’è la storia di B-Real, che ha dovuto lavorare duramente per rendere unica la propria voce ed evitare di finire come ghost writer di Sen Dog, o l’intervista a Doug E Fresh, pioniere dell’arte del beat box, che si tiene direttamente dentro la sua rosticceria. Il film, che scorre “smooth like butter”, non è pero esente da difetti, principalmente due, uno di tipo tecnico ed uno di tipo stilistico. Il primo riguarda la mancanza di sottotitoli sui freestyle dei vari MC, alcuni veramente di incredibile fattura, una soluzione a mio avviso inspiegabile. Il secondo, se vogliamo chiamarlo difetto, riguarda la natura stessa del film: il documentario dà molte cose per scontate. Nessuno ti spiega cosa sia l’hip hop. Non si parla di Kool Herc in un giardino del South Bronx. La cosa non è una grande difetto per chi è dentro “al cerchio” ma mi rendo anche conto che l’opera divulgativa del documentario sia comunque confinata a chi questi temi già li mastica. Questo è l’unico vero limite che mi sento di segnalare sul lavoro di Ice T.

Il maggior pregio del film sta invece nel far emergere le varie personalità dei rapper, ognuno con la propria storia da raccontare, ognuno col proprio stile, dipingendo così quella che è (era?) la vera anima dell’hip hop. Gli Mc si raccontano ad Ice T in un colloquio alla pari, non da artista a giornalista, ma da collega a collega. In momenti storici differenti, persone molto diverse fra loro hanno sentito il desiderio di prendere un microfono in mano per potersi esprimere. Per essere o diventare qualcuno. Certo, ci sono alcune esclusioni eccellenti nella pellicola (Method? Das Efx? Too Short? Kurtis Blow?), ma, in un momento storico in cui il rap viene omologato, appiattito, codificato e sbiadito, un documentario del genere non può che essere una nota positiva.

Ps. Mi permetto di aggiungere una piccola nota a margine. Il lancio del film, come ovviamente saprete, è stato preceduto da una polemica, non so quanto generata ad arte, che ha coinvolto principalmente Paola Zukar. Non mi interessa entrare nel merito della vicenda perché lo ha già fatto praticamente chiunque. Ognuno si prende le responsabilità per quel che dice o scrive. Mi sento però di sottolineare questa cosa: i ragazzuoli “giovini” che seguono questa fantomatica nuova scuola, e che avrebbero dato finalmente rilevanza al movimento grazie alla forza dei numeri, al cinema (almeno a Firenze) non c’erano. In sala eravamo in dieci, tutti over 30. Mi rendo conto che un film del genere, come ho sottolineato anche in sede di recensione, richieda Cultura e dedizione ma, voglio dire, l’hip hop non è proprio questo? Forse sarebbe il caso di rifletterci un po’.

 


La rece di Faz.

Tagliamo la testa al toro: The art of rap, esordio alla regia di Ice-T, non è un film sulla genesi del rap statunitense. Sfilano, sì, alcuni dei fondatori di questo genere musicale, ma il centro di interesse non è la ricostruzione storica del fenomeno.
Impostato vagamente come un road-movie tra New York, Lo s Angeles e Detroit il film sembra più una sincera riflessione su tutto quello che, nel corso dei decenni, ha contribuito a fare del rap un fenomeno mainstream e, al contempo, una vera e propria arte.
Quindi risulta molto divertente vedere, all’interno di una stessa inquadratura, Q-Tip e Ice-T infastiditi dai passanti di turno, oppure ascoltare Dr. Dre che sottolinea la differenza tra un beatmaker e un producer, o ancora Run affermare quanto il successo sia effimero… ma con il passare dei minuti si ha l’impressione che a Something from nothing manchi proprio quell’impostazione registica di cui un documentario necessita.
Non c’è una vera e forte scelta di regia e le domande che Ice-T pone non brillano propriamente di profondità, quindi l’impressione che se ne ricava è di assistere a una carrellata di personaggi (ripeto, importantissimi e imprescindibili) che ricevono in casa un loro vecchio amico. Ne conseguono dei divertenti e interessanti aneddoti, ma presentati con la forma propria più di un reportage televisivo che di un vero e proprio documentario. Anche alcuni intermezzi extra-interviste sembrano un po’ deboli : quale sarebbe l’importanza di quelle riprese aeree così insistentemente ripetute quasi a ogni cambio di sequenza?
Ciò che di interessante possiede The art of rap appartiene esclusivamente ad alcune sagge dichiarazioni fatte dai mostri sacri della storia del rap e non alle scelte del regista (e lo dico con tutta la passione che nutro verso un personaggio come Ice-T).

Probabilmente da un artista che, all’inizio del film, afferma che il rap ha salvato la sua vita mi sarei aspettato un risultato più ‘meditato’ e profondo, e l’impressione generale é di una grande occasione mancata! Peccato!