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Hip Hop Kemp 2012



Per il terzo anno consecutivo me ne torno in quel di Hradek Kralove, in Repubblica Ceca, per andare a seguire l’Hip Hop Kemp, il più prestigioso festival europeo dedicato alla doppia h. Questa sua undicesima edizione ha confermato l’altissimo livello artistico della manifestazione, pur non essendo esente da qualche (cocente) delusione.

Ma andiamo con ordine.

Come sempre il Festival si snoda su tre giorni più una giornata “zero” di anteprima: gli eroi di questa anteprima sono sicuramente il duo americano dei Doppelgangaz, tra le migliori realtà emergenti a stelle e strisce. Dal vivo confermano le buone vibrazioni riscontrate sul loro debutto, se le premesse sono queste per loro il futuro non potrà che essere buono.

Il primo giorno è abbastanza fiacco: in mezzo alle innumerabili band locali (Rep Ceca, Slovacchia e Polonia) sulle quali non mi pronuncio, gli unici nomi di rilievo sono gli olandesi Dope DOD e la new sensation Danny Brown.

I primi fanno un bel live, coinvolgente, d’impatto, perfetto per questo tipo di situazione: tecnicamente non sono proprio niente di che, le loro rime sono scolastiche così come il loro flow (ma ricordiamoci anche che rappano in una lingua che non è la loro) però, nell’insieme “funzionano” e riescono a scaldare il numeroso pubblico che, già dal primo pomeriggio, ha riempito l’ex aeroporto di militare di Kralove.

Dopo di loro è il turno di Danny Brown, uno dei nomi più curiosi ed interessanti  di questa edizione del Festival con l’Atmosfera: proveniente da Detroit (andate a recuperarvi l’EP in split col concittadino Black Milk “Black and Brown”) fa di tutto per farsi notare. Stravagante, provocatore, imprevedibile, la prima domanda che uno si pone quando Brown sale sul palco è “ma questo ci è o ci fa?” Il suo stile assolutamente unico, nel bene e nel male, non viene però apprezzato dal pubblico del Kemp. Forse metterlo in chiusura di giornata, su un palco del genere, è stato un errore. La sensazione è che sia stato un po’ mandato al massacro.

La seconda giornata è invece decisamente più ricca di eventi e si rivelerà la più goduriosa di tutta questa undicesima edizione del Kemp. La vibra buona principia già dal pomeriggio col live di Elzhi che porta dal vivo, con tanto di band, il suo omaggio ad “Illmatic” di Nas. E’ un live di qualità il suo, ed il pubblico lo ripaga con calorosi applausi. Al live dell’ex Slum Village segue quello del “nostro” Alien Dee: con la sua tecnica sopraffina, annichilisce l’audience. Tra l’altro, il buon Alien, terrà anche un partecipato workshop di beatbox il giorno seguente.

Scappo dal main stage per dirigermi verso l’hangar Pink Bubble, dove alle 22 si terrà il live di Dam Funk. Sarà uno degli spettacoli migliori di tutto il festival, carichissimo di funk e di groove sudati, davvero travolgente. Unica nota stonata: far coincidere la fine del suo show con l’inizio di quello di Madlib (che invece stava sul main stage) è stata una decisione CRIMINALE.

Cala la sera ed è quindi il turno di Madlib, sicuramente tra i nomi che aspettavo di più. Purtroppo lo show del super producer sarà una mezza delusione: lo spippolatore di Los Angeles, agghindato con un paio di anelloni che neanche la vostra zia più kitsch, passerà la prima mezz’ora del suo set a mandare beat senza curarsi del pubblico. Da giornalista devo registrare questa situazione: da una parte credo che aver fatto suonare uno eclettico come Madlib di fronte a ventimila (circa) rappusi sia stato, forse, un errore, dall’altro devo dire che il buon Otis Jackson ha fatto poco o nulla per ingraziarsi il pubblico presente che infatti comincerà ben presto a fischiarlo sonoramente invocando a gran voce il nome dei Foreign Beggars che lo seguono in scaletta. Per fortuna il suo live migliora decisamente quando sul palco sale Freddie Gibbs, prodigioso Mc dall’impressionante cassa toracica col quale Madlib ha già prodotto almeno un paio di EP davvero interessanti. Tra un brano e l’altro non manca di intonare un sempreverde “fuck the police” ma giunto alla settima volta il giochino decisamente stanca. Comunque un grande rapper.

Seguono quindi i già citati Foreign Beggars che tornano sul luogo del delitto dopo esser stati qua nel 2010: due anni fa fecero un live memorabile ed anche quest’anno le cose non vanno diversamente. Il pubblico li adora, loro spaccano e tutto fila liscio come l’olio.

La lunghissima giornata viene quindi chiusa dallo show dei World Famous Beat Junkies che farà da apertura al live, attesissimo dal pubblico locale, dei Dilated People. Che dire? Epico. I Beat Junkies fanno parte della leggenda dell’arte del djing ed il trio composto da Evidence, Rakaa e Babu è una macchina da guerra che non lascia prigionieri. Chiedere a chiunque li abbia mai visti dal vivo. Nel complesso, il miglior live di questa edizione.

Il primo grande nome della terza giornata è quello di Jean Grae, accompagnato ai piatti da Mr. Len. Lei è bravissima, agguerritissima e dopo cinque minuti che sta sul palco ha già vinto tutte le simpatie del pubblico. Brava. Da brividi la chiusura con “U, me & everyone we know”.

Verso le 20 mi sposto nuovamente dal mainstage al Pink Bubble hangar per seguire lo show (perché questo sarà) dei Napoli Rap Allstars, estemporaneo progetto formato da Dope One, Clementino e dal produttore Oyoshe. Sono bravi e meriterebbe più pubblico del (poco) accorso a seguirli, composto in gran parte dai pochissimi italiani presenti al Kemp (i bene informati parlano di un centinaio di connazionali a fronte di circa 20mila presenze totali). Il loro live è una buona cartina tornasole per giudicare il prodotto rap italiano all’estero: il livello qualitativo è altissimo, con poco o nulla da invidiare al resto, ma fuori dai nostri confini praticamente non esistiamo. Impagabili la presenza di Soul Boy sul palco, che introduce il trio, e Clementino che se ne esce con un “quando dico zompa voi jump!” che passa di diritto alla storia di questa manifestazione.

Giusto il tempo di fare i complimenti ai ragazzi di Napoli che sul palco principale è la volta di Diamond D che, accompagnato da una funk band, ripropone per intero o quasi il suo classico esordio “Stunts, Blunts & Hip Hop”, uscito vent’anni fa. Il suo live dura 45 minuti scarsi e devo dire che risulta abbastanza piatto per avere addirittura il supporto di una band. Certo, il fattore nostalgia è dietro l’angolo, ma mi aspettavo sicuramente qualcosa di più, considerando che questo era uno dei live più sbandierati dalla produzione del festival.

Ed arriviamo così all’ultimo numero di questo Hip Hop Kemp 2012, il pezzo di chiusura, il live di Mos Def. Ma attenzione, non è Mos Def, è Yasiin Bey e le cose cambiano.

Parecchio.

Affro, il padre (non più) padrone del festival mi confessò due anni fa di essere disperatamente all’inseguimento di Dante Smith, artista geniale quanto complicato da raggiungere, e di volerlo assolutamente come ospite d’onore del decennale del festival. Il matrimonio tra Mos Def e l’Hip Hop Kemp si consumerà con un anno di ritardo rispetto alle previsioni, con somma gioia di Affro e la delusione di qualche presente, tra cui il sottoscritto.

Il live di Mos Def non è affatto brutto, e difficilmente potrebbe esserlo, considerando le qualità dell’artista, dato che ormai chiamarlo Mc sarebbe riduttivo. E forse è proprio questa la chiave di lettura: i 60 minuti di live, non uno di più, non uno di meno, sono decisamente lontani dal classico rap show e mi chiedo se questo fosse il modo giusto per chiudere questa prestigiosa tre giorni. Mod, da parte sua, ce la mette tutta per NON somigliare ad un rapper: canta, accenna passi di ballo, recita e si tiene lontano sia dai classici del suo passato (c’è spazio giusto per un accenno di “Umi Says”) che dal repertorio dell’indimenticabile progetto Blackstar che invece il buon Talib, su questo stesso palco due anni prima, sfoderò con orgoglio. Niente Mathematics, niente Ms Fat Booty. C’è da dire che al pubblico il live piace mentre io, personalmente, mi ritengo soddisfatto a metà dal live di questo Mc prestato al cinema (o forse è il caso di dire il contrario?).

L’undicesima edizione dell’Hip Hop Kemp si conclude così, tra luci ed ombre. Nonostante qualche delusione il festival di Kralove si conferma però la manifestazione di riferimento per il genere a livello europeo e, per certi versi, mondiale

Ho paura che il prossimo anno saremo nuovamente lì.