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MUSIC

Intervista con la Cinematic Orchestra



“Ho studiato arti visive. E mentre studiavo quello, al college, ero anche in una band. Quando mi laureai sentii che dovevo prendere una decisione: arti visive o musica? All’epoca la cosa più importante per me era sicuramente la musica per cui scelsi quella.”

Chi è parla è Jason Swinscoe, mente e deus ex machina dietro al progetto Cinematic Orchestra, uno dei fiori all’occhiello della gloriosa scuderia Ninja Tune. Ho avuto la possibilità di incontrarlo questa estate a Bologna, dove ha tenuto un grandioso live, assieme alla sua band, all’interno del Teatro Duse dato che la precedente location, all’aperto, era saltata il giorno prima per motivi burocratici.

La chiave di lettura della Cinematic Orchestra sta nella fusione tra immagini e musica, con i suoni che hanno lo stesso peso artistico dei fotogrammi che vanno ad accompagnare, cosa assai rara. Vi consiglio, a questo proposito, di andarvi a recuperare “Man with a movie camera” il loro disco del 2003 che serve da colonna sonora all’omonimo film di Dziga Vertov.

In attesa del nuovo disco, che uscirà sempre su Ninja nell’arco di quest’anno, la Cinematic Orchestra è in tour per promuovere l’ultimo progetto “In motion #1” primo di una serie di connubi artistici volti a coinvolgere giovani registi con musicisti e compositori contemporanei di musica elettronica.

Torniamo all’intervista, buona lettura.

La band di cui parli è Crabladder?

Si. Era una punk band, influenzata principalmente dall’hardcore americano, cose come Black Flag, Nomeansno, Fugazi e così via. E quei ragazzi erano tecnicamente molto validi oltre ad unire una mentalità di tipo “leftfield”.

Alcune di queste band che hai citato avevano un’attitudine di tipo free jazz, specialmente i Fugazi.

Assolutamente si.

Cosa suonavi tu?

Suonavo il basso, e poi decisi di diventare un dj.  La band si stava disfacendo ed io , dopo essermi laureato, non sapevo cosa fare. Da buon bassista pensavo di dover aver con me almeno un altro musicista, penso ad un batterista ad esempio, per realizzare qualcosa, e questo era un problema per me. Quindi lasciai da parte il basso per fami spazio nella scena dance underground londinese, ascoltando tanto garage ma anche tanta house di Detroit e di Chicago.  Vendetti il basso per prendermi due piatti ed un mixer e cominciai in quel momento a capire che mixare due tracce, e non mi riferisco al senso più letterale della cosa quindi passare il fader da una parte all’altra, ma il mantenere due tracce assieme per un periodo più prolungato, dava vita a nuove melodie, nuove immagini di suono. Cominciai a preoccuparmi di come registrare questi miei viaggi sonori e così comprai uno dei primi Mac a forma di laptop ed un Akai s4000. Avevo anche una grossa collezione di vinili, punk, jazz, funk, drum n bass, hard rock, qualcosa di avant garde music e, di conseguenza, ritrovandomi con tutta questa musica a disposizione senza avere una band, scelsi questo materiale come fonte sonora di partenza. Cominciai a cercare i loop e ad inventarmi modi per spingere questi loop verso il loro massimo espressivo e questa, bene o male, è la genesi della Cinematic Orchestra.  I primi risultati, coi soli loop, furono decisamente statici e così scelsi di aggiungere una band con strumentazione live.

In questo momento  sto pensando ai Coldcut, tuoi compagni d’etichetta. Loro sono stati i primi che io abbia mai visto mixare video dal vivo, su un palco.

Corretto.

Come sei entrato in contatto con la Ninja Tune?

Mentre facevo il dj, incontrai un ragazzo, Christopher, che stava facendo uno stage estivo alla Ninja Tune. Successe una sera, in Scozia, per cui ti parlo di un incontro alquanto casuale. In quel periodo mi stavo allontanando dalla house per avvicinarmi a territori più leftfield e hip hop, cose più legate all’elettronica ed al suono bass. Quando mi trasferii a Londra cominciai a frequentarlo mentre era in studio e la cosa è nata da lì.

Non è una caso quindi che tu sia poi finito a lavorare, anche, sui film.

Per me è stata una progressione naturale, perchè ho studiato arti visive scegliendo volutamente un college dove non dovessi specificare se fossi un regista, o uno scultore o uno stampatore. Le ho fatte tutte anche se poi, nel corso degli ultimi due anni di studi, mi sono concentrato parecchio sulla regia, girando progetti in Super8 e cose così. All’epoca però non riuscivo ancora a vedere assieme la musica e le immagini, continuavo a percepirle come entità separate, in parte perché stavo ancora imparando, stavo ancora cercando di capire cosa volessi fare io. E’ stato, più o meno, nel periodo dell’uscita di “Motion” (1999, primo disco a nome Cinematic Orchestra) che ho finalmente trovato la mia “voce” artistica e sono così riuscito ad implementare nella mia musica quelle nozioni sull’arte visiva apprese dieci anni prima.

E questo ci porta quindi al tuo lavoro sul film di Dziga Vertov “Man with a movie camera”.

E’ un progetto nato grazie a persone che avevano potuto ascoltare la mia musica. Il nome Cinematic Orchestra rappresenta, quindi, quello che volevo cercare di esprimere. Volevo proiettare un ambiente per la musica che stavo suonando. Ero molto influenzato dal jazz e stavo componendo della musica che era molto lontana dalla classica idea pop di brano da tre minuti e mezzo, le cose che facevo io erano decisamente più lunghe, più narrative diciamo. Un brano musicale è un linguaggio col quale tu puoi raccontare una storia. Ad esempio, tornando a “Motion”, un brano come “Night of the iguana”.. è un film degli anni ’60 e quel brano musicale ne è sicuramente influenzato. Devo raccontare delle cose e se per farlo ci vogliono due minuti allora ci vogliono due minuti, e se ne invece ne servono trenta allora, beh, ne serviranno trenta.

So che, all’epoca, tu venisti invitato alla Director’s Guild per commemorare Stanley Kubrick.

Esatto.

Che tipo di esperienza fu?

La affrontati con uno spirito decisamente naive. Kubrick è uno dei miei registi preferiti e quindi l’aver ricevuto una telefonata, così dal nulla, da parte della Director’s Guild che mi invitava al loro evento di celebrazioni mi lasciò senza parole. All’epoca la band era ancora molto giovane, fu una cosa abbastanza strana. Kubrick aveva appena finito di girare “Eyes wide shut” e suonare a quell’evento fu una cosa surreale, non riuscivo a crederci. In quell’occasione capii che quella era la mia strada, la mia vocazione. Il punto per me non è mai stato riuscire a soddisfare dieci persone, o dieci milioni di persone, con le mie creazioni. Il punto per me è sempre e solo stato riuscire a soddisfare me stesso. Se la tua musica è onesta, e la tua arte è onesta e culturalmente contemporanea, con qualche sfumatura intellettuale magari, allora può davvero ottenere un qualche tipo di rilevanza. Non c’è mai stato nulla di preparato, ho cominciato a ricevere molto amore per quello che facevo, io l’ho cominciato a restituire e quindi poi la mia arte di questo si è autoalimentata.

Vorrei saperne di più per quanto riguarda il tuo processo di scrittura, sia che si tratti dei dischi che delle colonne sonore. Da dove cominci? Da un’idea, da un sample o da un suono?

Per quanto riguarda la musica da studio, diciamo quella senza immagini, non ho nessuna formula. Non c’è mai stata una formula e se tu segui una formula finirai per diventare necessariamente prevedibile. Un suono piccolissimo può essermi di stimolo o magari anche un errore. Penso a “Creep” dei Radiohead, dove c’è quel suono “ta-tak” prima del ritornello.. quel suono è un errore a cui segue Thom Yorke che spezza la sua chitarra. Beh, quell’errore è stato tenuto ed è finito sul disco e adesso è uno dei suoi che maggiormente definiscono quella canzone. Non si può avere sempre una formula per tutto.

Per quanto riguarda il lavoro con le immagini, ci sono diversi “strati” per arrivare ad avere un buon film. Solitamente non c’è mai da sforzarsi troppo. Posso passare un’intera giornata in studio senza riuscire a fare niente e, in quel caso, è meglio rinunciare perché spesso quando ti sforzi troppo, non ottieni niente.

Scrivi la musica per tutti gli strumenti?

Fondamentalmente si.

Chi è la ragazza che cantava stasera sul palco?

Si chiama Heidi Vogel, è di Londra. Ha cantato per noi negli ultimi tre, quattro anni.

Sei sempre in contatto con Fontella? (Bass, celebre soul singer americana che ha prestato l’ugola sia su “Everyday” che sul successivo “Ma Fleur”)

Si. Resiste alla grande, sai comincia ad esser un po’ anziana, adesso. Ha avuto una vita, come dire.. piena d’avventure e adesso comincia ad essere un po’ stanca. Ma è una donna meravigliosa.

Ok, un’ultima cosa. Questo ultimo lavoro che avete prodotto “In motion #1” immagino sia il primo di una serie. Qual è l’idea dietro questa serie e quando uscirà il prossimo?

Esattamente. L’idea dietro della serie è quella di creare musica e immagini insieme, unendo immagini d’archivio con compositori moderni di elettronica, oltre a qualche membro della Cinematic e ad altri artisti come il pianista Austin Peralta. Quindi al momento l’idea è trovare giovani registi da far lavorare con compositori e quello sarà “In motion #2”. Ma non so dirti quando uscirà. Sicuramente non adesso.

E sul prossimo lavoro della Cinematic cosa mi puoi dire?

Ci stiamo lavorando.

Ottimo, quando uscirà?

Entro l’anno.

Sempre su Ninja?

Si.

Grazie del tuo tempo.

Grazie a te.

 

Per ulteriori informazioni sulla Cinematic Orchestra

www.cinematicorchestra.com