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Writing & Rap: Intervista a Daninjaz



Daninjaz è uno degli artisti più eclettici della scena fiorentina.

Ha iniziato con il rap e a poco a poco ha sviluppato tutte le scienze della doppia H.

Disegna, è uno street artist, un rapper, un elemento indispensabile nella NUMA crew, un MC di punta e un futuro laureato in design industriale.

Insomma, è un ragazzo creato dalla strada, che tramite quella è riuscito a farsela, una strada.
Non potevo mancare di fare qualche domanda ad uno dei maggiori MC a livello nazionale.

Pensando a te, le prime cose che mi vengono in mente sono “street art” e NUMA Crew.
Puoi dirmi come ti sei avvicinato alla prima e come sei entrato a far parte nella seconda?

Be’ la street art è un vecchio amore, si parla di tredici anni fa: del 98′.

A firenze non c’era una scena grande, ma di buon livello; quanto bastava per far appassionare un ragazzino di dodici anni al mondo dell’ hip hop.

L’hip hop , quella originale, quella sana, quella fatta di quattro arti è una miniera gigante creativa per un ragazzo di quell’età.

Io la ringrazio perché mi ha dato uno sfogo positivo.

Come ringrazio la gente che mi ha insegnato e stimolato.

Posso ricordare: Alpha, la vecchia BDS (Slash e Vento), Wave, Omar di Gold, Bue 2530, Ya, tutta RBC, tutta l’ADR e 8team… Insomma tutta l’underground fiorentina che mi ha fatto crescere.

Così com’è stato per il dipingere conoscendo e frequentando altre persone ho imparato a rappare.

NUMA crew nasce nel 2005-2006 e all’inizio contava tre elementi : il sottoscritto, il buon Link e dj Tk il quale ha coniato il nome N.U.M.A. (New Underground Massive Alliance).

Facevamo principalmente drum & bass e hip hop.

Poi dal 2007-2008 NUMA ha la svolta dubstep grazie al lavoro e all’intuizione dei nuovi elementi: Arge, Lapo, Botz e Leon P, che ha determinato la formazione attuale.

Puoi dirmi, secondo te, la differenza tra “writing” e “street art” e come si arriva a farsi riconoscere tramite entrambe le forme?

Be’ è semplice: il writer è uno scrittore ed ha una storia tutta sua che viene dagli anni ’80; una storia che va conosciuta e rispettata perchè, a mio riguardo, il writing è a tutti gli effetti una nuova corrente artistica.

Anche quando è vandalo e violento.

La sua forza è il numero, la reiterazione, quasi maniacale, del proprio nome sui muri e sui pannelli dei treni.

Il termine “street art” è piu’ generico.

E’ un insieme che racchiude sia gente che dipinge in maniera simile al writer, cioè con spray reiterando loghi, sia gente lontana dal mondo dell’hiphop, come la corrente generata da gente come Blu e Ericailcane, per non dimenticare la poster-art, la sticker-art, le istallazioni flash e quant altro che interagisca con il paesaggio urbano.

Par farsi conoscere servono le stesse due cose che potrebbero servire ad un architetto o ad un giornalista: talento e fortuna.

Come si distingue un buon “pezzo” da uno più scadente? Voglio dire, dipende solo dal gusto o anche da altri canoni?

Come ogni opera bisogna dividere la parte tecnica da quella comunicativa.

Se si parla di un “pezzo”, come scritta, la parte comunicativa è composta anche dal luogo e il modo con cui il pezzo è realizzato.

Per la parte tecnica si può guardare la pulizia delle linee, il tempo impiegato, il lettering etc., ma la tendenza odierna è per uno stile più grezzo e punk se vogliamo.

Io personalmente sono affezionato ai virtuosismi.

I tuoi studi universitari ti hanno aiutato con la street art?

Forse il contrario.

Comunque sto scrivendo la mia tesi di estetica sul writing, più in particolare sulla storia fiorentina.

Cosa pensi riguardo all’opinione pubblica riguardo al writing?

Come avevo già detto, non è scritto da nessuna parte che un’opera debba piacere o comunque suscitare un emozione positiva, anzi, al giorno d’oggi l’arte è violenta e irruenta.

Oggi, è chiamata arte pure la “merda” (d’artista) o attaccare un cane ad una corda e farlo morire di fame come hanno fatto l’“artista” Guillermo Vargas ad una biennale d’arte sud americana.

Viviamo in un mondo mediatico con gente che pur di comunicare e vendere, metterebbe all’asta la madre.

Lo stesso pubblico che guarda queste cose in tv, giudicherà cosa è e cosa non è arte?

Credi che questa passione per la street art si potrà evolvere in un futuro lavoro? Quale?

Penso che riuscirò a lavorare con tutte queste mie passioni.

Oltre a dipingere faccio stampe serigrafiche, modello la resina, ho iniziato a tatuare e me la cavo dignitosamente con la grafica.

Tutto questo multitasking da qualche parte porterà.

Sono fiducioso per il futuro, anche se c’è crisi e nn ci sono soldi per l’arte.

Ninjaz, Daninjaz, Ninja… Insomma, da cosa proviene il tuo nome e perché varia?

Come ogni buon nick non l’ho scelto io, mi ci hanno iniziato a chiamare i ragazzi di Rifredi, il quartiere dove sono cresciuto. Daninjaz viene da “the ninjaz” un modo di autentificarsi sul web, visto che di ninja ne è pieno il mondo.

Racconta l’esperienza di essere parte di una crew come la NUMA, conosciuta in tutta Italia ed anche all’estero.

Incredibile.

L’esperienza con NUMA non smette mai di appassionarmi e farmi crescere.

Innanzi tutto ho visitato più città europee viaggiando per suonare, piuttosto che viaggiando per piacere e poi sento che stiamo facendo qualcosa di grande.

Tutte le volte è una sorpresa.

Perché ti hanno scelto come MC? Ti sei proposto o è capitato per caso?

In queste cose non ci si propone e non si sceglie nessuno.

Non e’ un provino o un “AAA gruppo dubstep cerca cantante…”.

Il progetto NUMA è nato dal lavoro di amici che condividevano la stessa passione per la musica.

Per rappare su dubstep e drum c’è una maniera particolare, che va studiata.

Preferisci fare rime o freestyle?

Il freestyle va saputo fare, è la base di tutto ed è anche molto meditativo e “sfogante” per chi lo fa.

Lo scrivere però ti permette di comunicare meglio o di arrivare a dei traguardi e studi tecnici più approfonditi.

Su che genere pensi che la tua voce sia più incisiva: dubstep, moombah..?

Sfortunatamente sono nato in Italia e parlo una lingua un po’ legnosa per alcuni generi.

Comunqe la maggior parte dei miei testi sono a 140 bpm quindi dubstep e kuduro, poi ne ho altri per andare più veloce sulla d&b e sulla moombah, che è più lenta, in genere faccio freestyle.

Non ho un genere preferito la mia particolarità e proprio quella di rappare su tutto.

Come pensi che si evolverà la scena musicale underground?

Be’… Se continuano a levarci spazio, male.

Lo dice la parola stessa: “scena”.

La scena ha bisogno di uno spazio (degno) nel quale evolversi.

Firenze è strapiena di personalità valide, che suonano dipingono e quant’altro, che non hanno lo spazio fisico per esprimersi.