Immaginate uno scaffale pieno di hip hop, trentadue volumi divisi anno per anno dal 1979 fino al 2011: ecco cosa compone il gigantesco progetto di Dj Rash, “The Rash Encyclopedy”, che ha pensato bene di ripercorrere a modo suo la storia dell’hip hop, dai suoi albori fino ai giorni nostri. Trentadue mixtape da scaricare gratuitamente dal sito www.djrash.com, che intraprendono un viaggio all’interno della black music, dai ritmi funky/soul danzanti, alle rime nate in strada fino ad arrivare alla lirica curata e al sound d’ascolto.
Ecco la missione di uno dei king dell’hip hop in Italia che ha pensato di diffondere il verbo attraverso una spolverata nella storia dell’hip hop. Beat che hanno accompagnato molti della sua generazione e di quella precedente, oggi selezionati e riproposti per chi questa musica la vive e la sente ogni giorno, ma anche per chi vi si sta avvicinando adesso. Una missione interpretativa didattica interessantissima, che contribuisce a comprendere dinamiche che nella dimensione massificata in cui l’hip hop si trova a vivere oggi, possono sfuggire.
Dj Rash ha fiducia e si diverte, crede nella definizione più accurata del rap e nell’arricchimento che la conoscenza della storia può giovare alla scena. Ed ecco che ci concede questa chiacchierata sul futuro e sul passato di una scena e dei suoi sostenitori.
Bella Rash, sei a Milano?
Si sono a Milano e ho appena finito di mettere a posto per l’ennesima volta il mio studio.
Fin adesso hai fatto solo 5 tape: dal 1979 al 1983. Quando uscirà il prossimo, ovvero quello del 1984?
Lo sto finendo proprio adesso, mi manca qualche pezzo e qualche ritocco, tra cui l’host di E-Green.
Quindi fai rappare mc’s italiani sulle basi?
Si, ma solo su alcune. L’host per il tape del 1983 me l’ha fatto Mastino, con una professionalità e velocità imbattibile. E’ un grande! Poi mi ha aiutato anche Esa, Clone Mc e Mr. Willy Valanga fin adesso.
Come ti è venuta l’idea di fare questo ambizioso e gigantesco mixtape?
Sostanzialmente mi sono accorto che in Italia adesso c’è una forte affluenza di pubblico, ma credo che molti, anche fra chi vive questa cultura, non conoscono neanche vagamente come è nata, da dove arriva. E allora ho detto: proviamo a fare sta roba qua, i dischi ce l’ho, vediamo un po’ se cagano sta roba. E devo dire che piano piano, fortunatamente, sta prendendo un po’ piede e i download sono sempre più frequenti man mano che vado avanti negli “anni”. Poi secondo me se non conosci da dove arriva questa cultura, fai fatica a capire molte cose, come per esempio le tante citazioni importanti e molte delle dinamiche che l’hip hop incarna sia nella tradizione che nei contenuti.
C’è altra gente in Italia che ha avuto la tua stessa idea in passato?
In Italia credo non l’abbia mai fatto nessuno un tape così strutturato. Cut Killer ha fatto una cosa molto simile raggruppando in un tape tutti i pezzi che secondo lui hanno fatto la storia nella golden age.
Ma non era dunque un percorso musicale diviso per anni come l’hai pensato tu?
No, un mixtape suddiviso in anni non mi pare di averlo ascoltato da nessuna parte.
Quello di Cut Killer era diciamo un tape che conteneva pezzi migliori prodotti fra il 1992 e il 1998 circa: la golden age appunto. Ho pensato che fare una roba anno per anno poteva essere una buona idea per capire un po’ l’evoluzione di questa musica. In questo modo riesci a capire come si è evoluta la musicalità e come si è sviluppato anche lo stile delle rime e le varie diramazioni che ha preso. Per cui ho iniziato e poi mi è venuta anche l’idea di far fare gli host ad alcuni mc’s italiani. C’è anche un altra idea a dir la verità che cercherò di mettere in pratica nel limite del possibile, col tempo: cioè andare a prendere i vecchi breaks, che erano quelli su cui si rappava alle feste degli anni ‘70/80, e fare un tape del genere: io cutto i break originali funk e la gente ci rappa sopra. A me piacciono molto le cose “buona la prima”, anche se apprezzo ovviamente anche gli album curati, ma credo che nell’hip hop la formula “one take” abbia un certo senso a differenza di altri generi musicali. Le robe improvvisate sono legate in maniera indissolubile alla tradizione del rap.
I pezzi dei tuoi tapes sono tutti in qualità vinile?
Insomma, un po’ ne avevo qua io in vinile, e un po’ ho fatto una ricerca su internet perché alcuni pezzi sono introvabili e, se riesci a recuperarli, costano tantissimo. Mi sarebbe piaciuto utilizzare solo i brani che avevo su disco, ma avendo pensato di intraprendere questo progetto anche con un intento didattico, se non soprattutto, ho deciso di utilizzare anche gli mp3.
Quando ti sei approcciato a questa cultura?
Nel ‘89/’90 ho cominciato a fare le prime tag; poi nel ‘91 ho conosciuto Graffio, un writer di Milano che poi ha smesso, che era venuto a fare un pezzo su commissione, e da lì sono passato a comprare le bombolette e a dedicarmi ai pezzi veri e propri. Poi piano piano ho conosciuto sempre più gente, sono stato nei posti più disparati e questo solo grazie all’hip hop: tutto è stato molto spontaneo e poi se una cosa ti piace, cerchi sempre di saperne di più secondo me, e quindi ho cominciato ad informarmi su tante robe, ad appassionarmi al djing arrivando oggi a dedicarmi più ai piatti che alle pareti.
Ma in quel periodo tu già ascoltavi i pezzi funky/soul che stai riproponendo nei tuoi tapes o ti ci sei avvicinato gradualmente?
In quel periodo li ascoltavo solo ed esclusivamente i Public Enemy a rotella. Le ho consumate le cassette. Con il tempo ho cominciato a studiare, a cercare, fino a costruirmi una cultura più ampia.
Questi pezzi che hai raccolto hanno contribuito a farti cambiare disciplina? A passare dai treni e dalle pareti ai giradischi?
Anche se mi sono avvicinato all’hip hop come writer, ho iniziato a miscelare la musica quando avevo 12 anni con uno stereo cercando di fare i primi mashup con musica del tutto differente dal rap. Poi crescendo sono riuscito a comprami un mixer con un amico, e ce lo siamo divisi per un po’ di tempo, tenendolo due settimane a testa. Nel ‘95 sono andato in Australia, ho conosciuto meglio Dj Skizo, che già conoscevo, ed è cominciato così un periodo di accavallamento fra il writing e il djing. Oggi sto molto più sui piatti, anche se non ho mai abbandonato del tutto i muri, ma ho capito che più avanti vai con gli anni più fai fatica.
Quindi il tuo animo writer, a.k.a. Uniko, non è completamente morto?
No ogni tanto, se mi chiamano, mi diverto a fare qualcosa.
Secondo te quanta importanza ha Milano come ambiente underground nello sviluppo dell’hip hop in Italia?
Credo che Milano insieme a Torino sia uno dei capisaldi dell’hip hop in Italia. Certo, c’è anche Bologna, Genova, Roma, in parte il Salento ma credo che le prime robe hip hop si sono viste a Milano e Torino. Posso parlare poco della scena bolognese perché non l’ho vissuta come ho vissuto invece l’ambiente milanese e in parte quello torinese.
E adesso invece come vedi Milano sia nei cambiamenti di tendenze del pubblico che nella metamorfosi di una musica e dei suoi nuovi esponenti?
Adesso probabilmente Milano è il luogo in cui il mainstream relativo all’hip hop ha raggiunto il suo apice. C’è da dire comunque che esiste un sottosuolo undeground gigantesco, di gente che scratcha, di ragazzini che cominciano ad avvicinarsi alle rime. Tuttavia agli occhi nostri, di quelli che vivono fuori dalla massificazione di questa cultura, sembra che comunque il mainstream cerchi di mantenere il “circolino” chiuso dove fanno le loro cose, a modo loro e sicuramente per entrare in quelle realtà bisogna scendere a dei grossi compremessi.
E questa massificazione quanto fa bene e quanto può far male alla cultura in generale?
Fa bene sicuramente perché aprendosi a così tanta gente e allargando, anche se in modo superficiale, la presenza di questa cultura, è facile che fra tanti ragazzini che si appassionano ci saranno alcuni che si applicheranno diventando fortissimi. Per esempio su 100 infottatissmi si possono trovare 10 ragazzini mostri. Uno dei lati negativi secondo me è che non si comprenda la complessità della cultura hip hop in quanto questa massificazione tende a mostrare i lati più frivoli e stereotipati della faccenda. Bisogna pesare i due lati della medaglia, anche se la tendenza rimane legata verso la parte negativa.
Quindi questo tape ha un po’ l’intento di definire una direzione verso cui i ragazzi della nuova generazione dovrebbero procedere?
Lo spero. Spero di far incuriosire i ragazzi che si avvicinano adesso a questa cultura, anche se, secondo me, la curiosità dovrebbe essere collegata alla passione. Inoltre andando a scoprire e a conoscere meglio la storia di questa musica, comprendendo tutte le influenze differenti presenti nell’hip hop, il contesto sociale ecc. il ragazzino di turno che comincia a buttar giù rime, può definire meglio uno stile proprio, ancor più originale.
A questo proprosito volevo chiederti cosa ne pensi delle divisioni nette che si fanno sempre più fra hip hop nostrano e hip hop americano, anche da parte di chi vive questa cultura costantemente?
A questo proposito ti racconto un fatto: eravamo alla jam di NextOne, e chiacchierando è uscita fuori la storia di sto ragazzino, bravino anche in freestyle, che non conosceva i Wu Tang Clan e che se ne sbatteva anche di conoscerli. Secondo me sarebbe molto importante invece comprendere bene tutte le caratteristiche che hanno portato alla creazione di questa musica oltre che gli esponenti maggiori. E comunque credo che rispetto agli anni ’90, con tutte le possibilità che ci sono adesso con internet, è obiettivamente più semplice costruirsi in modo completo una cultura che possa servire da bagaglio personale anche per vivere meglio quello che fai. E’ una questione di fame dopo un po’, anche se, qui in Italia, devo dire che la cultura media sull’hip hop è abbastanza scarsa, a differenza di altri paesi europei, come la Francia ad esempio, che conoscono molte più robe di noi! Molti non sanno nemmeno l’esistenza della cultura della campionatura ad esempmio, la vera tradizione dell’hip hop. Ci sarebbe bisogno di informarsi e di informare. L’informazione è importante e magari con questi tapes, i ragazzini cominceranno ad affamarsi.
Ok, è stato un vero piacere fare questa chiacchierata con te, grazie mille per il tuo tempo.
Grazie a te.
Kame.