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ARTS

Thorgerson e i simboli di una generazione



 

 

Come dimenticare il triangolo arcobaleno di “Dark side of the moon”, o la mucca di “Atom earth mother” dei Pink Floyd, o ancora la faccia squagliata del “Volume III” di Peter Gabriel: sono tutti lavori che rappresentano la creatività che la musica del XX secolo ha trasformato in visual art, finalizzata ad estendere i sensi di una generazione che fantasticava.

 

Il rock aveva bisogno di un’immagine, che definisse un disegno dei pensieri della gente, e la psichedelia degli anni Sessanta aveva già contribuito a riempire di colori le copertine di alcuni degli album di quel tempo. Thorgerson ha arricchito la musica di iconografie e significati nuovi, grazie al suo modo rivoluzionario di affiancare ad opere immaginate, fotografie reali, per assecondare la voglia di evasione dei giovani di quel tempo, sempre più incazzati e stufi della staticità che i paletti costruiti dai “grandi” gli imponevano.

Le sue istallazioni temporanee venivano catturate dal suo occhio geniale trasformandosi in simboli, innalzando l’artista nell’olimpo degli immortali.

È così che le cover, diventano uno strumento di esplorazione dell’immaginazione, il disegno della voglia di andare oltre, di superare le barriere della creatività, in modo illimitato.

 

Thorgerson ha abbandonato questa terra, che con i suoi lavori ha cercato di colorare, ma lasciandoci non soltanto importanti opere d’arte, ma pezzi del suo modo di vedere il mondo, che ci hanno aiutato, e ci aiutano ancora, a pensare in modo diverso, a fregarcene di quello che gli altri vogliono per noi ed a spaziare, almeno con la mente, verso mondi lontani.

Per fortuna.