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Rubrica fantasma # UBBRIAGA!!



vodkabond_2185674b Partiamo dalle premesse: bere non è solo alcol. Se bevessimo per l’alcol, saremmo tutti artisti, Nobel e scrittori dunque lasciamo perdere che il discorso non ha senso. Si beve perché è buono, e nel buono troviamo il piacere del bello. E nel bello troviamo tutto ciò che segue, ovvero l’amore, ovvero la compagnia, ovvero gli amici, ovvero il tutto che ci rende vivi e dunque giovani e dunque qui.

Ma premesse fatte, parliamo di chi beve e sa bere: io per primo mi sento obbligato a citare un unico ovvio maestro ed eroe:

             “ James Bond bevve il primo bicchiere della serata al Fouquet [di Parigi]. Non era un bicchiere sostenuto. Impossibile bere sul serio nei cafés francesi. All’aperto, su un marciapiede, al sole, non è posto adatto per la vodka, whisky o gin. Un fine à l’eau è abbastanza consistente, ma da alla testa senza aver il gusto particolarmente piacevole. Un quart de champagne o un champagne à orange è perfetto prima di pranzo, ma la sera un quart vuole esser seguito da un altro e una bottiglia di uno champagne qualsiasi non è una buona base per una serata. Un Pernod è possibile, ma deve esser bevuto in compagni, e comunque a Bond non era mai piaciuta quella roba perché quel sapore di liquirizia gli ricordava la sua infanzia. No, nei cafés bisogna bere la meno offensiva di quelle bevande da commedia musicale, tipiche di quei locali, e Bond prendeva sempre la stessa cosa, un Americano: Bitter Campari, Cinziano, una larga fetta di scorza di limone e soda. Quanto alla soda, ricorreva sempre alla Perrier, dato che al suo parere una soda costosa era sistema più economico per migliorare una bibita scadente.”

da Solo per i tuoi occhi, Ian Fleming- 1965

Potrei già chiudere quest’articolo qui, dato che immagino, pochi di voi sono ancora a leggere quest’articolo in questa giornata di Giugno senza esser già scappati dalla SavonaRosy o dal suo pachistano di fiducia (tutti ne hanno uno preferito che odiano maggiormente ma da cui sempre tornano). Potrei chiudere qui, ma ai fatti l’argomento è molto gradevole da affrontare e se mi permettete vorrei continuare, perdonando il lessico.

Ritorniamo a noi. Il drink, il cocktàil, la beuta, la benza. La cannuccia alla bocca ed il ghiaccio tintinnante: vengono in mente mille immagini e sapore. Il drink, già… è un discorso tanto ampio che mi piace affrontare con i miei soli mezzi anatomici dato che penso di esser uno dei pochi scrittori di un magazine online senza una continua e frizzante connessione internet.

log goodbye

Eppure, scavando nelle immagini allegre della mia memoria e delle mie grandi ispirazioni vengono in mente l’immortale  investigatore privato Philip Marlowe che con una sigaretta inesauribile in bocca passeggia da scena in scena in ’Il Lungo Addio’ di Robert Altman, e con il C.C & Ale ragiona sulla scomparsa del suo migliore amico, la morte violenta della sua moglie e lo strano collegamento con uno scontroso scrittore alcolizzato. In una delle scene, l’indefinibile e psicopatico ‘pezzo da 90′ (di cui non ricordo il nome, ne posso ricercarlo per mancanza di internet) mentre beve una coca-cola da una bottiglietta, che per dimostrare il suo crudele, insensato, irresponsabile potere si rivolge alla sua bellissima e timida amante: ” Sai che sei la donna della mia vita?’ le dice, e le spacca la bottiglia in pieno viso.

Cosa c’entra? Tutto e nulla. C’entrano lo spirito, il senso, il nesso dietro un mix di liquori, il mistero dietro una cassa da morto riempito di bourbon durante il proibizionismo, l’assenzio di cui si drogavano nel delirio creativo gli artisti maledetti ma altrettanto immortali dell’ottocento francese. C’entra l’energia dietro un mix di sapori, il potere che alimenta le menti e stimola il corpo… centra il contrabbando da poco scoperto di Sambuca italiana nascosta in bottiglie dell’acqua Panna su richiesta di un sultano Iraniano. Centrano il viaggio nei primi anni ’70 di Hunter S. Thompson e dottor Gonzo tutti fatti e ubriachi in giro per Las Vegas alla ricerca del Sogno Americano.

Qual è il Sogno Fiorentino? Quale, l’incubo italiano? Non esiste una risposta precisa. C’è solo un consumo spropositato e di pessima qualità di ‘bevute’, incomprese e incomprensibili. Una moda passeggera dietro il locale più ‘in’, la barista più fia o più tettona, il locale più economico e quello più imbenzinante. Si è perso un po’ il gusto e decisamente il piacere. Si è persa l’era in cui il conte Negroni, secondo le leggende, lanciava in faccia al barista (dell’Harris Bar? O del Café Giocosa? Maledetto internet) l’intero cocktail perché contente troppo Campari. Troppo, dato che per il conte, la dose necessaria di Campari per un buon cocktail negroni era sciacquandoci il bicchiere. Bastava quello. Invece oggi si finisce nell’esagerare in tutto e fare male tutto il resto.

 

La prossima volta lanciate in faccia al barista quella torretta di ghiaccio nel vostro bicchiere, offrite un drink buono alla ragazza più carina del bar, non perché è figa, non per farla ubriacare, non perché ve lo potete permettere, ma perché un drink buono implica una serie infinita di cose che non quest’articolo, non un’assidua pubblicità, non un’intera guida alcolica sa spiegare bene, sa rendere chiaro né consono… ma comunque un buon cocktail è un bene, e dopo averne bevuti un paio rende tutti d’accordo.

 

 The_Absinthe_Drinker_by_Viktor_Oliva