EUROBOTIKA!
Da ‘Queste Memorie di Galassie Estinte’ di Janos Mark Szakolczai
Il robot mecha-strutturatore corse per tutta la pianura planetaria a massima velocità. Caricava le gambe al massimo delle sue capacità, le molle arrugginite delle sue gambe meccaniche cigolavano a ogni slancio, ad ogni veloce passo, ad ogni furtivo balzo. Correva, quanto gli fosse capace, verso il pannello RET, situato a SUD Pet della struttura planetaria. Qualcosa stava coprendo il pannello centrale della struttura: sabbia certo, facendo calare negli ultimi 40 minuto il 13% dell’energia raccolta.
Diligentemente, il robot mecha-strutturatore raggiunse con tutta la sua velocità il pannello e analizzò la brillante piattaforma solare che volteggiava nell’aria: i suoi sensori riconobbero quasi nell’immediato l’anomalia tecnica nell’angolo destro del pannello, e si avvicinò furtivo per confermare le cause del problema. Non c’erano dubbi, un piccolo meteorite aveva colpito l’asse micro frantumando il suo pregiato vetro.
“ –.-.-.-.-.-.—.-.–.–.—–.-.-.———-.-.-.-.-..–..-..-..-.–.-.-.-.–.-.-.-.” trasmesse in binari alla Mente centrale spiegando l’origine del guasto, e si mise velocemente con le sue dodici braccia a svitare le piastre fratturate.
“_-__-_-_____——____” ritrasmesse la Mente, confermando la previsione di ristabilizazione di operatività al 100% entro cinque secondi.
Il mecha-strutturatore sostituì con le sue dodici braccia uno a uno i micro pannelli intercambiabili, ripulì la piattaforma solare, e controllò il livello di assorbimento energetico della lastra: 100%. Perfetto nella sua perfezione.
Completato l’incarico, soddisfatto (se così si può interpretare quello stimolo sensoriale d’approvazione dei suoi circuiti), il Mecha-Strut diede le spalle al pannello riparato e si riavviò verso la base operativa. Le sue lunghe gambe affondavano agilmente sulla sabbia che ricopriva l’intero bollente pianeta: riusciva, ad ogni passo, a varcare in velocità i cinque metri. Ma fu proprio per questo suo elevato slancio, che non appena la sporgenza della sua ‘gamba’ che funzionava da ‘piede’ urtò contro qualcosa sotterrato a fior di sabbia, il Mecha-struturatore volò a terra rotolando per una ventina di metri. Non aveva subito danni nella caduta, ma aveva sollevato talmente tanta sabbia, una nube addirittura, che pur con i suoi sofisticati sensori una volta rialzatos non riuscì a riprendere il proprio d’orientamento per diversi attimi. Aveva analizzato istantaneamente le sue nano cellule, concordando di essere al 100% operativo. Un incidente, banale ed imprevedibile. Nulla era successo. Eppure… non riprese la sua corsa verso la base. Qualcosa, un oggetto, una forma anomala era rotolata insieme a lui, fibrillando ai suoi sensori: non era una pietra, non era un suo frammento, non era un pezzo di nessun altro robot né parte di un prodotto che lui aveva il compito di controllare. No, era qualcosa che non aveva mai visto né analizzato prima. Qualcosa che differiva dagli unici elementi che fin allora aveva costituito il pianeta che supervisionava: sabbia e pietre vari, i pannelli solari, se stessi e gli altri Mecha-strut come lui. No, quella cosa era diversa, mai riscontrata prima. Sconosciuta.
Si guardò intorno, e in quella nuvola di sabbia che si era finalmente depositata riuscì a scorgere altri oggetti simili al primo, grigi e ruvidi, butterati, di dimensioni e forme di diverse. Estremamente, sì, senza dubbio, estremamente antiche. Il Mecha-strut ne raccolse uno, il più vicino, l’osservò attentamente: era di forma allungata, come un grosso bullone di circa quaranta centimetri, ingrossato alle sue estremità. Leggero e resistente, eppure corroso. Lo spezzo in due e vi guardò all’interno: era ancora più bucherellato, con addirittura un corridoio cavo.
Il Mecha-strut lasciò cadere l’oggetto e raccolse un altro del mucchio dissotterrato: questo invece era leggermente sferico, con due grandi fori uno accanto all’altro, e sotto altri due, più piccoli. La sua struttura era cava, più sottile, estremamente fratturata, come se fosse stata composta, incastrata insieme. Pareva, vagamente ricordava la struttura della sua scatola celebrale, dove erano installati i principali programmi del software interno dei suoi processi e procedimenti. Assomigliava a quella scatola, dove lui possedeva le sue due video-cam, che coordinavano i suoi gesti e gli permettevano una visuale a sensi, e non informatica. Quell’oggetto tondo, concluse il Mecha-Strut nel delizioso ‘stupore’ assomigliava, o sì, di certo, dovevano essere i resti un suo antico, antichissimo antenato. Perché era antico di certo: senza dubbio, in ogni sua consistenza, in ogni suo design e senso strutturale.
E fu allora che la Mente inviò un messaggio a binari di richiamo che il Mecha-Strut ignorò, ancora affascinato dall’oggetto da lui scoperto. Si piegò invece, cercando di ripulire da terra tutti gli oggetti rinvenuti, quella strana composizioni di, possibile, possibile? Arti? Braccia…?
Quella sporgenza che aveva raccattato per prima, poteva essere, certo assomigliava ad una parte della sua lunga gamba, e perché no, quei mille frammenti che di certo si erano dissolti nell’impatto, potevano essere invece alcuni hardware estremamente simili al proprio, lo schermo ricettivo solare magari. Oppure un’antenna.
Quella cosa precedente inoltre, concluse in Mecha-Strut con grande perspicacia, doveva possedere molti meno arti di lui, forse addirittura soltanto due, e altrettante gambe, se così si potevano definire. Una testa, due gambe, due braccia, poi una struttura centrale, stretta ed eretta. Un corpo, sì, una Struttura, una strana, assurda, antiestetica, antilogica, Creazione.
Scintille saltellarono nelle fibre del Mecha-Strut, strane, folli, felici sensazioni. Quella cosa, quell’ammasso di detriti lo rallegrava, gli dava una strana carica, una strana passione. Gli vibrava nei sensi strani relitti, strani fari criptati, strani file nascosti, rimasti sommersi nelle memorie cinetica dei suoi cip. Strane domande filosofiche che ogni micro-struttura celebrale era stata posta nell’arco della sua funzionalità, dai 200-500 anni, ma poi ignorate per mancanza d’informazioni. Quell’ammasso di strane ‘ossa’, si ossa! La parola gli sorse con strane associazioni. Una parola che non sapeva, che non era pronunciata da centinaia, centinaia e centinaia di anni, ora era uscita dalle sinapsi delle sue fibre 00030. Ossa, strutture, fibre strane e assurde, antichissime, follemente fragili cose, costituzioni, funzionalità. Erano parte, (possibile? possibile? Possibile?) erano parte di qualcosa, qualcosa d’impronunciato, qualcosa di ricorrente, riecheggiante, qualcosa d’incompreso, qualcosa (possibile? Possibile? Possibile?) qualcosa qualcosa.
Era qualcosa che le giga-menti calcolatrici, grandi come Lune, sparse per le galassie, organizzatrici e mediatori della cyber-struttura, della iper-piramide informatica che costituiva ordine e armonia in tutto il sistema robotico unistellare, era qualcosa che questi iper calcolatori, infi-strutture, mega processori, era qualcosa che loro di certo si erano a lungo chieste, si erano per secoli e secoli posti, quel qualcosa era quello che cercavano, cercavano di capire. Quelle Ossa, sì, quelle briciole sparse, erano qualcosa di ORGANICO.
E fu in quell’attimo, nel pronunciare virtualmente quelle parole, strani bruciori presero la struttura digestiva del Mecha-strut, strani giramenti sensoriali, strane vertigini alle sue secche gambe. Sentiva un impulso verso quella cosa, quella CREATURA. E mentre infinti messaggi di richiamo pulsavano nel suo sistema, mentre l’intera rete informatica universale pareva vibrare dentro i suoi sensi, mentre tutti gli occhi dell’universo robotico cercava di comprendere quella parola che aveva pronunciato, sparato verso l’intera rete, l’intero impero iper-sensoriale, il Mecha-Strut ebbe un impulso incontrollabile, una assurda sensazione, un bisogno frenetico: strinse la le sue secche dita l’osso di forma ovale, quello che si, ricordava il suo volto, quello, quello, quel… Teschio! Teschio! Teschio!
Strinse il teschio, mentre i suoi sensori ottici bruciavano nella irreale commozione.
“ Mamma…” disse: Mamma sillabò, con una tale energia da far tremare l’intera struttura informatica universale, tutti i robot dell’universo si fermarono, si ghiacciarono, e si connessero contempoamente nella mente del Mecha-strut, mentre lui, esitante, poi sempre più convinto, si avvicinò al teschio (si teschio! Teschio era certo! Erano tutti, tutti, tutti certi!), si portò al viso quel granello di tempo, granello di sogni, granello di Creazione e destino, e lo baciò.