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L’OCCHIO SPENTO E IL VISO DI CEMENTO
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Rubrica fantasma# SCI-FI ‘Eppur Nessun Risponde’



EPPUR NESSUN RISPONDE

Xiao Yang controllò l’indirizzo scarabocchiato in caratteri cinesi sul suo taccuino, riconfermò il numero civico e scese dal suo Yamaha Beluga del 1983. Seppur vecchio di cinque anni, Xiao lo faceva ruggire per le strade di New York come se fosse nuovo. Le sue consegne erano sempre in tempo. Sempre calde. Sempre lorde di mance.

Eppure c’era qualcosa di strano in questa consegna. Prima di scattare in sella, un signore che aveva fatto un ordine poco prima alla casa era comparso accanto alla sua moto, ricordandogli di prendere le lattine di coca, che l’indaffarato Xioao aveva dimenticato in cucina. Ringraziandolo per la sua sbadataggine corse in cucina… eppure Xiao ebbe una strana, irreale sensazione in quell’attimo, in quel piccolo imprevisto, che non riuscì mai a definire che lo assillò per l’intero viaggio. Un déjà-vu profondo, estremamente profondo, tanto che preferì lasciar perdere.

Aprì di scatto il baule con sopra scritto con la tipica grafica stereotipata cinese ‘Rosticceria Laouzu’ tirandone fuori due sacchetti: uno contente le famose nove lattine di Coca-Cola, l’altra le fumanti porzioni di spaghetti saltati. Così, stringendo in un pugno la consegna, rilesse i nomi poco illuminati sui campanelli del grattacielo, fino a trovare ION Sert.

“ Cinquantaseiesimo piano, amico” disse una voce metallica dal citofono prima ancora che suonasse il campanello.

“ Rosticceria Laouzu…?” rispose esitante Xiao.
“ Lo so, amico. Questa è la ION Sert. Porti su la consegna al cinquantaseiesimo piani.”
“ Si… ok.”
“ Cinquantaseiesimo piano.” ripetè il citofono.
Xiao spalancò il portone non appena aperta e corse in cerca dell’ascensore. Il primo a suo rammarico era guasto, il secondo, occupato. Xiao pestò tre volte i piedi per terra impaziente, premette ripetutamente il tasto chiamata, finché finalmente le porte gli si aprirono davanti, e corse dentro premendo a raffica il ’56’. Un modesto attacco di pianola accompagnò i seguenti due minuti.

Henry Curt intanto, responsabile generale della ION Sert, uscì dal suo ufficio, e si piazzò paziente di fronte all’ascensore con i soldi contati già in mano, più una modesta mancia. Appena si aprirono le porte, Xiao quasi gli si scontrava contro, se non per fermarsi un attimo prima, e decantare:
“ ION Sert, prego?”
“ Si. Grazie.” rispose Curt con un sorriso.
“ Ma…” esitò un attimo Xiao confuso.
“ Dica.”
“ Lei…” Un lampo esistante, un immagine, un volto, una fitta alle tempie.
“ Prego?”
“ Lei era quella persona…”
“ Che persona?” sorrise Curt.
“ E’ stata lei a ricordarmi di prendere le lattine che avevo dimenticato!”
“ Beh…”
“ Ma, come, nel senso, lei…”
“ Non ero io in ogni caso, penso si riferisca di certo a mio fratello gemello, è lui che ha fatto l’ordine.”
“ Ah.” rispose, dubbioso. Possibile si vestissero uguali? Possibile avesse quel neo… possibile…
“ Non è di fretta?” sorrise nuovamente Curt, divertito.
“ Si.” annuì  Xiao di scatto, ondeggiando i suoi nerissimi capelli a spago: era già in ritardo.
“ Ecco a voi gli spaghetti, e le bibite. Fanno 8 dollari e 56 cents.”

Ci fu un rapido scambio di beni. Xiao era ancora confuso, leggermente scosso da quel volto, che gli pareva aver visto più volte, ripeturo, clone di ricordi… decisamente più volte di quanto potesse capire. Il suo sorriso echeggiava misteriosamente sua memoria, nei suoi pensieri, nella sua comprensione,  ma abbassò comunque la testa in segno di saluto, o riconoscimento, o delusione, e mitragliò il dito sopra il tasto ‘0’, sparendo al chiudersi delle porte dal resto di questo racconto.

Concentriamoci piuttosto su Henry Curt, che a dir la verità non possedeva affatto alcun gemello, o parente o alcuno che potesse lontanamente assomigliarli così tanto od in maniera tanto confondibile. Era stato Henry Crut stesso a prendere quell’ordine venti minuti prima, in un certo senso. Più o meno.

Con le buste in mano, tornò nel suo ufficio, dove lo aspettavano affamati i suoi due decennali, e geniali, colleghi: il dottor Hermes Kittle, fisico e il dottor John Goldinucci, matematico. Loro tre costituivano la mente della modesta ma promettente ION Sert.
“ Le ha portate stavolta le coke?” chiese Kittle seduto con una sigaretta in mano.
Curt annuì e pose le due buste sul tavolo.

“ Ce ne è voluta.” disse Golducci rovistando nei sacchetti avaramente: “ Ma se non altro, è l’ennesima riconferma del nostro successo.”
“ Si.” sorrise Curt,  stappando la prima lattina: “ L’IX.up funziona perfettamente.”

E tutti e tre si voltarono silenziosi, con odissee di pensieri eccitati e gloriosi che si scontravano nelle loro menti, verso l’IX.up, la loro più grande, più geniale, più perfetta invenzione: la prima macchina del tempo mai creata, si, viaggiatrice di cronologie, partorita in una notte piovosa nel novembre del 1988.

“ Alla nostra Macchina del Tempo!” propose sorridente Kittle alzando la sua coca.
“ Non facciamo troppo gli sbruffoni, la macchina ancora non è perfetta.”disse John Golducci.
Non perfetta?” s’inorridì orgoglioso Kittle.
“ No, come ben sai possiamo soltanto viaggiare indietro nel tempo, e non nel futuro. Dunque, brindiamo piuttosto alla Scienza, che ci aiuterà a completarla.”
“ Brindiamo allora al Passato, che adesso è nostro.” concluse Curt con orgoglio, scontrando la sua lattina con le altre due.
“ Una dichiarazione altrettanto sbruffona…” puntualizzò Golducci: “ Ma se non altro veritiera.”
Veritiera. Vero. Verità e prove erano emanate da queste tre figure, i geni, che per la prima volta, avevano dominato il tempo. Avevano creato un mezzo unico al mondo, unico nel genere, primo, a cambiare la storia, all’infinito. Che potevano utilizzare con tanta, elementare semplicità, da poter viaggiare tranquillamente indietro di qualche minuto, e cambiare leggermente le vene del tempo, quanto basta per ricordare ad un corriere cinese di portare le bibite al proprio cliente.
Questi tre uomini che ora spezzavano le bacchette di legno, questi scienziati, furono capaci di tanto.
“ E adesso torniamo al discorso di prima. Mangiando le idee vengono meglio.” disse Kittle, annusando i suoi gli spaghetti con gamberi saltati.
“ Giusto. Signori, amici, colleghi, geni di questo nostro clamoroso progetto.” intervenne con il suo fare oratorio Curt: “ Troviamo una soluzione dunque: come possiamo rilanciare questa nostra, diciamolo a pieni polmoni, Macchina del Tempo?”

“ Ed io lo ripeto. Contattiamo l’esercito.” disse Kittle: “ questa è… peggio di una bomba atomica, è… tutto. E noi lo possediamo in relativa tranquillità soltanto perché nessuno all’infuori di noi sa nulla. Niente è uscito da queste quattro mura, ma se qualcosa, qualunque cosa, qualunque prova credibile finisse nelle mani sbagliate…”
“ Che si ricollega al nostro problema di fondo: noi non possiamo in alcun modo prevedere il futuro, ma soltanto viaggiare e modificare il passato.” intervenne Curt.
“ Appunto. Dobbiamo portare il progetto di fronte al ministro della difesa, contattare il Pentagono. Non possiamo cercare altre vie. Non sarebbe… sicuro.”
“ E se invece l’Esercito stesso mettesse a repentaglio la nostra sicurezza?” chiese Golducci: “Se il Pentagono vedesse l’IX.up come una qualche minaccia, se la volesse utilizzare per qualche folle scopo? Saremmo eternamente colpevoli di aver costruito un’arma, oppure la macchina della nostra fine. Non possiamo fidarci.”
“ Cosa proponi invece John?” chiese Henry Curt.
“ Lo facciamo vedere ai nostri colleghi scienziati. Lo sai come la penso Henry. Scienza prima di tutto. Organizziamo una convention mondiale e presentiamo la nostra macchina del tempo. Gli usi e soluzioni verranno a seguito. Noi siamo tre, pensate a quali potenziali potremmo trovare unendo le menti di tutto il mondo su questa unica, rivoluzionaria macchina!”
“ Sono d’accordo.” disse Curt, aprendosi un’altra lattina: “ D’altronde, non possiamo rimanere qui chiusi all’infinito ordinando cinese. Dobbiamo rivelare al mondo la nostra scoperta… insieme, potremmo addirittura risolvere il problema del viaggiare nel Futuro….”
“ E se il mondo invece non fosse pronto?” disse Hermes Kittle: “ se gli scienziati sovietici invece che unirsi a noi nel progetto usassero l’IX.up per folli motivi. Dobbiamo esser sicuri che questa macchina sia controllata, sia costudita. Non abusata- per questo bisogna mettersi in contatto con qualche forma di ordine, esercito o chicchessia. Non abbiamo il diritto di compiere… errori.”

Ci fu nuovamente un attimo di silenzio, dove tutti e tre gli scienziati si voltarono verso il silenzioso IX.up che lampeggiava pigro in fondo alla stanza, come un gatto che dorme, certo, in qualche modo, di esser osservato.

“ Dobbiamo trovarci casomai un mecenate.” disse Curt: “ qualcuno a cui mostrare il progetto che ci può sostenere e allo stesso tempo proteggere.”
“ O un mercenario.” disse Kittle: “ Non vedi, Herny? Sei direttore della ION Sert, hai tutti i contatti che vuoi e un patrimonio di milioni di dollari, eppure proponi di ricercare qualcun altro che ci aiuti, un mecenate, protezione. E’ perché hai paura. Abbiamo tutti paura. Non appena la macchina del tempo uscirà da quest’ufficio, succederà…”
“ Cosa?” chiese Goldinucci.
“ Non lo so! Non lo so. Un casino. Ho paura… un casino. Siamo stati cinque giorni a fare esperimenti, a fare test, prove, e riprove… la prospettiva di NON sapere, saper tutto, poter vedere tutto del passato, ma il futuro…. mi ha forse reso paranoico, eppure, eppure… qualcosa non torna.”
“ Diccelo Hermes: che cosa non ti torna?”
“ Un pensiero, ecco tutto… un dubbio, a cui di certo avete pensavo anche voi. Qualcosa che non avete il coraggio di dire, ma so pensate entrambi da un po’ ormai.”
I due scienziati, Curt e Goldinucci si guardarono per qualche attimo in silenzio, per poi annuire. Anche loro sapevano, si, senza aver il coraggio di dire. Era un misto di paure, tante, tantissime angosce, il terrore della bomba, si della atomica, della guerra, il terrore profondo di quegli anni, del disordine, il terribile disordine, ma c’era anche altro, qualcosa di molto più lineare, più incomprensivo, meno palpabile, più misterioso, follemente, terribilmente misterioso.

“ Rispondetemi dunque. Ditelo.” mugolò Hermes: “ Perché, perché diavolo, perché, ditemi, per quale motivo ancora nessuno dal futuro ci ha contattati?”

Silenzio, che così tante volte interrompeva le conversazioni di questi tre scienziati quella notte, rimpiombò tra di loro. Già, riflettevano nelle loro menti stanche, affrante, turbate: perché nessuno si era messo ancora in contatto con loro? Possibile che dal futuro, ora che questa macchina esiste, possibile che adesso il viaggio nel tempo è una realtà, nessuno sia tornato ancora indietro, sia venuto tra di loro, abbia dato notizia. Non potevano guardare nel futuro per capire, è vero, ma dal futuro perché non venivano?

“ Le ragioni possono essere diverse.” Disse finalmente Curt.
“ Dimmene una, una che non ti fa rizzare i capelli.”
“ Beh…”
“ Hermes ha ragione.” intervenne John: “ qualcuno, o qualcosa, dovrebbe tornare. Ha senso. Se questa macchina diviene di pubblico dominio, se riusciamo a far si che tutti ne possano far uso, se quello che speriamo avvenga, avviene davvero…”
“ Qualcosa succederà infatti.” concluse tenebroso Hermes Kittle: “ Ma sarà qualcosa… di sbagliato.”
Esitazione, nuovamente. Un silenzio mortale, dove si poteva addirittura udire le bollicine frizzare allegre nella lattine aperte. Si sentiva il dubbio, macinare di pensieri: tre grandi scienziati che pur dominando il passato ponevano dubbi verso l’incomprensibile, verso l’ignoto, verso il futuro.

“ Basta.” s’impose duro Curt sbattendo il pugno sul tavolo: “ facciamo così.”
Ed in quell’attimo prese una penna e scrisse in stampatello su un foglio sulla scrivania: ‘DITECI CHE COSA E’ SUCCESSO, COSA CI SUCCEDERA’: siamo nel 1988, 28 Novembre. Ore 23. RISPONDETECI.’
“ Rispondeteci?” rilesse Goldinucci.
“ Già. Adesso chiuderemo questo foglio nella nostra cassaforte. Forse ci succederà qualcosa, non voglio immaginare cosa, o come… ma per qualche motivo noi non verremo indietro, non lo stiamo facendo e di certo se ci fosse possibile  l’avremmo già fatto, ancora prima di pensarlo in questo attimo, o cinque minuti fa. I nostri dubbi dovevano svanire. Forse è come dici tu Kittle, ci faranno del male, non so. Forse per qualche ovvia ragione non possiamo tornare indietro, né io ne voi. Ma qualcuno deve pur leggere questo messaggio, nella marea del tempo. Giorni, mesi, anni o secoli da oggi. La cassaforte rimarrà, e ovviamente prima o poi sarà aperta. Prima o poi. Una cassaforte non può rimanere in eterno chiusa, e qualcuno deve pur mettersi in contatto.”

“ Non l’hanno ancora fatto. Nessuno di noi.”
“ No. Ma potrebbe succedere a istanti. Qualunque attimo di quest’ora qualcuno deve venire. Qualcuno risponderà.”

Curt si alzo di scatto, aprì la cassaforte dopo averne svuotato tutto il contenuto, poggiò il foglio delicatamente, e la chiuse con cura.

“ Potremmo morire per qualche assurdo motivo…” farfugliò Goldinucci: “ Un corto circuito, tutto il grattacielo in cenere, e con noi tutti i dati del progetto, tutto il database…”
“ No, no.” intervenne Hermes: “ come ci siamo riusciti noi, prima o poi qualcuno riuscirà a ricreare le formule, nell’arco del tempo, dell’essere, qualcuno per fortuna o per scienza, creerà la Macchina del Tempo. Se non la nostra, ci saranno altre ere, altre realtà. Abbiamo creato la macchina del tempo, un biglietto come il nostre farebbe scalpore, così tanto scalpore, considerando la nostra reputazione. Qualcuno saprà, qualcuno se ne accorgerà, qualcuno per giocio, per sfizio, per curiosità nel futuro ripenserà… qualcuno tornerà indietro.”

Eppur non venne nessuno. Passò un’ora intera, passata in silenzio, in nervosismo, in incertezza e sconforto, eppur nessuno rispose. Qualcosa a breve sarebbe accaduto, adesso nella loro mente erano certi, avevano la prova, nessuno dal futuro gli aveva risposto…

“ Dunque non esiste futuro.” disse tenebrosamente Kittle: “ quella macchina, l’Ix.up, cambierà qualcosa, succederà qualcosa, qualcosa di terribile.”
“ No, ci posso esser infinite ragioni, che noi non possiamo comprendere…” intervenne Henty Curt.

“ L’unica certezza che abbiamo, l’unica prova, è di possedere una macchina del tempo che potrà cambiare l’intera umanità, cambiare senso della storia, del vivere, dell’esistere. Abbiamo questo, l’invenzione forse più rivoluzionaria della razza umana, abbiamo questo in mano, e alla vigilia del suo rilascio, qualcosa accadrà, o dovrà accadere, che…”

“ Che?” chiese Goldinucci.
“ Che non possiamo permettere.” concluse Kittle, alzandosi in piedi. I suoi occhi fissavano freddi il loro più ambizioso, più fortunato progetto.
“ Hermes, non vorrai…” sussurrò con voce strozzata Curt.

Ma Kittle non rispose, si avvicinò invece a quel primo ed unico guardiano del tempo di mano umana, la macchina del tempo, oscuro oggetto che nella sua mente avrebbe causato così tanti, misteriosi e incomprensibili mali: anni di ambizioni e dolorosi sforzi, soldi su soldi di ricerca, anni e anni, litigate e capelli bianchi. La fissò, sotto gli occhi inorriditi dei suoi immobili colleghi, la fissò silenzioso, considerando tutti gli sforzi infranti, tutte le ambizioni rastrellate: la fissò come fisserebbe un padre il figlio travolto in un incidente mortale, dove ogni sforzo, ogni passione, ogni ideale, si sfuma dagli occhi in una tenebra di infelice incompletezza. Fissò così quella strana, selvaggia, perfetta, divina, infinita macchina, finché, con uno scatto potente, pieno di disprezzo e odio, pieno di rabbia e delusione, la spinse giù la dal tavolo su cui era appoggiata, frantumandola al suolo.

 

 

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