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Elysium: un film bello, esaltante e incazzato nero.



Per qualche motivo di questo film le recensioni sono pessime, ed io spesso nelle recensioni pessime nuoto. La gente è molto più brava a distruggere un film che apprezzarne il contenuto. Anzi, si sa, apprezzare un film oggi è out.

Non starò a parlare della trama, preferisco piuttosto citare l’anime a cui è stata ispirata l’idea, Alita-l’angelo della battaglia, manga giapponese anni ’90 dove due città si sviluppano una sopra l’altra, la prima Jeru è ricca, prosperosa e immortale, una spiecie di misterioso ed inaccessibile paradiso, e sotto di essa: Salem, immensa città discarica dove vige il delirio e la povertà.

Su queste basi si fonda senza ombra di dubbio il concetto della città spaziale Elysium, ora film di Neil Blomkamp, giovane regista divenuto piuttosto famoso per il suo precedente e ottimo District 9. Blomkamp, Ispiratosi forse alla violenza robotica e cyber punk del manga ha diretto un film è incazzato nero, non c’è che dire, dove il protagonista (un Matt Damon rasato a zero) per realizzare il suo sogno di raggiungere la città ‘paradisiaca’ salvadosi così la vita non si fa grandi problemi di farsi installare (trapanare) un possente esoscheletro decisamente scomodo alla vista (ma come avrebbe dovuto a togliersi la maglietta da sotto l’armatura?).

Il super cattivo è un cattivo dai livelli psicopatici come non si vedeva dai tempi dei mafiosi di Scorsese. La cattiva (Jodie Foster) è una cattiva dall’espressione indescrivibile. I voli che fanno, i pugni che si danno fanno invidia a Batman che vibra per vendetta contro Bane.

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Tutto questo accompagnato gadget esplosivi incredibili (il cui gusto esaltato e splendidamente tamarro si può vedere nel film precedente del regista) da fucili a carica elettrici, scudi magnetici, spade samurai (pure!), droni ricognitori, robot-poliziotti ninja… accompagnate da facce che esplodono, coltelli che lacerano, spade che trafiggono. La coppia di anziani di fronte a me si piegavano più volte inorriditi. Io godevo.

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Anche la fantascienza non manca, piena di citazioni da THX 1138, Gattaca, Il Mondo Nuovo; il design delle astronavi, la sensazione pulita e ricca della città spaziale… ma come si vede anche in District 9 nelle vicende degli alieni senza integrazione, Blomkamp più che incentivare l’ambientazione futuristica e l’architettura moderna, pare utilizzare la fantascienza come pretesto per raccontare lo sconforto del presente proiettato nel futuro. Nei suoi due film si ha la sensazione più di vivere, ambientarsi, ricrearsi in piccole scenografie, piccoli campi focali: personaggi locali, ribelli, afflitti da un governo freddo e distante, incurante di ciò che li circonda, se non i loro affari. I violenti duelli che hanno luogo sono filmati in piccoli campi, sono battaglie personali, in visioni precise, ambienti circoscritti intorno a cui ruotano i protagonisti, senza mai annoiare (certo qualche flashback in meno poteva farlo) eppure senza mai dare un senso claustrofobico all’opera. I protagonisti sono relativemente pochi eppure paiono molti di più, riescono subito a coinvolgerci, anche con poche parole, ci fanno sospirare, ci fanno sussurrare: riusciranno a toccare Elysium?