Questa rubrica e’ scritta quando possibile e riassume pensieri e vicende di un viaggio in Giappone che l’autore sta compiendo da solo dal 10 Settembre fino al 27 Settembre. I caratteri e gli errori che si possono riscontrare sono per la mancanza di una tastiera italiana e lo scrivere spesso di fretta e sul tablet.
TOKYO- Quartiere Asakusa. 11-Settembre. Ore 23.56.
Penso che pochi paesi al mondo hanno cosi’ tanti miti, leggende, stereotipi e sentito dire agli occhi occidentali come il Giappone. Mi vergogno di dire che cosa mi aspettavo da questo paese, o meglio, quale era l’energia che m’affascinava da sempre, davvero sempre, e m’ha fatto comprare il volo. Per me il giappone e’ ed e’ sempre stato un tempio sacro come quelli dei film> imponente, antico, elegante e tuttavia aperto al, ed affascinato dal mondo… eppure nei miei pensieri distrutto dalle contraddizioni, l’eleganza della loro gentilezza opposta al delirio violento del loro passato, il fascino verso il mondo europeo in contrasto con il velato xenofobismo verso aziende e prodotti occidentali. La dedica immutabile verso il rito accavallata alla ricerca disperata d’innovazione.
Tradizionale riscio’ sulla via di Kaminarinon-dori nel quartiere di Asakusa.
Ma sono bastate 20 ore per farmi ricredere di tutto, riconsiderare, rivedere… guardare questo popolo con occhi diversi, per quanto assurdo, ancora piu’ affascinato di prima ancora piu’ incuriosito da questa loro energia, questo loro sorriso, questa leggera calma, sincera, follemente reale.
I giapponesi non stanno al cellulare. E’ la prima cosa che ho notato, appena arrivato in aeroporto. Tutti gli occidentali hanno acceso subito i cellulare, hanno cercato come tartufi l’emblematico wi\fi libero, intasando file con lo schermo proiettato sui loro occhi stanchi e allucinati. Certo tutti, io compreso, volevamo far sapere ad amici e parenti di esser arrivati, che tutto era apposto… eppure anche dopo, in treno, e poi al ristorante… le persone sono spesso sole, siedono composte al proprio posto sul treno, quando scendono si inchinano al passeggero sedutogli accanto, ma il cellulare… rimane in tasca. Cosi’ al ristorante, cosi’ nel cafe’… i giapponesi leggono, commentano ridendo con altri clienti le ragazze appena uscite (cosa che si capiva bbastnaza palesemente lingua apparte), non stanno al cellulare, tanto che il wi\fi in giappone non ce lo ha nessuno. Lo ha Burger King, lo ha StarBucks, gli altri locali, i cafe’, i mille e piu’ ristorantini che popolano le strada hanno piccole campane che suonano al vento, hanno il te’ offerto, hanno la gatta della padrona che passa a strusciarsi sui tuoi pieni mentre succhi il ramen bollente.
E cosi’ anche il bancomat. In America ormai paghi la spesa passando l’iphone sulla cassa, in giappone a malapena si trovano gli sportelli automatici. Usa ancora il denaro, la cartamoneta da porgere strettamente a due mani con un sorriso. Una cosa reale, concreta, fisica, un numero, associato ad un sudore ed un premio.
Piccole contraddizioni che s’accavallano nei pensieri, piccole realta’ che non mi aspettavo in alcun modo…
Poi noto che anche al semaforo, in questa citta’ enorme, infinita che e’ Tokyo, immersa/sommersa di abitanti e lavoratori, attendono da entrambi i lati cinquanta o piu’ pedoni. E’ rosso. Non si vede una macchina a 200 metri, eppur nessuno si muove. Nessuno corre. Nesuno sbuffa, nessuno spinge. Non sono i fila, sono sparsi, sono accavallati, eppure ordinati, pazienti, di fretta creata, ma in pace.
L’interno del treno di linea da Narita Airport al centro di Tokyo.
In Italia la tecnologia e’ un mezzo che usiamo, sfruttiamo, palpiamo, consumiamo come fosse un giocattolo erotico, nostro mezzo eppure nostro desiderio. Un giocattolo di cui ne curiamo fino all’ossessione la grafica, il design, il peso, la funzionalita’, lo spesso, il costo… il Giappone, chissa’. I giovani guadagnano facilmente 4000 euro al mese eppure i piu’ hanno in mano cellulari giganti della Huawei bianchi, non ascoltano musica per strada, non si si isolano disperatamente e ne segretamente dalla realta’… ma la vivono con energia.
Sono state poche le miei ore in Giappone ancora, mi rimangono ancora due settimane a vagare, tra Tokyo, Osaka e Kyoto… eppure sono state ore colme di gentilezze, sorrisi, regali (regali!) da farmi veramente domandare cosa amavo del Giappone e come faccio, pur avendolo gia’ amato, ad amarlo gia’ immensamente di piu’.
Suggestive barche-ristorante sul fiume Babasaki.