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Murubutu l’intervista!



La storica etichetta Mandibola Records, fondamentale label che ha dato alle stampe opere imprescindibili come i primi lavori di Ice One e Colle Der Fomento, rinasce dalle proprie ceneri come una novella fenice grazie all’intervento della prolifica Irma Records. I primi frutti di questa seconda vita già cominciano a farsi vedere: è di pochi mesi fa la ristampa di B-boy Maniaco, geniale esordio di Ice One, mentre, ultimi in ordine di apparizione, ecco che arrivano anche le ristampe dei primi due album del reggiano Murubutu.

Alessio Mariani, questo il suo nome all’anagrafe, è uno dei rapper più vicini alla definizione di cantautore che si possa trovare oggi in Italia, dotato di una fantastica capacità di storytelling e di un liricismo di spessore, fuori dai canoni e dai clichè del rap classico. Quella che segue è una skipata estiva per celebrare il ritorno alla vita di questi due ottimi dischi.

Buona lettura.

L’occasione che ci porta a fgare questa chiacchierata è data dalle ristampe dei tuoi due primi due dischi.

Entrambi i dischi erano usciti come indipendenti, nel 2009 (Il giovane Mariani e gli altri racconti) e nel 2011 (La bellissima Giulietta e il suo povero padre grafomane). Adesso vengono ristampati da Mandibola/Irma Records .

Le prime tirature erano andate esaurite? Da dove nasce l’idea di una ristampa?

A voler esser proprio precisi non si tratta di una ristampa, ma di una contrattualizzazione dei due lavori e di una distribuzione a livello nazionale.

Che effetto ti ha fatto questa cosa? Positivo, no?

Positivo, anche perchè Mandibola è un’etichetta storica e ha deciso di riaprire i battenti con me, quindi un grande onore. Anche perchè, ricorderai, ha prodotto alcuni dei primi lavori di hip hop italiano, da Ice One ai Colle. Un’etichetta importante per lo sviluppo dell’hip hop in Italia. Inoltre il fatto di avere una copertura a livello nazionale è un salto di qualità, per quanto mi riguarda.

Credi che ristamperai anche qualcosa in vinile?

Non ci ho mai pensato. Me l’han chiesto più volte ma non ci ho mai pensato dal momento che non ho una gran richiesta da parte dell’utenza.

Tu citavi Ice One che, tra le altre cose, è presente con dei remix sul tuo disco.

E’ presente nella versione per Itunes, dove ha curato una produzione ed un remix e, soprattutto, ci sarà una sua produzione nel prossimo album.

Quindi c’è già un prossimo album.

Sì, ormai imminente. C’è un mixtape in arrivo per settembre che sarà, probabilmente, in free download, e poi un album entro l’anno che sarà il terzo capitolo di racconti della mia produzione artistica.

Ho visto che parlavi del mixtape sulla tua pagina fb. Ha già un titolo?

Avrebbe dovuto chiamarsi “Gli ammutinati del bouncing” unendo così la mia passione per Verne al concetto che il rap, ultimamente, sta cambiando un po’ identità.. e allora c’è un ammutinamento rispetto a questo cambio di identità. Anche se poi io non parlo mai di rap nei miei album, è solo una proclamazione d’intenti dove i contenuti poi sono ben altri. Il mixtape quindi si chiamerà “Reliquiarium” a nome Murubutu e La Kattiveria. E’ una raccolta di pezzi minori, remix e collaborazioni. Mentre l’album, che nasce come mixtape e che sarà – probabilmente – prodotto e distribuito da Mandibola/Irma, si chiamerà appunto “Gli ammutinati del bouncing, ovvero mirabolanti avventure di uomini e mari” sempre per il fatto che amo i titoli corti (ride).

Ok, una cosa alla Wertmuller diciamo. Hai voglia di tornare un po’ su questo concetto di ammutinamento che dà il titolo al tuo prossimo disco?

Diciamo che è un gioco di parole che nasce, come ho detto, dalla mia passione per Verne ma anche dal fatto che il disco si va a configurare come un concept album. Una raccolta di racconti, quindi storytelling, che hanno – a differenza degli altri album – un comune denominatore che è il mare. Quindi, in modo molto diverso, tutti i pezzi hanno a che fare con il mare.

Come mai il mare? Tu non arrivi da un posto di mare.

Vero. Forse proprio per questo. Non sono né un navigatore né un amante della vela però il mare, innanzitutto, è buona parte del globo terracqueo quindi ci riguarda tutti. In secondo luogo il mare è un soggetto letterario notevole, ha più o meno toccato tutti i grandi autori, in un modo o nell’altro. E poi da ultimo, il mare è una metafora di tante altre cose. Per cui si prestava in questo esperimento letterario del concept album: avevo il bisogno di un comune denominatore che fosse abbastanza ampio e flessibile e il mare lo è, per cui mi sono orientato in questa direzione.

Cosa ti ispira quando scrivi? Ad esempio: tu sei molto bravo nel raccontare le storie dei personaggi. Come scegli i tuoi personaggi? Quando ritieni che un personaggio possa essere buono per la tua storia?

In linea di massima arrivano attraverso due canali: o leggendo incontro un personaggio che mi piace e allora mi lascio ispirare e lo trasformo in canzone, oppure.. solitamente i miei soggetti sono personaggi che vivono situazioni che mi commuovono. Quando qualcosa mi commuove ricevo la giusta ispirazione e la giusta tensione per scrivere.

Quindi ci sono anche storie vere, immagino.

Anna e Marzio è tratto da una storia vera, così come Martino e il ciliegio o Quando venne lei. Io poi non faccio esattamente delle trasposizioni biografiche, perchè rischi sempre di urtare qualcuno e quindi io mi ispiro e cambio i nomi, non sono mai delle trasposizioni esatte. Sono delle ispirazioni romanzate.

Tu sei un insegnante, giusto?

Si.

Cosa insegni?

Insegno Filosofia, Psicologia e Scienze Sociali in un Istituto Ex Magistrale, quello che formava le maestre.

Riporti in qualche modo, nella scuola, parte della tua esperienza nel rap?

No. E’ una domanda che mi fanno spesso però tengo accuratamente separati i due ambiti. Nel senso che sicuramente l’ambito lavorativo influenza il mio lato artistico, come nel caso del rap didattico, ma non viceversa.

Vogliamo parlare allora del rap didattico?

Certo. Il rap didattico nasce con l’album “Dove vola l’avvoltoio” del 2006 con La Kattiveria. L’intento è trattare argomentazioni culturali attraverso la forma espressiva del rap. Questo perchè si pensa che il rap, oltre ad essere intrattenimento – che è una cosa giustissima – ma che fanno già in tanti, sia anche una forma educativa. Questo già alle origini del genere. Per cui, visto che tanti ragazzi ascoltano il rap – alcune statistiche dicono un adolescente su tre ascolta solo rap italiano – penso che possa essere una grande risorsa educativa e culturale. Non solo per gli adolescenti italiani, che trovano magari tante argomentazioni di cui parlano a scuola ma che a scuola respingono e invece attraverso il rap accolgono, ma in secondo luogo anche per gli immigrati di seconda generazione i quali riescono ad acquisire meglio l’italiano attraverso il rap, soprattutto se usa un certo tipo di linguaggio e di vocabolario.

Quando ti sei avvicinato alla cultura hip hop, quale fu la scintilla che ti fece innamorare di questo mondo?

Questa è una bellissima domanda. Io mi sono avvicinato all’hip hop nel ’91 ’92 quindi siamo ancora nel periodo delle posse. Anche se a Bologna, che è una città vicino a Reggio come tutti sanno, il movimento non era più di tanto politicizzato. Gli Isola Posse erano un movimento antagonista ma non squisitamente politico come gli Assalti o, prima, gli Onda Rossa Posse. Quindi ho potuto vedere lo sviluppo del movimento agli albori: quello che mi piaceva tantissimo era che fosse un movimento, a differenza di oggi, fortemente coeso, nel senso che, proprio perchè era all’inizio e si era in meno, era un movimento di grande identificazione, generazionale, si era tutti amici collegati da qualcosa che era questo movimento, per l’appunto. In secondo luogo il fatto che proponesse dei valori antagonisti rispetto alla società dominante. Era un sentimento adolescenziale ma io ero un adolescente allora (ride) e quindi questa cosa ci sta. Mi aveva affascinato molto questo movimento compatto, che si muoveva su valori antagonisti e che faceva perno su quattro discipline: da adolescente sono tutte affascinanti e questo mi prese tantissimo.

Soprattutto per questa tua abilità di raccontare storie, che è un classico del rap, quali erano i tuoi riferimenti? Te ne butto lì uno: Slick Rick?

Slick Rick lo apprezzo tantissimo sia per flow che per metrica anche se il mio storytelling si differenzia molto da quello di Rick nel senso che io mi rivolgo soprattutto ad un tipo di registro, e di contenuti, squisitamente letterario. Non mi occupo di argomenti street, non ne ho né la conoscenza né l’interesse. Ci sono mc che mi hanno influenzato pesantemente, ma non da un punto di vista contenutistico. Da un punto di vista musicale, espressivo sono tutti mc d’oltreoceano, direi Method Man e Beanie Sigel ma anche Royce da 5’9”. Da un punto di vista contenutistico mi sento abbastanza indipendente nel mio percorso: non è che abbia inventato io lo storytelling in Italia, ci mancherebbe altro, ci sono dei precedenti. Non ci sono dei precedenti così sistematici, diciamo.

E se, quindi, volessimo guardare all’Italia?

Per quanto riguarda l’Italia direi Lou X, uno degli mc che ho apprezzato maggiormente e che mi ha influenzato di più nel corso della mia evoluzione. Dall’inizio fino al ’94 ’95.. poi anche altre cose. Mi piaceva molto Baba quando faceva rap, prima di chiamarsi Babaman. Ho apprezzato molto i primi album di Medda, sicuramente i Colle, Stokka e Madbuddy che, tra l’altro, firmarono uno degli storytelling più belli che abbia mai sentito, adesso non ricordo come si chiamava. Fondamentalmente questi.

Io non ti conosco, ci parliamo oggi per la prima volta. Osservandoti “da fuori” dai l’impressione, nel senso migliore del termine, di essere un cane sciolto all’interno della scena, per tornare alla Bologna degli anni ’90.

Sì. Anch’io ho passato fasi molto diverse, un hip hop militante prima e poi un hip hop molto contaminato dal teatro, soprattutto nel live. Varie fasi sempre, però, molto alternative a quelle che erano le caratteristiche dominanti della scena, perchè penso di essere in grado di sviluppare una mia lettura autonoma di determinate tendenze. A maggior ragione per quanto riguarda la scena hip hop che è fortemente legata, e lo è sempre stata, a stereotipi, clichè, modi comuni di interpretare determinate cose. Se ci pensiamo, dal punto di vista contenutistico, l’hip hop in Italia non ha mai trattato tantissimi temi, si è sempre concentrato su quattro o cinque macro argomenti che tutti seguivano, su cui tutti scrivevano canzoni, tralasciandone tantissimi altri, per non parlare di argomenti che io, addirittura, penso siano considerati tabù qui da noi, per quanto riguarda la scena hip hop. Non ho mai sentito parlare, per esempio, di omosessualità nei testi. Faccio un esempio. Non l’ho fatto neanch’io, ma faccio un esempio. E’ una scena che ha tantissimi limiti dal punto di vista espressivo, pur avendo a che fare con un mezzo che invece, sempre dal punto di vista espressivo, è potentissimo. Questa è una grandissima contraddizione secondo me. C’è un po’ in tutto l’hip hop in generale, in Italia, che è un terzo mondo del rap mondiale, ancora di più. Mi sembra. Tu cosa dici? Io mi son fatto questa idea qui.

E’ molto vero. Certo che, se parliamo dell’omosessualità, anche in America la situazione non è diversissima. Posso pensare a Frank Ocean, uno dei nomi che va per la maggiore adesso, che è stato bene o male il primo ad ammettere di essere omosessuale.

Dichiaratamente omosessuale?

Si, ha fatto coming out. Quello è sicuramente tabù, anche nel paese d’origine. Poi, che in Italia ci siano grossi limiti in quanto ad argomenti, sì, è verissimo.

Ho parlato dell’omosessualità ma avrei potuto dire l’aborto, l’eutanasia, i disturbi alimentari. Tantissimi argomenti, estremamente attuali, che però non vengono trattati. Perchè? Perchè è un movimento espressivo che ruota, non solo attorno ai soliti argomenti, ma anche ad alcune caratteristiche come il machismo, il gangsterismo, questa spocchia continua da un punto di vista espressivo, il porsi sempre come giovani maledetti.. ad un certo punto ho detto “ma che palle! Basta!” Abbiamo un mezzo potentissimo e lo limitiamo così tanto.

Vero. Tra la figura dell’mc e quella del cantautore quali sono i punti di contatto e quali invece le differenze?

Io penso che, se per mc si intende anche l’intrattenitore, non solo il rapper, penso che l’mc sia una figura specifica dell’hip hop, nel senso che ha a che fare con l’espressività, il live e le caratteristiche della scena hip hop. Se pensiamo all’mc come rapper, e quindi a colui che scrive le canzoni e poi le incide, io penso che ci possa essere una linea di continuità rispetto ai cantautori. Chiaramente la differenza qua la fanno i testi. Il cantautore.. teoricamente vuol dire “colui che canta un autore”, però poi nel tempo si è andata a definire in “colui che canta cose di spessore”. Allora anche il rapper, se canta cose di spessore è un cantautore. Sono stato molto didascalico, però mi piace essere preciso.

In parte abbiamo già affrontato la cosa nel corso di questa intervista, ma vorrei quindi sapere qual è il tuo pensiero sullo stato del rap e dell’hip hop in Italia nel 2013.

Parliamo di un fenomeno molto complesso, dato che ad oggi è enormemente diffuso.

Certo, e infatti ne parliamo proprio perchè ha ritrovato questa luce sotto i riflettori. Adesso è quasi impossibile non parlarne.

Tutta questa luce io penso che sia fondamentalmente un bene, nel senso che ci sono più possibilità e di conseguenza è un bene. C’è un pullulare del fenomeno, tantissime persone lo fanno e questo io penso ancora che sia un bene. Ci sono tante persone che lo fanno, tante persone che lo fanno anche in modo diverso, tante galassie all’interno di questo universo e quindi vengono sviluppate tante direzioni diverse. E’ un bene per l’espressività in generale e per le varie proposte che si possono anche confrontare fra di loro. Il male di questa diffusione può arrivare, secondo me, quando l’industria decide cosa è il rap italiano e lo impone attraverso i canali che ha e, di conseguenza, la percezione che le persone cominciano ad avere dell’hip hop italiano è che questo si debba fare solo in determinati modi che sono quelli proposti dall’industria e che stanno in classifica. Questo è l’unico male che può derivare da quello. Per fare un esempio molto semplice: negli anni ’80, il rap per gli italiani, era quello che faceva Jovanotti. Adesso la realtà è completamente diversa, ma il discorso rimane lo stesso: se i media ti impongono la figura del rapper che sta in classifica e lo diffondono attraversi i propri mezzi, la maggior parte delle persone penserà che sia quello, e quindi quando tu fai il rapper ti verranno a dire “ah tu sei quello che fa così!”. Non so se ti è mai capitato, che qualcuno ti dica “ah fai il rapper?” e ti fanno la scenetta delle mani..

Yo, yo, le corna. Come no.

Io quella cosa lì è una cosa che non ho mai sopportato, adesso mi ci sono abituato.

Tra l’altro, ammetto che la prima cosa “rap” – tra moltissime virgolette – che ho sentito in vita mia sia stata Jovanotti. Io ho 35 anni e quindi negli anni ’80 ero bambino e mi ricordo benissimo di lui, di Radio Deejay all’Acquafan, delle apparizioni di Public Enemy e Run DMC, perchè lui ha fatto anche questo. Magari la gente non lo ricorda.. poi è chiaro, uno se si appassiona va a cercarsi altre cose ma il paragone è calzante. Volevo concludere la nostra chiacchierata con questa domanda: sei consapevole di essere considerato un personaggio di culto?

No. Questa mi giunge nuove. Di culto mi giunge nuova.

Si, si.

Nel senso che ho anche dei luoghi sacri a me dedicati?

Beh questo non lo so.

No, di culto non direi. L’idea che mi sono fatto è che il mio nome non è molto diffuso e non è altisonante. Non sono molto conosciuto, ma le persone che sono riuscito a raggiungere, quelle a cui il mio cd è piaciuto, è piaciuto molto. Perchè è un rap caratteristico, diverso dal solito, un po’ più approfondito e quindi magari le persone ci si affezionano di più che non ad un prodotto medio che ascoltano e che poi passano ad un altro.

Non avrei saputo dirlo meglio.

Semplicemente questo.

Ti ringrazio per il tuo tempo.

Grazie a te.