Poco fa qualcuno mi ha descritto con una certa lucidità l’inquietante futuro social della nostra generazione.
Questo futuro, benché confesso piuttosto apocalittico ed in molti versi pessimista, si basa su una semplice e perfettamente lucida previsione: nel vicino futuro quell’intera giovane fetta interattiva e social dipendente che include, diciamo i nati dal 1980-2000, non riuscirà a trovare lavoro, non potrà avviare carriere politiche, non potrà operare pazienti, difendere un accusato di fronte ad una giuria. Perché?
Perché viviamo in un’era dove nella totale assenza di protezione dei propri dati personali scattiamo più foto di noi stessi di quante riusciamo a concepire, e altrettano ne carichiamo online. Pubblichiamo stati per il gusto dello scherzo che offendono sessi, religioni, preferenze, fazioni politiche. Mettiamo ‘mi piace’ su pagine sessiste, offensive, estremiste, indecenti e sopratutto, pubbliche. Commentiamo foto di ragazze che non conosciamo incerti della loro effettiva età, condividiamo fotografie senza alcuna attenzione sulla possibile violazione di copyright verso i loro autori.
Questo facciamo, e se cerchiamo il nostro nome su google le prove sono evidenti. Le nostre foto sono usate da siti esterni, il nostro nome è citato e ricitato su ambigui motori di ricerca minori dall’incerto uso e valore. Questo è perché i nati 1980-2000 sono una fetta di giovani, ancora giovani, ancora del tutto incoscienti della realtà, i primi di una nuova generazione sociale, che senza considerare le conseguenze hanno dedicato anima, corpo, sentimenti e divertimenti a quella grande gloriosa e interattiva mamma Sociale.
I nostri genitori non sono online. I loro volti non compaiono nelle ricerche, le loro foto sono conservate con cura in ingialliti album. I nostri genitori andavano a colloqui di lavoro con spessi curriculum di lavori ed esperienze precedenti. I nostri genitori non erano di dominio.com.
I nostri figli non saranno online. I loro volti non compariranno online e le loro foto saranno segretamente conservate nell’intimità, perché già adesso le generazioni più giovani sono centinaia di volte più cauti e attenti alla propria privacy, al proprio viso, ai propri gusti, i propri sentimenti. Mio fratellino di sedici anni mi ha raccontanto di come in classe sua il venire male in una foto e poi pubblicarla a tradimento fa scoppiare vere e proprie violente risse. Risse perché quella foto poteva esser vista dalla propria madre, anche lei su Fb, o dalla prof, che tutti sospettano sia tra gli amici sotto falso nome. Facebook per i giovani di oggi è una macchina spaventosa, dove le piccole avventure criminali possono esser scoperte. In un mondo sociale dove una madre dubbiosa se il figlio è effettivamente a scuola può chiedergli di scattare e mandargli immediatamente una foto della classe, il sociale diventa un incubo.
Ma per noi? Noi abbiamo visto nascere i social network, i social media, le foto e le condivisione. Siamo cresciuti con loro e siamo parte di loro. Le nostre foto da ubriachi a sedici anni da qualche parte sono depositate, seguite da quelle successive. I nostri commenti sarcastici in gruppi razzisti sono registrati, sono reperibili. Mal interpretabili. Prima che ci fossero importazioni di privacy la bottiglia di vodka alla pesca era nelle nostre mani, e la nostra faccia in bassa risoluzione come foto profilo. Per non parlare della canna tra le dita in uno scatto a tradimento, lo stato omofobico stupidamente pubblicato dopo un paio di birre di troppo, in cambio di due like ed un esilarante commento dell’offeso di turno.
In un vicino futuro tutto ciò che abbiamo fatto sarà ciò che ci ostacolerà in quello che vorremmo fare.