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Intervista a Madkid, the juggling master



Dopo aver assistito ad un live di Madkid a Bologna, non ho ceduto alla tentazione di contattarlo, (grazie alla collaborazione di un mio caro amico che l’ha braccato subito dopo un live) e di scoprire i segreti del suo acclamato e duraturo successo. Lo stile inconfondibile del dj di origini pugliesi, caratterizzato dal suo giocare con i dischi, mi ha contagiato e affascinato.
La sua storia è un susseguirsi di sogni realizzati e miglioramenti continui, un connubio perfetto di tradizione e innovazione, che nel tempo ha contribuito a definire con chiarezza la posizione italiana nel circuito reggae internazionale.

Dai, partiamo con le domande di routine. Quando sei arrivato a Bologna?

Sono arrivato a Bologna nel settembre del ’98 per motivi di studio. Già prima di trasferirmi ci venivo spesso nei weekend a trovare alcuni amici che vivevano qui, e sono rimasto inevitabilmente affascinato dalla realtà di quegli anni: c’era il Livello57, Zona Dopa, il TPO, il Link, tutti in centro, ma soprattutto c’era un sacco di gente che aveva contribuito a creare un movimento molto attivo. La passione musicale mi ha portato spontaneamente a voler vivere in un posto del genere. Ho cominciato a comprare i vinili, i “7 pollici” con cui si suonava il reggae, facendo ordini da Onelove per telefono, quasi a scatola chiusa. E da li in avanti è cominciata questa cosa, ho conosciuto un po’ di gente attiva a Bologna, ho lavorato per Radio K centrale (nota radio indipendente tra la fine degli anni ’90 e il 2000), per la quale ho tenuto un programma settimanale per 4 anni. Con la crew “Kaly Weed” abbiamo costruito un Sound System e cominciato a metterci in moto con serate, clash, viaggi in furgone, viaggi in Jamaica, duplate; insomma ci siamo divertiti. Ho iniziato a suonare al Link ( mitica location bolognese ) e ad organizzare serate con Soul Boy, padrino della scena black nazionale. Poi nel 2001 ho lasciato Kaly Weed e ho continuato il mio percorso. Sono andato spesso in giro con Moddi Mc (rapper tarantino campione nazionale di freestyle), e periodicamente con Indi e Macro Marco, ovvero la Juggling Akademy, oltre a tantissime serate da solo.

Quando è cominciato il progetto “Juggling Akademy”?

Nel 2003, infatti nell’anno appena trascorso abbiamo festeggiato 10 anni di attività con un tour nelle principali città italiane, culminato con l’esibizione al Rototom Sunsplash davanti a 5000 persone .

Quei giochi che fai con i piatti ti hanno portato nel tempo ad essere considerato uno dei maestri del juggling. Secondo te questo stile è importante nell’hip hop quanto nel reggae o esistono delle differenze importanti?

Mi sono appassionato al juggling ascoltando le cassette del sound jamaicano “Stone Love”, mentre in Italia il mio punto di riferimento iniziale è stato dj Indi, con cui abbiamo appunto creato la Juggling Akademy. L’abilità di un dj hip hop è principalmente basata sugli scratch e sul beat juggling. Il juggling style come lo intendo io, e come appunto è stato concepito dai maestri jamaicani, consiste nel passare da ritornello in ritornello, con cambi di pezzo a velocità sostenuta, ma sempre a tempo e sempre mantenendo fluidità e musicalità. Se vengono a mancare questi due fattori fondamentali rischia di trasformarsi in un vero e proprio incubo per chi ascolta. Ma se la selezione ha un senso, se un pezzo con l’altro suona bene, allora diventa accattivante ed emozionante e si può fare anche con musica più lenta, con generi diversi e non per forza con i riddim dancehall più spinti ma chiaramente più facili da mixare.

Prima di avvicinarti alla realtà bolognese che rapporto avevi con la musica?

Io sono nato a Taranto, e ho un fratello più grande che ha il merito di aver influenzato, in parte, i miei gusti musicali. Nel 1990 l’hip hop prendeva piede in America, ed anche in Italia un po’ di gente cominciava ad avvicinarsi a questa cultura, mio fratello era fra questi, quindi già a 10 anni sono venuto a contatto con i vinili dei Run Dmc, LL Cool J, Public Enemy ecc. Anche mio nonno collezionava vinili e spesso andavo a comprarli con lui. Uno dei miei primi acquisti fu un disco di Papa Winnie fatto in buona parte di cover di hit Reggae, cosa che ho scoperto in seguito. Sempre nei primi anni ’90, in Puglia si sentiva l’influsso dei Sud Sound System e di quello che stava nascendo in Italia, la scena reggae salentina ma anche della mia città, in cui c’era “Sisma Sound” che organizzava sempre robe in giro, in particolare in spiaggia, montando il sound system per delle feste indimenticabili. Sono stato fortunato a poter vivere e partecipare a quel fantastico periodo. La scena Reggae era in crescita in Italia e nel mondo, c’era fermento, entusiasmo ed anche una buona dose di follia. In quanti adesso si caricherebbero delle casse pesantissime in spalla per montarle su una spiaggia, senza farci un soldo, con le forze dell’ordine in agguato? Credo in pochi..Ora bastano due serate tra amici e si parla già di “cachet”. Tutto aveva un ritmo più reggae, più lento: compravi i tuoi dischi, li conoscevi e poi li passavi. Adesso con internet è tutto più veloce, con i software puoi avere gli skills di gente di un certo livello in breve tempo, si scarica musica selvaggiamente senza imparare ad apprezzarla realmente. Insomma la situazione è un po’ diversa, ma sono convinto che alla fine passione reale e cultura possano sempre fare la differenza.

Hai lavorato per anni nel negozio di dischi di Dj Trix. Secondo te che rapporto c’è adesso con il vinile?

Per quanto riguarda la scena Reggae e Hip Hop le cose sono radicalmente cambiate, qualche anno fa tutti i veri dj suonavano con i vinili, ma anche chi iniziava aveva il “dovere” di costruirsi una propria collezione di dischi prima di poter suonare in giro. Ora con l’avvento delle nuove tecnologie quelli a fare serate con i vinili sono in pochi, è diventata una sorta di nicchia, sempre e comunque molto attiva, e che credo non si esaurirà mai, come credo non sparirà mai del tutto il vinile, supporto decisamente più affascinante e di valore rispetto, ad esempio, al cd.
Lavorare per anni al negozio di Trix è stata una bellissima esperienza, che mi ha arricchito musicalmente ed umanamente ( economicamente un po’ meno eh eh ). Ho avuto la possibilità di condividere quotidianamente la mia passione con centinaia di persone, ho avuto accesso a tonnellate di dischi, sono andato per anni di persona in Jamaica, girando tutti i distributori di dischi possibili, trovando “chicche” incredibili, conoscendo produttori leggendari come Prince Jammy, Winston Riley, e tanti altri, ho visto i luoghi dove la musica Reggae è nata. Tuttavia durante l’ultimo viaggio tra Kingston e New York mi resi conto che qualcosa stava cambiando ed anche molto in fretta. Nessuno o quasi suonava più coi vinili, cd in Jamaica e Serato a New York, questo era il trend. Venivano stampati sempre meno vinili ed alcuni distributori chiudevano, insomma il cambiamento era dietro l’angolo anche nella “vecchia” Europa. Appena tornato in Italia, dopo un breve periodo di riflessione, decisi di passare anche io al Serato, convinto che comunque la cosa si sarebbe in breve diffusa a macchia d’olio, e così è stato. Amo i miei vinili, in casa li ascolto spesso, e quando trovo qualche disco che m’interessa davvero lo compro senza pensarci, ma nello stesso tempo compro tantissima musica in digitale, perché la qualità audio della musica suonata è fondamentale, sono contrario al download selvaggio.

Nei tuoi ultimi mixtape c’è molto hip hop, a differenza magari di dieci anni fa. Come è avvenuto questo sviluppo?

Fondamentalmente il mio background personale è rappresentato dalla musica black in generale, anche se il mio primo amore è stato il reggae. Nel 2003 ho fatto il mio primo mixtape “ufficiale”, “Back in the days” che mi ha dato molte soddisfazioni, era il periodo del boom della dancehall, riddim come il “Diwali” e “Buy Out” andavano per la maggiore ed io decisi di proporre un mixtape che contenesse roba “foundation” ma mixata a modo mio, con l’intento di far ballare, ma non per forza con i soliti “tunes” ormai praticamente commerciali. Come ogni cosa, quando diventa di massa, avvicina tanto pubblico ma rischia di diventare ripetitiva e di perdere originalità ( “Sempre gli stessi pezzi..” è la classica lamentela di chi nel corso del tempo ha smesso di frequentare le dancehall ). Seguire la massa è una roba che detesto in generale. Proprio per questo le mie selezioni hanno cominciato a spaziare sempre di più, mai forzatamente, ma sempre a seconda del mio gusto personale. Nelle mie serate non mancano segmenti Hip Hop e Soul, cosa che al tempo ha fatto storcere il naso sia a qualche purista sia a qualche fanatico di passaggio che ora probabilmente ascolta altro. Ora per molti mixare il Reggae con altri generi è diventata la prassi, sarebbe comunque assurdo il contrario vista la matrice comune di questi generi musicali. Questa cosa ovviamente ha influito anche negli altri miei lavori in “studio”, quindi in tutti i mixtape successivi a “Back in the days” non mancano massicce dosi di Rap e Soul.

Quanto sono importanti i featuring nei tuoi mixtape?

Quasi ogni traccia inserita in un determinato mixtape comprende pezzi della mia vita e della mia esperienza non solo musicale; anche i featuring racchiudono in un certo senso un significato simile. Gli artisti con cui ho collaborato sono persone che condividono la mia stessa passione e con cui mi sono confrontato nel corso del mio percorso. Quindi i featuring sono importanti non tanto per la “riuscita” del mixtape, ma perché sono fatti da gente vicina a me, per affinità musicali e umane. Insomma rappresentano un po’ la ciliegina sulla torta e chiaramente attirano l’attenzione di un pubblico più numeroso.

Secondo te le dancehall in questi ultimi 10 anni come sono cambiate?

Innanzitutto sono convinto che il Reggae è uno di quei generi musicali che non morirà mai: esiste da decenni, si trasforma, si adatta, ma non perde mai il suo valore, musicale e culturale.
Dopo qualche anno di calo per quanto riguarda la qualità delle produzioni e dei contenuti, con conseguente calo di pubblico ai concerti ed alle dancehall, una nuova ondata di artisti e produttori sta invertendo questa tendenza con musica di alto livello, legata maggiormente alla tradizione del Reggae originale. Da Dj comunque è per me fondamentale vedere la gente ballare, quindi sono appassionato anche della musica Jamaicana più dance, che dura di meno nel tempo, ma che permette di scatenarsi in pista, quindi, entro certi limiti, mi piacciono anche le contaminazioni recenti tra musica elettronica e black. In Italia purtroppo c’è una distinzione sempre più marcata tra serate Reggae Roots e serate Dancehall, secondo me è un peccato, ed è una cosa che avviene in maniera così netta solo in questo paese; la festa perfetta inizia con il roots, foundation, classici ecc per poi passare alla roba spinta, più moderna. Da amante del Reggae a 360° questo è il mio punto di vista, ma qui in Italia rinchiudersi nel branco e sparare a zero su ciò che è “diverso” è una tendenza difficile da sovvertire.

Io, come tanti, sono un nostalgico del Rototom Sunsplash italiano. Ci sono stato negli ultimi due anni, prima che lo chiudessero e per me è stato un trauma. Tu hai partecipato a svariate edizioni. Che mi dici?

Il mio primo Rototom Sunsplash è stato nel 1999, vissuto da semplice spettatore e appassionato di musica. Era sempre in Veneto, a Latisana, ma durava solo 3 giorni. L’anno dopo si spostò a Osoppo e ci andai, ancora una volta come spettatore, con la mia crew del tempo Kaly Weed. Nel 2001 ero nella line up dei sound system, con Kaly Weed, per una serata che difficilmente potrò dimenticare, in combo con la Villada Posse. Nel 2004 sono andato a suonarci con Moddi, il festival era cresciuto esponenzialmente, c’erano un sacco di ospiti internazionali e durava già 10 giorni, infatti per me è stato un onore suonare fra artisti così importanti. Nel 2005 ho fatto il warm up a Bass Odissey e nel 2006 ero di nuovo sullo stage dancehall con Moddi e Fido Guido. Inoltre dal 2004 al 2006 io e dj Trix avevamo il nostro stand dove vendevamo vagonate di vinili ad appassionati provenienti da tutto il mondo..Che tempi!
Osoppo era un paese in festa, la gente indigena era lieta di accogliere un simile evento che aveva inevitabili riscontri positivi per l’economia del paese stesso. La penosa classe politica italiana, abbinata a leggi mostruose, ha portato gli organizzatori a trasferirsi in Spagna, a Benicassim, in una location sicuramente molto meno suggestiva dello splendido parco di Osoppo, ma in un contesto decisamente più tollerante, con molta meno repressione. Anche a Benicassim ho avuto il piacere di esibirmi con i miei soci della Juggling Akademy nel 2011 e nel 2013, e devo dire che è stato davvero bello suonare davanti a tutta quella gente.

Ci vuoi parlare di qualche eventuale nuovo progetto su cui stai lavorando?

Sto lavorando a Mad Chillin’ parte 2, un mixtape di Reggae, Rap e Soul con un po’ di partecipazioni molto interessanti. Mi occupo della promozione del Reggae e dell’Hip Hop a Bologna, suonando e organizzando svariate serate. Inoltre sono continuamente “on the road” tra l’Italia e l’estero per portare i miei dj set sui quali lavoro costantemente con passione.
Potete trovare i miei lavori sulla pagina http://soundcloud.com/djmadkid e restare aggiornati sulle mie prossime serate alla mia pagina http://facebook.com/madkidofficial. Venite a sentirmi dal vivo, è la cosa che preferisco!

Grazie mille di quest’oretta. A presto!

Grazie a te.