La strategia di far uscire su youtube un pezzo al giorno per creare una sorta di brama di ascolto per il brano successivo, penso sia una tra le cose che istiga maggiormente l’essere umano a porsi davanti ad uno schermo e attendere l’ora (se è stata promessa un’ora in cui viene pubblicato) o semplicemente riaggiornare istericamente l’homepage di Facebook. Un po’ lo stesso procedimento di quando arriva quel “lunedì su due” in cui Zerocalcare mette online una delle sue storielle.
Proprio come ogni mattina una persona legge il giornale, ad un certo punto qualche tempo fa, mi sono accorta inconsciamente che tra le cose da fare, acceso il computer c’erano: guardare la mail, vedere cosa era accaduto nel mondo, controllare se era quel “lunedì su due” e accertarmi se Lucci aveva già caricato un nuovo brano.
Ogni giorno l’ho aspettato.
Ogni giorno varavo se quello proposto fosse quello mio.
Ogni giorno Lucci mi raccontava una storia.
«Ho cercato di concentrarmi più su atmosfere, immagini, su cose che mi piacciono, quasi tutte ispirate a film. Appunto “La Leggenda del Pianista sull’Oceano” per “Novecento”, “La solitudine del Maratoneta” che è una raccolta di Alan Sillitoe; ma pure il pezzo coatto del disco che è “Spaccaossa”: quelle alla fine sono tutte immagini di “Trecento”, cose di “L’Arte della Guerra” di Sun Tzu… », mi dirà rispondendo ad una delle mie domande. E quello che posso dire è che non avevo colto le citazioni sulle quali si era basato per strutturare i suoi testi, ma le atmosfere era riuscito a crearle. Nell’ascoltare la voce di Lucci, così marcata, che incalza il beat, che pronuncia le sue parole con un’intenzione tale da creare dei paesaggi, delle luci, delle presenze, sono riuscita a scorgere parti di lui e del suo vissuto, oltre che a vedere altre storie. Ovviamente, ho intravisto anche parte della mia di storie, ma quella è una cosa che ricerco sempre e se non la trovo, significa che qualcosa manca.
Ma per capire più profondamente “Brutto e Stonato” ho voluto chiedere spiegazioni direttamente al creatore e lui, tra una scritta e l’altra, mi ha illustrato il suo primo progetto solista.
«Questo è il tuo primo lavoro da solista. Com’è nata questa esigenza? È stato un percorso difficile da progettare?»
«Assolutamente sì. È stato parecchio difficile. Mi sono ritrovato dopo l’ultimo lavoro del gruppo “Fino Al Collo”, in cui ci siamo detti: “Va be’ mettiamo in pausa fino a tempo indeterminato il gruppo” e mi è presa un po’ di ansia per questa cosa che era finita. Allora parlando col Ford, lui mi ha detto: “Va be’, fatte un disco tuo”. Ci ho pensato un po’, in realtà volevo smettere di fare rap. La prima opzione era quella. Poi ho detto: “Va be’, no. Rappo da dieci anni, famo sto disco rap. Proviamoci”. E niente, abbiamo iniziato a fare questo disco io e il Ford, che assolutamente non era un’esigenza, anzi tutt’altro.
È nato così, poi ho iniziato a dargli un po’ un senso.
I primi pezzi che avevo scritto erano di un periodo in cui ero molto incazzato e stavo sempre su facebook a fare polemica e quindi erano pieni di riferimenti contro gente random, così, molto avvelenati sulla situazione del rap attuale: “Vaffanculo! Noi famo la roba più fica!”, ecc.
E quella roba là l’ho tutta buttata perché alla fine il discorso è una questione di attualità della musica, nel senso: ce stanno delle cose, tipo Danno quando chiude dicendo: “se mi paghi flippo ma se cerchi storie tipo dj Flash / quelle non le faccio neanche per il cash”. Adesso al live quella roba è diventata: “Se cerchi roba commerciale / Vaffanculo, te la puoi andare a cercare”. Perché? Perché nel 2014 se dici ad un concerto dj Flash, nessuno sa chi è, NESSUNO. Quindi hai scritto una cosa che è passata. Non è più attuale. Invece, il discorso che vorrei fare io è fare una canzone come “Cose Preziose”.
“Cose Preziose” non ha riferimenti temporali precisi.
Quindi, ho tolto qualsiasi riferimento all’attualità e ho cercato di fare una cosa più mia.»
«All’inizio del disco, dai la spiegazione dell’album, dicendo che non fai “né il modello, né il cantante, ma faccio il rap e rappo”. Mi potresti approfondire la scelta di questo titolo?»
«Boh, un po’ a caso. Nel senso, alla fine io mi reputo una cifra forte a rappare, però non a rappare tipo Gemitaiz che fa mille trick (ed è fortissimo): di rapper tecnici ce ne stanno tipo un miliardo e mezzo. Io sono forte nel senso che secondo me, ho una bella attitudine e tengo bene il palco, rappo bene.
Però vedo che il trand attuale sotto un sacco di post dei rapper che vanno mo, ci sono più commenti che dicono: “quanto sei bello”, piuttosto che “quanto sei bravo”. E alla fine… Sticazzi. Io lo trovo offensivo. Aldilà che ti possa far piacere o meno: sticazzi. Faccio musica: mi devi dire che sono bravo, non che sono bello. Quindi, è più un voler rimarcare il fatto che faccio leva su altra cose; sul fatto che io faccio le cose mie, che si basano su scrivere delle cose che ho in testa, piuttosto che sull’aspetto.
Quindi “Brutto e Stonato” probabilmente è quello.
Poi va be’, è anche perché avevo fatto la rima di “Anthem”, in cui entravo dicendo: “Io sono brutto e stonato”. Alla fine mi piaceva, suonava bene.
E poi perché le iniziali di “Brutto e Stonato” sono le stesse di Brokenspeakers, quindi posso scrivere “Lucci BS” e mantenere la cosa del crew: alla cosa del crew ci tengo tanto.»
«Nel primo pezzo omonimo del titolo del disco, come si vede anche un po’ dal video, fai la presentazione di te stesso. Mi racconti l’idea dietro al video?»
«Allora, è facile: nel senso, purtroppo sono l’incubo di Nicco.
Nicco da artista che fa dei video, si vuole esprimere e vorrebbe realizzare delle idee che ha in testa. Per me comunque se mi dici: “Oh! Un’idea figa per un video rap?” Per me l’idea più figa per un video rap resta: felpa col cappuccio, muro coi graffiti e bidone col fuoco.
A me lo stilema del rap piace.
Quindi se ci fai caso i video miei solisti sono tutti uguali: io che cammino in un posto fico.
Se ci pensi, pure “La Collina”: sono io che cammino dentro ad un cimitero.
Poi ci ho messo l’elemento degli oggetti, perché Nicco me stava per ammazzare, perché quando mi ha chiesto: “Come ‘o famo?”.
Io gli ho risposto: “E come ‘o famo, fratè? Io cammino dentro al cimitero!”.
E lui è impazzito.
E uguale pure “Brutto e Stonato”: sono io che cammino.
“Non Te Riesce”: sono io che cammino.
“Mondo Maledetto”: sono io che cammino.
Cambia solo lo sfondo.
Una volta c’è lo sfondo della montagna, una volta c’è lo sfondo del cimitero, una volta c’è lo sfondo del ponte, però… sono io che cammino.
Cioè a me i video quelli troppo complicati, con le storie mi fanno proprio schifo schifo. Non mi piacciono.
A me piacciono i video con… io che cammino.
Quindi l’idea del video era semplice: è mia.»
«E nel testo di questo ad un certo punto dici: “Se adesso posso correre è perché so andare piano / Se adesso voglio correre è per andare lontano”. Mi spiegheresti questa strofa?»
«La strofa è più un fatto di consapevolezza: ok, io so che in trent’anni ho fatto determinate cose, mo mi potrebbero tranquillamente levare tutto domani e bene o male ripartirei. Ho fatto un percorso, ho fatto un’esperienza sia nella vita sia nella musica, partendo sempre dal gradino più basso. Quindi io ci so andare piano, capito?
È quello che gli manca a parecchia di sta gente adesso: non sanno andare piano.
Questi arrivano e corrono. Però se arrivi e corri, vai contro un muro prima o poi.
Pigli una buca, non tieni il controllo. Io invece ho imparato ad andare pianissimo, quindi se poi adesso mi volessi mettere a correre, lo potrei fare.
Guarda, io l’opportunità di trasformare questa musica in un lavoro vero ce le ho avute e ce le potrei anche avere, però non ci penso proprio.
È quel senso là: se fai le cose partendo dal basso, piano, fatte per bene, ti consente di fare quello che ti pare; ti rende libero di scegliere quello che vuoi fare e bene o male di cascare sempre in piedi.
E poi perché suonava una cifra bene.»
«La linea argomentativa di tutto l’album è molto coerente e personale, a parte “La Collina”, che mi sembra essere il pezzo un po’ più discordante rispetto al concept generale. Mi sbaglio?»
«Sì, ti sbagli. Ti sbagli perché tutto si rifà, come ti dicevo prima (ad eccezione del pezzo autobiografico, che è “Brutto e Stonato”) più o meno a dei libri, a dei film, a delle poesie, a delle cose che ho letto o visto. Diciamo che è tutta un’interpretazione in chiave rap di alcune cose che mi piacciono in altri ambiti, che sia cinema o libri.
E quello è una rivisitazione in chiave attuale dell’”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters citata da De Andrè. La struttura base del pezzo è mutuata da “Dormono sulla Collina” di De Andrè che dice: “Dove se n’è andato Elmer che di febbre si lasciò morire? Dov’è Herman bruciato in miniera?”.
Quella cosa di raccontare una breve storia, che è anche l’incipit del libro di Edgar Lee Masters, mi piaceva.
Quindi ho pensato: “Proviamo a raccontare delle storie che hanno un non-so-che di (sempre per quanto mi riguarda) pedagogico, di istruttivo”.
E quindi ho cominciato a tirare fuori dei personaggi: Carlo Giuliani.
Quell’estate in molti erano in viaggio per il G8 e anche io dovevo andare insieme ad Hube e altri; invece non ci sono andato, perché non avevo capito l’importanza della cosa e sono partito in vacanza: mi sono fatto l’inter-rail e la giornata del G8 io stavo in Spagna.
È una cosa che mi dispiace: era un evento al quale avrei voluto prendere parte.
Vittorio Arrigoni per me è un esempio.
Cioè sono tutte storie che secondo me, raccontandole puoi trarre un insegnamento ed è così che è nato quel pezzo.
Comunque vista in quest’ottica, secondo me, è coerente col resto dei pezzi. Fila.»
«In “Cingolati” hai riunito Coez, Danno, E-Green e Paura. Com’è nata la concezione di questo pezzo?»
«Allora, la concezione di questo pezzo è semplice: Ford mi ha mandato una base che si distingueva un po’ dalle altre perché era bella coatta. Io non riuscivo a scriverci nulla di pregno di significato e Ford mi ha detto: “Guarda, nell’economia del disco, secondo me manca un po’ una posse track, qualcosa de coatto”, perché alla fine anche quella coi Brokenspeakers nonostante che siamo tutti su quel pezzo non è la posse track.
Io sono sempre stato in fissa per Paura, a me piace un sacco come rappa.
Poi va be’ Nicholas (E-Green, ndr), perché ultimamente comunque ho un buon rapporto, ci sentiamo spesso, mi faceva piacere avercelo sul disco e Silvano (Coez, ndr) gli era piaciuto il pezzo e m’ha detto: “Dai, fammece sta, fammece sta, voglio fa na cosa rap”; che poi lui rompe tanto il cazzo che ce l’ha col rap, ma poi alla fine gli piace e si diverte a farlo.
L’unica cosa era che il ritornello non sapevamo a chi farlo fare, ma poi alla fine Simone (Danno, ndr) ha sentito il pezzo e ha detto: “Dai, dai, fatemece sta” e s’è fatto il ritornello Simone.»
Sarebbe stato impossibile non accorgersi della massiccia presenza di Coez nel disco (con mio grandissimo apprezzamento, per altro) e non solo in quanto “ritornellaro”, ma anche come rapper.
Perciò ad un certo punto (tra un sorso di vino e l’altro), constato che Coez è presente in quattro tracce che funzionano benissimo: con quella voce che dà quell’aroma di miele che a me piace tanto, accostata a Lucci limpido, ma bello possente e schietto. E allora la domanda spontanea che mi è sorta è stata proprio se non avessero mai pensato di fare un album insieme: loro due e basta. Ma chiaramente essendo una crew così unita e con un rapporto da veri “blood bross” era inevitabile che ad ogni spunto per realizzare una cosa del genere, puntualmente ci infilassero anche tutti gli altri come mi ha confermato Lucci.
Poi tra il ristorante “Verde Pistacchio” e le cose da solista di Coez non hanno mai avuto veramente l’occasione per pensarci seriamente. In ogni caso, però Lucci mi assicura che in realtà «ci potrebbe stare, ma come ci potrebbe essere un altro disco Brokenspeakers».
Arrivati all’amaro, abbiamo affrontato i dettagli del disco e ho ripreso a fare quelle domande mirate alle quali non tutti rispondono con la nonchalance guerriera di Lucci.
«La descrizione di te più ricorrente è: “cacacazzi del rap”. Perchè?»
«Perché alla fine rompo il cazzo. Era per quella cosa lì, che ti dicevo prima della fase pre-disco in cui ero un sacco polemico. Mo sto cercando di essere più buddista su sta cosa, perché non mi piace essere riconosciuto per quello: però “cacacazzi” mi piace un sacco.
Poi io sono uno una cifra saccente quindi mi piace fare polemica.»
«L’unico produttore oltre a Ford 78 è stato Squarta. C’è una motivazione per la quale hai incluso solo lui?»
«Io ho un rapporto con Squarta molto fico.
Io gli ho fatto tutti i lavori allo studio: “Rugbeats Studio” l’ho costruito io, ma nel vero senso della parola. Squarta, l’ho conosciuto in una situazione diversa da quella del rap e me ce tajo: me fa na cifra ridere. Andando lì, più che altro è stata una scelta totalmente casuale. Ford ha fatto un tipo di campionamenti sul disco molto incentrato sui miei gusti: a me piace la roba una cifra struggle e lui ha tutta roba di rock anni ’70. Mi diceva che stavamo facendo un disco folk (perché ci sono un sacco di pezzi pieni di corde). Ce stavamo a ridere su sta cosa e poi ad un certo punto Squarta fa: “Oh, ma senti sto beat che ho fatto”. E tira fuori sto beat che era molto da “bianco sud” che stava bene col resto dei pezzi. Alla fine nonostante Ford fosse molto geloso di questo disco, gli è presa bene ed è uscita fuori questa cosa (pure bene).»
«In “Resta Con Me” fai una dichiarazione d’amore mozzafiato. Perché hai voluto far concludere questo pezzo con lo skit di Craim, in netto contrasto con l’atmosfera del pezzo?»
«Allora, questa è una mia scelta. Nel senso, è un po’ come il fatto che noi Brokenspeakers abbiamo sempre testi un po’ pesantini (cioè sempre pieni di significato) però poi i nostri live sono mega divertenti.
Noi siamo dei cazzoni.
E anche in questo disco ho cercato di mantenere questa linea qua con gli skit.
Cioè, alla fine di “Novecento” che comunque è un pezzo mega pieno di significato (cioè, a me fa impazzire: ha delle immagini che mi piacciono un sacco), mega serio, poi ci sta E-Green che dice quella corbelleria: “Chiiiiii? Chi c’ha la barba più bella de Roma?…”.
È quella roba là di spezzare, di mostrare più lati possibili. Comunque io sono una persona seria, però mi piace scherzare. É una frase di Oscar Wilde che dice tipo: “Per divertirsi nella vita, bisogna essere seri almeno in una cosa”. Non so se la frase è proprio così, ma mi sembra di sì.
Alla fine, rispecchia un po’ tutta sta atmosfera: tutto il disco ad un certo punto, in mezzo a dei pezzi in cui ci sono dei picchi emotivi, poi alla fine vengono spezzati.
Per dirti, pure il pezzo “Spaccaossa”, che è un pezzo dove ci sto io che dico delle coattate totali tutto basato sulla guerra, samurai, “Trecento” e poi finisce con Mortecattiva che dice: “Ciao, io sono Mortecattiva e quando metto il campo a maggese…”… spezza.
È quella roba di rompere il climax che si è creato: mi piace un sacco. La trovo fica.»
«Spiegami questa cosa della competizione tra barbe? Pare che adesso sia nato questo culto per la barba.»
«Allora, io posso dire che sono stato tra i primi a tenermi la barba: a me tutto mi si può dire tranne che seguo le mode.»
Nel frattempo Ceffo mi sussurra che Lucci si tiene la barba perché vuole somigliare a Leonida.
«Ma è semplice, per me è una cosa di pigrizia.
È nata così: io la barba non me la taglio. Prima portavo il pizzetto da guardia, poi ad un certo punto ho iniziato a non tagliarmela e non tagliarmela e alla fine io ho un bruttissimo profilo: cioè io sono brutto, ho una forma della faccia orrenda, ho il mento rientrante… Invece ho visto che la barba mi cambia proprio la forma del viso, cioè sembro un essere umano.
Con la barba sono un bel ragazzo, mi sento più a mio agio.
La barba ce l’ho, mi piace, poi non ho i capelli: compensa.»
«Perché non hai deciso di cambiare il titolo del disco in “Brutto e StoNano”, dopo aver ascoltato lo skit di Chef?»
«Perché, ti spiego: il complesso della bassezza ce l’avevo alle medie, poi mi è passato. Cioè, io sto esattamente nella media del maschio bianco. Sono alto un metro e settanta e porto il 43 di piede: se devi spiegare com’è fatto un essere umano ad un alieno, comunque rientro negli standard, a parte il naso grosso.
Io ho un ego abbastanza grande, che non si alimenta con l’aspetto fisico: sono una persona molto intelligente e con un bel carisma. Non è l’aspetto fisico su cui faccio leva, quindi non me ne frega proprio un cazzo.»
«Quindi “Brutto e StoNano” no?»
«No, però fa ridere.»
Nulla da aggiungere, se non il fatto che comprare “Brutto e Stonato” penso sia una delle azioni più soddisfacenti dell’anno.
Fatelo anche voi e magari comprateglielo ad un live, che almeno tra vent’anni quando ritroverete il disco di Lucci e vedrete che è ancora autografato, lo riascolterete più volentieri e sprofonderete di nuovo in quelle atmosfere che rimarranno sempre attuali.