True Detective non è un giallo convenzionale, una storia in cui trovare il colpevole è la fine, la soluzione. True Detective è una narrazione che parla di narrazione cercando di discostarsene, un’ulteriore prova di quanto il mondo seriale si sia ormai avvicinato all’intreccio semantico tipico delle migliori produzioni cinematografiche. E’ un viaggio evolutivo e vitale ricco di sfumature catartiche non concluse, private dalla classica lieta conclusione. Il cerchio fa fatica a chiudersi proprio perché il tutto è costruito con una linearità mancante, un lungo intervallo temporale che ci racconta come le cose possono cambiare, come i sentimenti veri e poco controllati permangono, come volente o nolente l’interesse comune, anche se animato da intenzioni differenti, unisca, riappacifichi, faccia emergere il reale senso di ciò che si voglia o si possa fare.
Due personaggi distanti, paralleli e allo stesso tempo intensamente legati, ma da cosa? E’ davvero l’omicidio di Dora Lange che unisce i detective Rustin Spencer Cohle e Martin Eric Hart? Oppure quell’efferato e lavorato crimine è solo una scusa per raccontarci qualcosa di diverso, di più intenso? Rust e Marty non sarebbero nemmeno potuti esistere l’uno senza l’altro: un detective riflessivo, filosofico con un passato profondamente segnato dalla violenza e dall’instabilità, un ateo con un crocifisso “meditativo” sulla parete, che vive di interessi comprensibili solo in parte dagli individui di diversa elevazione mentale; un uomo che ha sempre avuto a che fare con il crimine e che ne ha fatto quello che tutti noi chiamiamo superficialmente “passione”. Rustin Cohle è il più vero e consapevole personaggio di questa serie e si dissocia completamente da quello che, teoricamente, è il più “normale” fra i due, il più convenzionale, il detective per eccellenza raccontato ampiamente dalla narrativa investigativa: un padre di famiglia che stenta a sopportare realmente la sua vita, che tenta di intraprendere ogni tipo di via d’uscita, privandosi saltuariamente e per motivi morali, della sua vera essenza. Un uomo che tradisce la moglie, debole, che tenta di vivere la sua vita morale scadendo sempre nell’immoralità, un uomo che “non sa chi è”, ma che pensa il contrario, pur sembrando buono, meticoloso e socievole.
Questi due complessi personaggi sono tuttavia accomunati da una torbida emotività, per motivi chiaramente differenti, ma che li lega in maniera imprescindibile, dal 1995 al 2012. In fondo sono entrambi due ubriaconi, solo che uno l’ammette e l’altro no, sono attratti dalla voglia di verità, chi più chi meno, e riescono a far aprire gli occhi l’uno a l’altro quando le loro rispettive personalità lo impediscono.
Se True Detective fosse stato scritto anche solo con uno dei due personaggi, sarebbe diventato o una crime series come le altre, o un’introspezione drammatica troppo complessa e inquieta. Sta di fatto che True Detective è i suoi personaggi, ma anche l’esposizione del loro ambiente, un mondo piatto e grigio, in cui sembra che niente possa migliorare. Il profondo sud degli States è lo scenario ideale per i movimenti mentali e fisici dei detective Cohle e Hart, per una storia tanto intrecciata quanto terribile, da far rabbrividire anche i peggiori sceriffi dello stato, costellata da paludi, malsanità e povertà, dove il crimine di qualsiasi tipo può tranquillamente sopravvivere spingendosi anche oltre l’immaginazione etica. True Detective è anche gli altri suoi personaggi: i cattivi. Guidati da un consapevole e tragico desiderio si spingono verso un male essenziale, il più cruento e inconcepibile, ma ampiamente premeditato, dettato da valori disegnati all’interno di una società malata e perversa, che invece di aiutare si gongola fra alti piani e insabbiamenti. Decisamente e avidamente incontrollati, si nascondono fra l’imponente e putrida vegetazione della Louisiana per compiere il loro destino segnato dal loro passato.
True Detective è una storia che arriva più che al cuore alle menti degli spettatori, che inermi vivono l’elettrizzante angoscia degli eventi, scanditi da una percorso fatto di inesauribili viaggi verso una maturazione incompleta e una lenta consapevolezza dell’essere. Ogni tassello all’interno di questa pluripremiata serie sembra essere stato posto con motivazione e ricerca, e non ci resta che aspettare per assistere ad una onirica continuazione, nella speranza di ritrovare, nella prossima stagione, gli elementi che hanno trasformato un programma d’intrattenimento televisivo in un prodotto di culto nel giro di pochi mesi.