Alexandros Korossoglou, cresciuto “a pane e Lego”, racconta a Gold la magica ARTE delle SPILLE, le derive e i segni che l’attraversano, e gli orizzonti 3D verso cui è diretta.
Come mai hai scelto il button brand (o forse è il button brand ad aver scelto te)?
Mi sono sempre piaciute le spille, ma è stato il caso a darmi l’occasione di iniziare a farle. Nella FAF, la Facoltà di Architettura di Ferrara, le spille erano oggetti da collezione perché venivano usate per le feste studentesche. In questo ambiente spiccavano due fattori: il gioco e l’identità. Dopo l’incontro con Taboo (negozio e brand di Perugia), che mi ha permesso di disegnare ed esporre i miei primi lavori, ho cercato di sviluppare soprattutto la componente ludica e artigianale. Tuttavia ciò che ha garantito la longevità di questa mia passione è stata la piccola dimensione delle spille che mi permette di sviluppare e realizzare le mie idee in tempi brevi (se non brevissimi).
Credi che la tua abilità e il tuo talento siano etichettabili oppure abbiano un’aura meno classificabile?
Questo è un punto critico dei miei lavori. Finora non mi sono concentrato sulla diffusione di un mio messaggio, bensì sullo studio e lo sviluppo delle tecniche di produzione. Ciò è in contrasto con l’essenza delle spille, nate come strumento di propaganda politica dove non conta il significante, bensì solo il significato.
Un aspetto affascinante delle spille è la loro diffusione: viaggiano addosso alle persone ogni giorno e possono passare di mano in mano. Non hanno la stessa forza d’impatto di un manifesto o di un murale che parlano a tanti e definiscono grandi spazi, ma possono rafforzare l’espressione di una singola persona (se unica) o di un gruppo (se molteplici) e muoversi. Sono oggetti puntuali, possono colpire nel segno quando sono piccoli dettagli ben realizzati e muoversi come una nuvola in grandi numeri.
Un po’ per il piacere personale di creare con le mie mani, un po’ per la cultura architettonica che vede un’identità tra significante e significato (nella pittura, materia e immagine sono distinte: la materia è il significante e l’immagine è il significato; in architettura, la materia è sia significante che significato), mi sono concentrato sul metodo di produzione delle spille. Dopo aver iniziato a portare in giro il mio laboratorio per creare le spille al momento (sia su richiesta che fai-da-te), la produzione è diventata anche esperienza, spettacolo. La spilla passa quasi in secondo piano: diventa il ricordo della sua creazione. Ciò che faccio non è portare un messaggio, ma dare la possibilità a tutti di esprimere al meglio il proprio e di partecipare alla realizzazione del mezzo. “Artists solve their own problems, designers solve other people’s”.
Tu disegni e crei il packaging: che rapporto hai con l’artigianato?
L’artigianato è la mia essenza e il packaging interagisce a pieno con i prodotti contenuti. Adoro lavorare con la carta, è una passione che ho fin da quando ero piccolo! Ho sviluppato così tanto questa componente che alcune serie di spille prendono senso solo grazie al packaging: “Questa È La Mia Rosa”, ad esempio, ha delle confezioni fatte come dei boccioli di rosa che “fioriscono” quando vengono aperte, scoprendo il contenuto (spille ricoperte di tessuto con rose di raso applicate). In questo campo sto seguendo due filoni distinti: da una parte, packaging minimali per mettere in primo piano il contenuto (confezioni bianche e/o trasparenti); dall’altra, confezioni/papertoy che si fondono con le spille.
Da quanto tempo esiste il marchio Khaa PINS e com’è nato? Verso quali campi creativi evolverà?
Khaa PINS è nato nel febbraio 2007; solo pochi mesi prima avevo chiesto a Mirko e Michele di Taboo di poter disegnare per loro delle spille da esporre in negozio, finché non provai a prendere la mia prima pressa. Nell’ultimo anno mi sono dedicato allo sviluppo di accessori fatti con le spille, per essere precisi: orecchini e gemelli da polso. Assieme a Carolina, alias The Sulky Girl, abbiamo creato una linea di bracciali chiamata “Sorry I’m A Lady”: lei ha creato una struttura molto elegante fatta con cerniere lampo recuperate su cui ho applicato delle spille con frasi (spesso molto piccanti) scritte a mano con penna e calamaio, ottenendo dei bracciali bellissimi e completamente personalizzabili!
La tua formazione?
Sono cresciuto a pane e Lego e non potevo che studiare Architettura! Sono una persona molto curiosa, la mia formazione di progettazione grafica e di package design è da autodidatta: ciò mi dà spesso un approccio diverso alla materia.
Che cosa vedi in una spilla, come costruisci l’approccio con l’oggetto d’arte, quali sono le tappe del tuo lavoro?
Le spille vengono fatte con delle presse che incapsulano dei fogli di carta tra i componenti metallici della spilla, perciò ho sempre in mente l’idea di racchiudere, raccogliere, intrappolare pensieri e ricordi dentro le mie creazioni. Ciò avviene sia quando scrivo una frase appena ascoltata, sia quando recupero dei frammenti, dei dettagli. A volte prendo disegni e foto per poi ritagliarli in parti più piccole: la chiamo “atomizzazione”, è un processo che estrapola dei dettagli che hanno la loro identità. C’è una forte componente di selezione.
Che relazione hai con i collezionisti e con il collezionismo in genere?
– Non ricordo più dove ho letto che “Le spille sono fatte per essere perse o per essere regalate”. Lo confermo :D. Molte persone credono che io abbia una collezione di spille sterminata, in realtà non ne ho più di trenta. Non riesco ad accumularle semplicemente perché le regalo molto spesso. Un’altra cosa che mi distacca dal mondo del collezionismo è il fattore della ricerca, dell’andare a caccia del “pezzo raro”: spesso le mie creazioni sono fatte su misura, non sono copie di serie limitate ma pezzi unici. Sul versante della raccolta dei materiali, sono invece un collezionista seriale! Vado a caccia di tessuti, carte geografiche, packaging, trasferelli, nastro washi, tappi di birra, carta di ogni genere. A Berlino sono stato da Modulor e mi sono perso tra i suoi scaffali al punto di dimenticarmi di pranzare!
Le tue lavorazioni toccano anche origami e punto croce: ti spingeresti verso il 3D e nuove forme d’arte più tecnologiche?
Non sono molto attratto dalla stampa 3D per motivi tecnici e critici: la plastica dà problemi in fase di chiusura delle spille e darebbe una tridimensionalità tale da far trascendere l’intero oggetto. Temo che non sarebbe più una spilla, ma qualcos’altro. Ho già creato degli accessori che non vengono appuntati sui vestiti ma indossati come orecchini o gemelli da polso, però sono comunque riconoscibili come spille.
Sono attratto invece dal taglio laser e dall’integrazione con LED e RFID, spero di poterci lavorare presto!
Hai un’icona?
Bruno Munari.
Viaggi molto?
Non tanto quanto vorrei :D
Privilegio le grandi città, le mie ultime mete sono state Londra, Berlino, Hong Kong e Shanghai. Mi piace camminare girando a caso per le vie, visitare musei, entrare nelle botteghe e mangiare locale! Non faccio molte foto.
Che cosa leggi?
Purtroppo, prevalentemente saggistica. Di per sé non sarebbe un male, peccato che stia trascurando i romanzi, mi sono ripromesso di rimediare. Le mie ultime letture sono state Groys, Bauman e Benjamin.
Che rapporto hai con la religione? E con chi fa politica?
Non sono credente. Anzi, per usare le parole di Luttazzi: “Sono entrato nel mattatoio e ne sono uscito vegetariano”. I miei contrasti con la religione iniziano e finiscono nelle sfere del paternalismo e dell’irrazionale. Il mio rapporto con la politica è ancora più complicato, per il modo in cui viene fatta: già ho una visione globale sulle cose che si scontra con le visioni particolari, figurati se io sia in grado di soffrire l’asimmetria tra i comportamenti civili e quelli incivili, tra i leciti e gli illeciti. Mi fermo qui, sennò scoperchio il vaso di Pandora!
C’è una spilla più personale di cui potresti raccontare genesi e significato?
Quando si è laureato Filippo, un mio amico di Riccione, gli ho portato poco prima della proclamazione una spilla semplicissima, nera con sopra trasferelli bianchi in Helvetica che dicevano “Goodbye Cruel World”. Lui ha sempre sostenuto che la fine dell’università coincidesse con la fine della giovinezza (sì, è un “pelino” pessimista), quella spilla racchiudeva perfettamente quell’istante e il suo pensiero.
La domanda era veramente difficile perché ci sono state, come questa, molte altre spille di cui ho un forte ricordo. Forse sta qui la vera essenza dei miei lavori: la possibilità di condensare in un piccolo oggetto un momento, un istante.
Dove troviamo le pins? Hai un laboratorio, uno studio?
Le trovate ai miei laboratori dal vivo e da T-Riciclo a Pordenone.
I social media sono un pericolo per il tuo mondo?
Non li ho mai considerati una vera minaccia, tranne che per un particolare: non sono un mezzo pienamente adatto a trasmettere l’essenza dei miei lavori. La peculiarità delle mie spille sta nel processo di produzione, che è ogni volta irripetibile: anche la migliore ripresa video non potrebbe restituirlo. Prendi ad esempio un concerto dal vivo: puoi fare un’eccellente registrazione per ritrasmettere ogni singola nota, ogni secondo dell’esibizione, ma non potrai mai far respirare l’atmosfera della platea. Io non produco suoni, produco oggetti: come faccio a farli toccare? Non posso!
Conversazione a cura di f.b.
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