Se il mondo del writing ha in qualche modo fatto parte della vostra vita, questa è un’opera da non perdersi assolutamente!
Trenta anni dopo “Arte di Frontiera. New York Graffiti”, la mostra curata da Francesca Alinovi che nel 1984 portò in Italia i principali esponenti del writing newyorchese, dieci artisti – Eron, Futura 2000, Doze Green, Tood James, Jayone, Mode2, Skki©, Teach, Boris Tellegen, Zero-T – si ritrovano sui muri dello spazio Arterminal, a San Basilio – Venezia – per realizzare una singola opera collaborativa. Il tutto accompagnato dalle foto di Henry Chalfant e Martha Cooper.
Ho avuto l’onore di poterla visionare in anteprima insieme ad Anya che ha intervistato alcune delle leggende presenti all’inaugurazione e che potrete leggere più in basso.
Per ciò che mi riguarda è stata un’esperienza indimenticabile.
Non solo perché ho potuto rivedere amici che non vedevo da più di dieci anni (sì, anche se sembra incredibile, c’è stato un tempo in cui i writers delle altre città si incontravano e si conoscevano dal vivo).
Non solo perché ho potuto rincontrare figure di riferimento del mio passato.
Non solo perché Venezia è bella, ma non ci vivrei (16 euro per 3 ore di parcheggio?????).
Ma soprattutto perché ho potuto vedere in scala 1:1 i graffiti di Subway Art di Henry Chalfant.
Non solo in dimensioni reali, ma anche in movimento.
Eccovi un assaggio:
Potreste passarci ore ed ore davanti.
Ad ogni modo vi consiglio vivamente di andare a vederla e lascio parlare gli artisti.
FUTURA 2000
Anya: Negli anni Ottanta avresti potuto immaginare che questa forma di espressione si sarebbe manifestata in questo modo in futuro?
Futura 2000: No, assolutamente no.
Non potevo immaginare il futuro – chiaramente -.
Negli ultimi anni Ottanta pensavo: “ok, è finita. È stata una bella esperienza con un’incredibile energia, un movimento splendido, ma adesso si è concluso”.
Infatti, per me in quel momento il potere di questa cultura si era esaurita, perché stavo considerando solo New York e non il mondo per il quale stava iniziando.
Trent’anni dopo abbiamo assistito ad un evento come questo e ne siamo molto contenti.
Ancora oggi stiamo realizzando cose e siamo parte della storia, ma allo stesso tempo non mi guardo indietro – sono Futura – e la mia mente è rivolta all’oggi, al domani e a quello che sarà possibile in futuro.
Non avrei mai pensato che questa cultura avrebbe potuto sopravvivere, ma l’ho visto.
Per me non è stato un miracolo, ma è stato incredibile arrivare così lontano e questo evento con tutti noi insieme è una sorta di pezzo di storia della nostra cultura che deriva direttamente da noi: il lavoro al quale abbiamo partecipato tutti insieme ieri è veramente potente.
Il tuo modo di pensare è cambiato dagli anni Ottanta ad ora?
Sicuramente.
Sai, sono cresciuto e quando ero più giovane ero impaziente e volevo tutto e subito.
Ora mi preoccupo di avere una buona salute, una bellissima figlia…
Adesso penso di più alla mia famiglia, oltre che alla mia carriera, ma sono molto felice di essere a Venezia per questo e ringrazio l’organizzazione per questo evento. Sono molto contento.
JAYONE
Anya: Ti saresti aspettato di veder sviluppare in questa direzione – come vediamo oggi a The Bridges Of Graffiti – l’arte dei graffiti negli anni Ottanta?
Jayone: No, non avevo idea che si sarebbe sviluppato in questo modo.
Ero molto giovane quando iniziai a fare graffiti; volevo solo esprimere me stesso da ragazzo e trovai una forma d’arte che mi permettesse di farlo.
Avrei potuto fare skate, giocare a calcio, andare in bicicletta o qualcosa di simile, ma mi interessava l’arte e i graffiti sono stati la via migliore per me di esprimermi senza pensare troppo a quello che sarebbe successo dopo.
Anya: Come concepivi questa forma d’arte allora?
Jayone: Era musicale.
Non era solo una forma d’arte, ma era un movimento, era legato alla musica e ad altre cose differenti: aveva un’energia negli anni Ottanta collegata al posto dov’era nata.
Il rapporto che quest’arte aveva con la musica è l’unica cosa che ricordo di quel periodo ed è ciò che continuo a portare con me.
Anya: Quindi era molto diverso da adesso?
Jayone: Era differente…
Ma anche no.
Non vedo una grossa diversità tra quello che facevo quando facevo graffiti e quello che sto facendo ora.
I graffiti erano solo un modo in cui potevo esprimere me stesso.
Era un’area diversa quella in cui ho iniziato. Molte persone in quel periodo iniziarono a fare graffiti per esprimere loro stessi in modo artistico.
Nessuno pensava a fare graffiti solo per il gusto di farli. Molti miei amici ballavano, altri facevano musica, noi invece dipingevamo.
Io ho sempre espresso me stesso attraverso la pittura che a quel tempo attuavo con lo spray.
Tuttora uso lo spray – chiaramente meno di prima, perché ho un po’ di allergia -, ma uso i pennelli allo stesso modo, oltre che le dita e i marker.
DELTA
Anya: Qual è stato il tuo primo approccio all’arte dei graffiti?
Delta: Ricordo che quando ho iniziato avevo quattordici anni e a quindici anni avevo calcolato che avrei potuto continuare a fare graffiti per altri tre anni fino a che non avrei raggiunto i diciotto anni, perché a quel punto avrei cominciato ad avere precedenti penali, quindi a quell’età avrei smesso: non l’ho fatto [sorride].
Il tuo passato ha influenzato il tuo modo di concepire la tua arte odierna?
Sì, in modo molto graduale. Non ho mai tagliato niente del mio passato e creato qualcosa di nuovo. Tutto dipende tutto dall’invecchiare, di base. Molto organico.
MODE2
Anya: Sei sorpreso di come questa forma d’espressione si sia sviluppata nel tempo arrivando a manifestarsi in un evento come questo di Bridges Of Graffiti?
Mode2: Quando vai a vedere il documentario Style Wars e vedi la scena finale della galleria, sai che la situazione si era già manifestata a New York in quegli anni, quindi questa è solo una versione evoluta di ciò che è già successo a questa forma d’espressione e non è la dimensione dell’evento che conta, ma è come ci presentiamo e da chi e cosa mostriamo;
guarda anche com’è esploso il movimento rap: anche il ballo è stato usato nella pubblicità e cose del genere.
Il fatto che sia pubblicizzato e reclamizzato ovunque è una cosa, ma il com’è fatto è una questione completamente differente.
Se mi chiedi se sono sorpreso… forse no.
Stiamo solo cercando di fare questa cosa per cercare di fare di noi non dei rappresentanti di questo movimento, ma di difendere questa forma d’arte.
Anya: Cos’è cambiato da quando hai intrapreso questa strada ad ora?
Mode2: Tutto quanto è cambiato, ovviamente.
Io oggi sono qui, ma con un piede sempre all’inizio del mio percorso e ogni volta che mi trovo davanti ad una grossa decisione da prendere, tento sempre di misurare e tenere conto del mio vissuto da quando ho iniziato ad ora.
In questo modo penso di avere una miglior capacità di giudizio su dove voglio andare, vedere e fare in futuro e realizzo anche il dovere che ho nei confronti di chi è venuto prima di me e di chi verrà dopo.
REAS
Anya: Quando hai iniziato a fare graffiti, hai mai pensato a come si sarebbe potuta sviluppare quella situazione?
Reas: No. Quando ho iniziato a fare graffiti avevo tredici, quattordici anni, non pensavo neanche a cosa sarebbe potuto accadere il mese successivo.
Anya: Hai cambiato modo di concepire l’arte dei graffiti durante gli anni?
Reas: No. Voglio dire, sono cambiate molte cose e sono stati praticamente due differenti periodi in cui ho vissuto due vite diverse, perciò non avrei mai potuto immaginare cosa sarebbe stato il futuro in quel momento così lontano da ora.
Insomma, direi che di motivazioni per andare a Venezia ve ne abbiamo date a sufficienza.
Siate testimoni di un pezzo di storia.
Venezia ha un nuovo ponte da attraversare, quello dei graffiti.
La mostra The Bridges Of Graffiti, organizzata parallelamente alla Biennale di Venezia come evento collaterale, dopo l’inaugurazione del 9 maggio, rimarrà istallata fino 22 novembre presso Arterminal c/o Terminal S. Basilio – Fondamenta Zattere Ponte di Legno -, l’orario di visita è dalle 10:10 alle 20:20