La qualità è sicuramente l’elemento per il quale se si accenna a Macro Beats Records, si tende a pensare. Il fatto che l’etichetta in questione porti il nome del produttore che ha creato questa realtà, fa presupporre un certa sicurezza del personaggio assolutamente invidiabile. Infatti, la fortezza che è stata costruita mattone per mattone intorno a Blue Nox, ha delle solide fondamenta che un unico uomo ha cementato per realizzare un progetto che -come mi ha raccontato- ha «iniziato completamente solo: facevo le musiche, le registrazioni, le grafiche, ufficio stampa, spedizioniere, andavo in posta… Mi andava di fare le cose come volevo io e anche di darmi una pacca sulla spalla da solo se una cosa era fatta bene, o di prendermela con me stesso se una cosa non lo era. Idea bislacca per il periodo, ma che poi si è rivelata vincente. Comunque una delle peculiarità dell’etichetta è stato di sentirsi un team fin dall’inizio, anche se io sono “the man” della label».
Oggi, dopo quindici anni di attività hip hop, funk e reggae Macro Marco ha uno stendardo musicale da esporre con fierezza che comprende una carriera da dj, una vastissima produzione di beat in continua ricerca avanguardista e una rosa di artisti eterogenei che sono in continua evoluzione stilistica, ma «con una loro identità» e con una stessa affinità che si riassume in un’unica frase: «a noi piace fare musica che ci piace».
Il mito del ragazzo ambizioso di Paola che non ha vinto solo il Culture Clash, ma ha acquisito la fierezza di dedicare parole a se stesso e a ciò che è riuscito a creare con una soddisfazione che solo chi è riuscito ad unire suoni e persone in una delle più grosse realtà italiane, può avere.
Kiave, artista di Blue Nox e Macro Beats racconta il suo primo ricordo di Macro Marco -che differisce totalmente dal primo ricordo del produttore- e testimonia come un’amicizia unita a virtù, ambizione e dedizione possa portare ad un completo compimento di se stessi.
«La prima volta che incontrai Macro Marco fu ad un jam pomeridiana a Paola nel ’97 -io avevo sedici anni- e c’era il mito di questo ragazzo molto alto di Paola: un super rapper, che spaccava in freestyle. Allora presi il treno da Cosenza, carico di rime e super infottato per rompergli il culo -perché al tempo funzionava così-, quindi arrivai là e lo conobbi in un cypher: abbiamo fatto freestyle insieme e da lì è nata una grande amicizia che ha portato poi a tutto quello che già sapete».
«Qual è stato l’elemento essenziale che ti ha spinto ad intraprendere il tuo percorso nella black music?»
«Essenziale non ti saprei dire. Credo che gli elementi siano stati molteplici: gli ascolti di black music grazie agli amici, essere un po’ coinvolto ed essere affascinato da quello che era il periodo delle posse -fine anni ’80 inizio ’90-, quello che si sentiva in tv e in radio… Ho comprato il primo vinile quando avevo nove anni. È stata una cosa che mi ha subito preso, probabilmente sia per le sonorità che erano fighe -più della musica italiana che si sentiva- sia per un discorso di ambientazione, di essere una cosa parallela e in molti casi perpendicolare a quella che era la realtà dei fatti della vita per un ragazzo che come me abitava nel profondo sud Italia. Era una cosa innovativa che ti trasportava un po’ più in là. La cosa più bella -di cui mi ritengo molto fortunato rispetto ad altri- abitando al sud non c’era la possibilità -come nelle grandi città- in quel periodo di avere uno spazio in cui suonare; avevamo la possibilità di fare magari un party ogni tanto e in quel momento tutti quegli elementi della black music confluivano. Gran Master Lugi -che comunque è un po’ il patriarca della scena calabrese hip hop e non solo- nelle sue selezioni mischiava un po’ di tutto. È stata una cosa che mi ha dato un’apertura mentale e una panoramica su quella che era un determinato tipo di musica -che non era solo rap, reggae o funk, ma tutte insieme- che mi porto ancora dietro adesso; penso che sia stata una delle cose di cui ho giovato di più nel mio percorso musicale. Non essere settoriale, ma anzi essere mega aperto da subito sulla visione di quello che era la musica: credo si riscontri anche in ciò che produco.»
«Com’è nata l‘idea di fondare l’etichetta Macro Beat Records?»
«È nata probabilmente da una follia. Era un periodo in cui aprire un’etichetta discografica -cioè fare i dischi- era veramente da pazzi, perché il mercato discografico era in crollo: uno dei periodi peggiori per la discografia. Era una mia esigenza personale dopo un bel po’ di anni in cui avevo lavorato come produttore musicale per altre realtà. Ad un certo punto sentii la necessità di volere e dovere fare le cose al 100% nella maniera in cui le percepivo e nel modo in cui volevo farle. Macro Beats ero e sono io in prima persona -nonostante i molti collaboratori-. Comunque tutti gli artisti che da subito sono entrati a lavorare per l’etichetta, oltre ad essere artisti hanno avuto il pregio di sentirsi sempre parte integrante di quello che era l’idea dell’etichetta, essendo anche quelli con cui ho iniziato questo percorso.»
«Riguardo a questo, ho notato che Kiave, Turi, Killacat e altri artisti con i quali hai collaborato hanno le tue stesse origini calabre. In che modo la tua terra ha influenzato le tue scelte artistiche?»
«Innanzitutto, le mie origini hanno avuto un’influenza su una certa attitude rispetto alla musica. Poi con molte persone -quasi tutte quelle con le quali ho iniziato a lavorare- avevo un rapporto di lavoro e di amicizia da prima che nascesse l’etichetta: erano già persone con cui avevo collaborato in altre forme. Ad esempio, con Kiave -come hai detto tu- ci conosciamo da quando eravamo ragazzini, dall’inizio dei percorsi musicali di entrambi; abbiamo lavorato anche a suoi demo e dischi precedenti a Macro Beats ed è stato naturale per me dire a lui ad un certo punto che stavo facendo questa cosa e che avrei avuto piacere che lui ci fosse dentro. Con Turi, idem con patate: abbiamo collaborato per tanti anni e sono stato la sua spalla nei live; quindi anche con Salvatore c’è sempre stato uno scambio di musica continuo che alla fine ha portato a coinvolgerlo in quello che stavo facendo. Killacat l’ho conosciuto -anche per un discorso anagrafico- già quando io non abitavo più in Calabria -molto più avanti- e avevo comunque già lavorato con lui per altre etichette: è stata una cosa parecchio naturale inserirlo nel progetto. Sicuramente il rapporto umano è una componente che difficilmente non integro al rapporto lavorativo, anche se ad oggi spesso e volentieri capita anche il contrario.»
«Mi sembra quindi di intuire che con Kiave tu abbia un rapporto più radicato nel passato piuttosto che con altri artisti. Ricordi la prima volta che vi siete conosciuti?»
«Ricordarmi è un po’ difficile perché è passato veramente tanto tempo. Lui è un po’ il biografo ufficiale: si ricorda tutto e sicuramente lo sa. Ricordo che in quegli anni c’era una radio alternativa a Cosenza che si chiama Radio Ciroma, dove c’erano dei programmi hip hop “open” gestito da Lugi e DJ Marcio, in cui si poteva andare, si assisteva, si faceva freestyle. Penso che sia stata lì la prima volta che ho sentito Kiave, ma credo che fosse anche la prima volta che lui prendeva il microfono in mano in vita sua. Faceva freestyle e questa registrazione penso sia andata a finire su una cassetta. Da lì, molto spontaneamente da cosa nasce cosa e abbiamo iniziato a frequentarci sia per le serate, sia a collaborare musicalmente.»
«Puoi illustrarmi la relazione tra Macro Beats, Blue Nox e Unlimited Struggle?»
«Macro Beats è un’etichetta discografica; Blue Nox è una crew di cui la maggior parte degli artisti escono anche per Macro Beats; Unlimited Struggle è un’etichetta concorrente… Non è vero, scherzo [ride]. È uno di quei collettivi che noi abbiamo sempre visto come un gruppo di persone che fanno musica come piace anche a noi e che hanno un punto di incastro che fa girare un po’ tutto quanto attorno a Ghemon -che fa parte di tutte e due le crew-. Ad un certo punto ci è venuto anche molto naturale di iniziare a collaborare sempre di più fino ad arrivare a quel magma musicale che è Blue Struggle.»
«Ci sono delle analogie musicali caratterizzanti tra gli artisti presente nella Macro Beats?»
«In realtà credo di no: è un falso storico. C’è stato per un po’ di tempo questo mito che Macro Beats facesse consious rap. Soprattutto oggi rispetto a qualche anno fa le differenze sono assolutamente visibili e ascoltabili: OrchiDee di Ghemon, Laska di Mecna e il Fixtape di Kiave messe a paragone, capisci che fanno tre cose completamente diverse l’una dall’altra. Direi l’analogia è la musica di qualità. Cosa di cui vado particolarmente fiero.»
«Pensi di aver avuto dei meriti nello sviluppo artistico di Ghemon?»
«Penso proprio di sì. È un percorso che abbiamo fatto insieme: è dal 2009 che io produco i dischi di Ghemon, che non vuol dire solo metterci i soldi, ma seguire l’artista in un suo percorso soprattutto -com’è il caso mio e di Ghemon – a lunga scadenza, o -mi auguro- senza scadenza. Credo il mio merito non stia nella sua evoluzione musicale -perché è un percorso personale-, ma quello di creare terreno fertile per fare sì che quell’artista possa crescere nella maniera più libera possibile.»
«Macro Beats Records ci riserva nuove uscite prossime?»
«Sì [lunga pausa-ride]. Facciamo dischi da molto tempo, sicuramente non smetteremo adesso. Quello che posso dire è che tutti gli artisti dell’etichetta sono sempre a lavoro su dei nuovi progetti. È da poco uscito il disco di Killacat quindi adesso siamo concentrati su questo prodotto, ma siamo già in studio a registrare altre cose.»
«Non diciamo di chi, immagino.»
«Basta fare qualche conto: non è difficile. Dobbiamo concludere il giro.»
«Dopo quindici anni di attività e produzione in campo musicale hai dei rimpianti o ti ritieni pienamente soddisfatto del tuo percorso?»
«Rimpianti sicuramente non ne ho, anzi sono grato di tutto quello che ho avuto, di tutte le persone che ho conosciuto e di tutti i risultati che ci siamo aggiudicati durante il nostro percorso. Sicuramente sono molte di più le cose per cui sono contento. Non ho nemmeno il tempo o la voglia di avere dei rimpianti, perché sulla bilancia pesano di più le cose per cui essere soddisfatti. Se guardo al futuro spero di averne ancora di più.»
Questo venerdì 15 maggio Macro Marco sarà al Full Music di Firenze per portare tutta la sua esperienza black sul giradischi.
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