In Italia ha studiato principi e tecniche di scrittura, in America, grazie al Master in sceneggiatura della UCLA, si è perfezionato e ha conquistato plausi di critica e pubblico con i suoi lavori. L’ultimo progetto ha vinto l’Alfred P. Sloan Award, a cui è seguita una stage reading al Grammy Museum di Los Angeles. Poi il premio come miglior lungometraggio nel concorso di sceneggiature del RIFF (Rome Independent Film Festival). Con Andrea Brusa, partiamo proprio da qui: dal cinema come questione di vita o di morte.
Cosa ti ha spinto a intraprendere la strada del cinema e, in particolar modo, quella della scrittura in forma di visione?
Da piccolo volevo fare il giornalista sportivo. Prendevo le formazioni delle squadre ed inventavo le radiocronache di partite intere. Poi all’università la segreteria mi ha iscritto, senza che lo avessi scelto, ad un laboratorio di scrittura per il cinema. Ho cercato di evitarlo ma era un corso obbligatorio. Ci sono andato controvoglia e ho scoperto un mondo che mi ha subito rapito. Ho capito che si potevano raccontare storie più interessanti delle partite di calcio immaginarie…
Che cosa ti ha affascinato di Corradino D’Ascanio e che cosa hai scoperto che non sapevi della creazione della Vespa?
Sapevo poco della creazione della Vespa e, proprio come Corradino, non non ho mai guidato una moto in vita mia. La sua storia però, mi ha coinvolto immediatamente. E’ stato una personaggio particolarmente geniale, che ha sacrificato buona parte della sua vita per un sogno, un’ossessione: la creazione del primo elicottero. Con lo scoppio della Seconda Guerra mondiale ha dovuto mettere da parte la propria ambizione e lasciare che gli americani arrivassero prima di lui. Nel dopoguerra ha speso il suo talento e le sue idee al servizio della Piaggio per progettare un mezzo di trasporto che fosse economico, affidabile e facile da guidare. Così è nata La Vespa, un capolavoro di design apprezzato da settant’anni in tutto il mondo. E’ vero, non era il progetto che Corradino aveva sognato di realizzare all’inizio della sua carriera, ma è stato il suo modo per contribuire alla ricostruzione del paese.
Il progetto sta avendo una propria vita con la vittoria dell’Alfred P. Sloan Award e la stage reading al Grammy Museum di Los Angeles. Con quale sentimento hai accolto questi riconoscimenti e che cosa ti aspetta dopo?
E’ stata una grande gratificazione personale. Non è facile che una sceneggiatura con una storia non americana venga notata qui a Los Angeles. Il progetto ha vinto ora il premio come miglior lungometraggio nel concorso di sceneggiature del RIFF (Rome Independent Film Festival) e molte persone mi hanno chiesto di leggerlo. Sicuramente non è un film facile da realizzare sotto l’aspetto produttivo ma vedremo cosa succederà…
Perché scrivere per gli americani una sceneggiatura sulla creazione della Vespa? Quali sono gli strati del tuo lavoro che vorresti “quel” pubblico comprendesse del nostro Paese e dell’ingegneria in sé?
Ho visto fin dall’inizio nella storia di Corradino molto più che la sola impresa della creazione di uno scooter. La sua è una storia di rinascita, di sacrificio. Questa sceneggiatura è un omaggio a quella grande generazione di Italiani che alla fine della Seconda Guerra mondiale aveva perso tutto ed ha ricostruito con grande impegno il nostro paese. Purtroppo le generazioni successive non sono riuscite nell’impresa di tenere fede a quell’impegno. Ma questo è un altro discorso…
Che cosa hai in mente quando crei? Ci sono altre storie che vorresti tradurre in immagini nell’immediato?
In genere parto sempre dal protagonista. Se mi interessa la sua storia e il suo percorso inizio subito a scrivere le scene. Scrivendo i dialoghi e costruendo le azioni dei personaggi capisci se quel progetto ti affascina e hai voglia di lavorarci. Adesso sto scrivendo la sceneggiatura sulla storia di Franca Viola, la prima ragazza che nel 1965 in Sicilia ha rifiutato il matrimonio riparatore dopo essere stata stuprata.
Come valuti il tuo percorso di studi e quello professionale che stai avviando?
Gli studi universitari in Italia mi hanno permesso di approfondire principi e tecniche di scrittura, poi in America il Master in sceneggiatura della UCLA mi ha insegnato la disciplina e l’unica cosa che davvero conta: scrivere e continuare a farlo. Adesso sto collaborando con Marta Savina, una bravissima regista italiana che vive a Los Angeles, ed in Italia ho creato un gruppo di lavoro, Nieminen, con il regista Marco Scotuzzi e il producer Andrea Italia e insieme stiamo realizzando soprattutto cortometraggi.
Daresti qualche consiglio a chi come te insegue il sogno del cinema?
Non ricordo chi abbia detto che per diventare esperti in una disciplina ci vogliono diecimila ore di duro allenamento ma credo sia verissimo. Se uno vuole fare il regista, per esempio, non vedo altra strada che iniziare a girare cortometraggi… e continuare a farlo. Il primo non sarà un capolavoro, ma se uno continua a lavorare sicuramente il decimo sarà meglio. Ormai con le nuove tecnologie e le opportunità di crowdfunding non è così difficile realizzare una serie di progetti.
Che cosa ti piace del fare cinema?
Il fatto che sia un lavoro di team. Le note per me sono importantissime. Sono sempre alla ricerca di feedback su ogni piccolo particolare della pagina: dialoghi, descrizioni, azioni. In America quasi tutti fanno parte almeno di un “writing group”. Un gruppo di autori che si incontra una sera a settimana per condividere idee e sceneggiature.
Ti preoccupa la competizione a L.A.?
La competizione qui è durissima. Il numero di persone che vogliono lavorare in questo settore è impressionante e le opportunità disponibili al confronto sono poche. Non conti niente finché non sei in grado di mettere qualcosa di valore sul tavolo: un cortometraggio, un soggetto, una sceneggiatura. Qualcosa che possa attrarre l’attenzione di un produttore, un agente o qualcuno in grado di mettere in moto la macchina produttiva e puntare su di te. Il problema ovviamente è che qui l’asticella è altissima e avere qualcosa di davvero interessante tra le mani non è così facile.
Credi che ci sia più sangue europeo nelle tue vene artistiche o americano? Qual è il cinema che ti ispira e ti incoraggia? Come hai lavorato sulla tua sensibilità?
Sangue europeo anzi italiano al 100%. Da piccolo ero spesso malato e quando stavo a casa da scuola guardavo all’infinito i VHS (eh sì, erano gli anni 90′) dei film di Totò e gli altri classici della commedia all’Italiana. “Letto a tre piazze” e “Guardie e Ladri” credo di averli visti così tante volte da aver logorato le cassette.
Che cosa ti aspetta ora?
Marta Savina sta per dirigere in Sicilia “Rosso Di Sera”, il cortometraggio sulla storia di Franca Viola che abbiamo scritto insieme, mentre io sto sviluppando la sceneggiatura del lungometraggio. Per la Nieminen stiamo finendo la post-produzione di Nur, un corto sulla storia di una profuga siriana in transito a Milano, e stiamo lavorando al nuovo progetto che gireremo a settembre in Italia.