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GOLDSERIES: è dipendenza da serie tv



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Guardo serie tv in maniera assidua dal 2006. Tutto è cominciato con OZ, un’ottima jail-series, poi è arrivato Prison Break, Lost e Dexter e da qual momento è stato amore. Poi ci sono state le comedy, alcune delle quali guardate con la foga tipica di una serie antologica. Poi l’avvento delle concept series, di Walking Dead, House of Cards, Game of Thrones e via dicendo, serie costruite macchinosamente da menti che conoscono profondamente il series-world e i suoi effetti, professionisti che hanno piena consapevolezza di ciò che la gente si aspetta e che fanno di tutto per non portare lo spettatore al disincanto o all’abbandono.

Ma tutto questo è davvero un problema? Siamo (e dico siamo visti i miei precedenti) davvero soggiogati da produttori, registi e autori che creano contenuti seriali impacchettati, concepiti soltanto per essere guardati senza sosta oppure è solo l’antica seduzione per il racconto, per le storie che in un modo o nell’altro anche inconsciamente vorremmo vivere o a cui vorremmo assistere da vicino?

Molto spesso nella mia esperienza comunicativa e di spettatore appassionato mi sono chiesto se questa passione smodata per la narrazione seriale fosse forzata o se il tempo in cui i film o i libri riempivano la mia fantasia avesse affrontato progressivamente un’evoluzione, un mutamento che coincide nell’offrire un prodotto simile a entrambi i supporti, ma più accattivante.

Citando Bruner “la narrazione è il primo dispositivo interpretativo e conoscitivo di cui l’uomo – in quanto soggetto socio-culturalmente situato – fa uso nella sua esperienza di vita”, dunque l’uomo si ciba quotidianamente di racconti per delineare coordinate interpretative di azioni e situazioni passate, presenti e future. Il racconto, in ogni sua manifestazione, stimola dunque l’immaginazione, anche se in molti casi – vivendo in una società in cui ogni persona è collegata ad uno smartphone con una moltitudine di immagini bombardate quotidianamente – è certamente un po’ aiutata.

Ritornando al “problema”, io porterei la sua analisi in un’altra dimensione, ovvero quella che rappresenta la trasformazione che la televisione ha subito nell’ultimo decennio o poco più: l’abbandono e la caduta, almeno parziale, della televisione generalista a scapito dell’esperienza on-demand. E’ chiaro che la scelta dello spettatore è sempre legata a dinamiche di mercato e limitate a determinate decisioni, ma le possibilità, oggi, sono davvero enormi, soprattutto se rapportate ai tempi in cui eravamo costretti a vedere Beverly Hills, MacGyver e compagnia bella. Forse è proprio questo il problema, ma bisogna considerare che fino a qualche anno fa la tv, per chi la guardava in modo critico, era il male, non somigliava nemmeno lontanamente ad un cinema in miniatura e c’erano poche trasmissioni e tutte fine a se stesse, mentre oggi il  il contentino è un po’ più soddisfacente: serie tv che somigliano a film, attori di film che recitano in serie tv registi e registi con tanto di oscar che girano puntate e stagioni intere. Non male.

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Tuttavia la maggior parte delle serie tv viene ancora scaricata o guardata in streaming e questo ci riporta al nocciolo della questione: le serie tv, almeno alcune, sono aumentate non solo nel numero, ma anche e sopratutto nella qualità, nella cura e nelle scelta delle tematiche. La serie tv è un ibrido fra un film dilatato, nel tempo e nella narrazione, e un “romanzo da vedere” che nonostante da un lato limiti quell’immaginazione sconfinata che sorge leggendo una storia su carta, dall’altro offre una dimensione più ampia, perché deve stimolare tanti sensi in modo differente. Guardare con attenzione e criticità una buona serie di qualità equivale per molti versi a buttarsi in un libro, e così come un libro può essere letto in una notte, allo stesso modo e nello stesso tempo si può ingurgitare una stagione. Il bisogno di leggere un romanzo, magari un sequel, è molto simile alla voglia di cominciare la seconda parte di una serie, così come all’ansia di vedere il 3° capitolo di Star Wars dopo aver finito il 2°. Certo, ci vuole molto più impegno e dedizione a leggere una saga di romanzi, è un’esperienza più attiva rispetto a delle puntate che ti scorrono davanti agli occhi, ma il desiderio che ci porta verso l’uno o l’altro supporto è molto simile.

Insomma, tutti noi abbiamo bisogno di storie, di un’inizio di un climax e, per quanto triste possa essere di una conclusione, di aneddoti raccontati da un’anziano di 80 anni, di antologie catapultate da un maxischermo, di complesse frasi lette attentamente su centinaia di A5 rilegati, e fondamentalmente, ci sono problemi più grossi.

Knowledge is power.

It’s all.