“Sono passati 2 mesi dall’uscita del nuovo album. E qualche anno in più da quando scrissi la prima canzone, da bambino. Sono passate 16 ore da quando ho deciso di non suonare durante una manifestazione, perché non me la sentivo. È passato un mesetto da quando una ragazza mi ha fermato per strada. Voleva ringraziarmi per quello che scrivo”. Che rapporto hai con il tempo che passa e con quello che resta?
Questa domanda è l’esempio che non tutti i post che scrivo sono cazzate (ride). Grazie. Le parole che hai citato erano più che altro un modo per fare una specie di bilancio, che poi ho comunque smentito, perché non li so fare. Non ti nego che con il tempo ho un rapporto conflittuale. Non credo di essere un grande nostalgico, per lo meno nella vita quotidiana. Quando incontro un ex compagno di scuola, o un amico d’infanzia che però ora non frequento più, cado in un disagio profondo. Perché vorrei provare la stessa loro nostalgia, nei confronti degli anni trascorsi, invece non provo nulla. Non so perché, guardo il mio amichetto dei giardini oggi, gli voglio bene ma non tornerei bambino per nulla al mondo. Sarei certo di riprovare le stesse esperienze, comprese quelle che mi hanno ferito. Forse è per questo che non amo guardarmi indietro, per paura. Compenso guardando avanti, forse troppo.
La tua musica è pura sperimentazione: come la ricerchi? Come componi? A chi ti affidi?
Sperimento perché ogni volta che mi approccio alla musica mi sembra di stare in un luna park, davvero non riesco a stare composto. So che se lo facessi avrei molte più facilitazioni da un certo punto di vista, ma è davvero più forte di me. Nonostante mi piaccia in effetti sperimentare, resto un grande fan della melodia, questa forse è la cosa più italiana che ho nella mia musica.
Cerco di non renderla mai banale, ma la rincorro sempre; anche nei brani più sperimentali, in quelli più cosiddetti “hardcore”, mi piace l’idea di poter fischiettare la mia canzone. Ricerco la mia musica nelle mie radici: mio fratello era un giornalista musicale, scriveva per PSYCHO! e altre fanzine. All’epoca abitavamo ancora entrambi a casa con i nostri genitori. Gli arrivavano decine di cd ogni settimana, mia madre impazziva, mentre io ne rubavo qualcuno, attirato spesso dalle copertine assurde. Mio fratello mi ha indotto alla musica. Un po’ lo emulavo, un po’ ero davvero interessato. Poi ho scoperto il rap e da poco tempo ho deciso di mischiare il rap con tutto il resto che mi piace e che ho assimilato. Scrivo con la mia chitarra secolare, registro il provino con il cellulare, poi vado in studio da Marco Zangirolami e mi si apre un mondo. Lavorare in studio per l’ultimo disco con Marco Zangirolami e Dargen D’Amico è stata un’esperienza esaltante, dalla quale ho imparato davvero tanto.
Il testo di Soldi ha un’aderenza alla tua vita? “Un tempo ero più sensibile. E’ che adesso non sono abbastanza ricco per esserlo”.
Sembra una risposta banale, ma quando l’ho scritta ero davvero povero. Ricordo che mi guardavo allo specchio e pensavo “cazzo sei davvero povero”. Il concetto di povertà a quel livello non mi aveva ancora toccato. Era un periodo in cui non avevo soldi, campavo con circa 80/100 euro al mese, i miei coinquilini mi facevano la spesa. Davvero un disastro! Dunque mi dissi: “Al posto di scrivere una canzone su quanto sei povero, cerca di scriverne una su quanto vorresti i soldi”. Mi sembrava una lettura più positiva. In effetti quando ho avuto problemi economici è venuto fuori il lato più schietto e più razionale di me, lasciando un attimo da parte il lato più sensibile. Allargando il significato, Soldi è un po’ tutta una provocazione. È facile fare canzoni d’amore quando hai i soldi per fare la spesa!
Che rapporto hai con la tua città d’origine e qual è la terra che ti fa sentire a casa?
Amo Torino, e quando dico di amare Torino, non è implicito che ami anche tutti i torinesi indistintamente. Amo Torino a livello architettonico, amo le strade, il Po’. Tutto. I Torinesi li amo e li odio, ed essendo anche io torinese, si giunge presto al rapporto che ho con me stesso. In questi anni ho pensato spesso di cambiare città, a volte ci sono stato molto vicino. Avevo già trovato una casa a Milano, anni fa ero ad un passo per trasferirmi a Barcellona, ma alla fine sono rimasto qua. Barcellona appunto è quella che posso definire la mia seconda città, ci sono stato una marea di volte, anche per periodi medio-lunghi; è una città che ha visto le mie prime sbronze, il mio primo bacio, la mia prima volta, il mio primo grande amore, il mio primo aereo da solo…un sacco di miei prime volte. Parlando di nuovo dell’italia, a volte, quando sento l’esigenza di staccare, amo andare in Puglia, dove ho le mie origini e tutti i miei parenti.
“Siamo un elenco di cose infinito. Siamo il vero amore…”. L’album Non lo so è un diorama di verità e di palleggi con la nostra esistenza: in che modo sei riuscito a restituire queste luci in musica? Che rapporto hai con le parole che scegli e con la scrittura in genere?
Ti ringrazio. Mi sto ripetendo questa domanda in testa da un po’, ma non so rispondere. È tutto molto spontaneo, specie in questo disco. Diciamo che ho riflettuto molto su cosa scrivere e su come farlo. Nei dischi precedenti, era tutto un racconto autobiografico, sì influenzato dal mondo, ma in fondo era un modo per parlarmi allo specchio. In questo disco avevo proprio voglia di scrivere per gli altri, per la gente. Cercare di donare qualcosa a modo mio. Non rendendo gli ascoltatori dei semplici spettatori dei miei pensieri, ma tentando di coinvolgerli, di renderli attori protagonisti. Brani come Il Dottore, Dove Sei, Pianeta Bellissimo sono l’esempio di questa mia ricerca. Voglio sempre scrivere qualcosa nel quale credo davvero; poi capita che non tutti colgano l’intero significato di una canzone, ed è giusto così. Anche in Pianeta Bellissimo, parlo di qualcosa a me molto caro, che sento nel profondo. L’amore inteso come qualcosa che parte da dentro di noi, e che quindi, se siamo capaci di tenerlo dentro custodito, diventa inattaccabile. L’amore in senso universale. Ci vedo qualcosa di spirituale, di esoterico, in quella canzone. Almeno per me.
Guardando a Mia Fobia, c’è qualcosa che ti rispecchia oggi più di ieri, in quel progetto solista? Lo consideri un album politico/civile?
Mia Fobia lo ritengo un album ottimo nelle sue idee, perché era un album di rottura. Aveva invece alcune lacune prettamente tecniche, ci sta. Ero giovane. Anche se i giovani d’oggi riescono tecnicamente a fare cose molto più apprezzabili. Forse per via dei tanti stimoli in più che hanno. Fino a qualche anno fa era molto difficile trovare un ventenne che suonasse musicalmente come “fatto e finito”. Non credo di considerarlo un album politico, forse più civile, diciamo sociale. Personale-sociale direi. Molto ingenuo, nella sua accezione positiva. Se ripenso a quel disco, sento di nuovo l’odore di quel salto nel vuoto, che forse solo con Non Lo So ho riprovato. Per il resto, non lo sento da una vita, ma dopo questa intervista forse lo riascolterò questa sera.
Qual è oggigiorno la TuaGrandePaura?
Ho due grandi paure. La prima è di morire vecchio senza capire chi sono stato in tutta la vita. La seconda è di morire vecchio, consumato da questa domanda inutile. Sono nei casini, devo risolvere queste due paure che, pur essendo così contrapposte, si sommano e mi mettono in crisi. Comunque sto meglio, molto ma molto meglio di un tempo!
Che opinione hai degli storystellers contemporanei in Italia, chi riesce ad ispirarti, chi a guidarti?
Musicalmente rispetto molti cantautori italiani, anche se a volte mi sembra sparino un po’ sulla croce rossa, o cerchino il modo più semplice. Ad esempio: parlare solo di politica oggi non è un modo per salvare i ragazzi, per farli ragionare. Magari l’intento è quello ma in fondo li si tiene incatenati là, con le stesse ansie e con le stesse lamentele. Per non parlare delle canzoni d’amore tristi. Prendi un ragazzo/a che ha difficoltà d’amore, gli fai una canzone triste, lui piange, si sente capito e diventa un tuo fan.
Non te lo scolli più, è vero. Ma l’hai aiutato ne tuo piccolo? Hai fatto qualcosa per lui davvero? Sei stato un “amico-musicale” sincero? Non vedo troppa voglia di evolvere insieme alla gente. Sarebbe un sogno se tra il cantante e l’ascoltatore ci fosse sempre un canale, un cordone ombelicale, dal quale si nutrono, e crescano entrambi. Fatico a ispirarmi a qualcuno coscientemente, sono però sicuro di farlo senza accorgermene. Amo guardare la gente, credo come tutti, fantasticare su chi cammina per strada. Mi ricordo tanti anni fa, durante un’impegnativa sofferenza d’amore, un giorno uscii di casa per fare un giro e per prendere un po’ d’aria con l’idea di farmi forza. Camminavo e ad ogni persona sconosciuta che incrociavo, fantasticavo su una sua sofferenza d’amore, e su quanto ora l’avesse superata. Passava una bella donna e pensavo “secondo me questa è divorziata, l’anno scorso si ammazzava di xanax, ma ora chi lo direbbe? Guarda come cammina bene”. In un secondo Torino mi sembrava una città di ex sofferenti d’amore che ce l’avevano fatta. Era un modo per riflettere le mie domande sugli altri, e da loro, ricevere risposta, senza che loro lo sapessero. Faccio tutto da solo, come sempre!
a cura di F. B.