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COME SE FOSSE ANTANI PER DUE
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Bolbo L’Aberrazione Romanzesca



Bolbo

Leggendo le prime pagine di Bolbo, si ha l’illusione (scorrendo velocemente le prime righe) di fruire di un racconto ben scritto, con vocaboli sofisticati ed una certa ricerca nello stile di esposizione di un concetto, con virgole e punti collocati nelle corrette posizioni. Poi arrivando a metà della terza pagina, immediatamente ci si rende conto che non si tratta di una narrativa consequenziale, bensì di un’aberrazione romanzesca.

Ma forse non è nemmeno questo: sicuramente la narrazione è composta assemblando parole che provengono da un’invidiabile proprietà di linguaggio (o dall’acquisto di un aggiornato Sinonimi e Contrari), ma non se ne ha la piena consapevolezza finché non arrivi al terzo paragrafo di pagina 23.
Terzo paragrafo del primo capitolo dell’Atto Primo. Già dopo aver scorso qualche riga, l’unica motivazione che porta il lettore a proseguire nel turbine descrittivo di Alessandro Gori (affiancato da uno sconosciutissimo Gianluca Cincinelli) è solo quella di riuscire a trovare anche solo un elemento che dia un senso compiuto a tutto lo spreco di pagine consumato.

Sfogliando lentamente i capitoli, ad un certo punto (anche se non è tuo uso) la pedante ostinatezza a non dare un senso a neanche un unico aneddoto, ti porta a saltare interi paragrafi, poi pagine, poi capitoli, poi atti, fino a che non ti costringi a leggere l’ultimo capitolo intitolato Solo, cercando un significato nella ripetitività di nonsense dell’intero racconto. E non la trovi. L’unica consolazione che ti rimane, è il fatto di aver coraggiosamente evitato di leggere l’intero libro, permettendo di salvare qualche minuto per lavare i piatti e non rimandare al giorno dopo o guardare una puntata dei Simpson.

Intendiamoci, ci sono degli aspetti che cercano di intrappolarti nella ricerca di un’epifania finale, come ad esempio l’emblematico neologismo omonimo del titolo: Bolbo. Non saranno svelati, (o almeno, non nelle preposizioni che mi sono impegnata a non saltare).

Non è un libro che merita una recensione con toni altisonanti; non è un libro al quale dover attribuire la creazione di una nuova corrente letteraria vicina al surrealismo; non è un libro che si promette di lasciare qualcosa a chi l’ha letto al momento della conclusione; non è un libro che ti fa ridere (come promesso più volte dall’autore vantandosi del suo rinomato black humor).
Ciò che ti rimane al momento in cui decidi che è sufficiente aver regalato mezz’ora della tua vita a quel libriccino così comodo da portarsi in giro è una grossissima inquietudine, pari se non maggiore all’attimo in cui capisci che lo spettacolo live dello Sgargabonzi è giunto al termine (ah, no. Ha ancora l’ultima cosa nuova che vuole proporre al suo pubblico che probabilmente non ha trovato altra soluzione se non ubriacarsi per affrontare le conclusioni amare dell’ometto sul palco).

L’autore del libro, dopo aver letto questa recensione ha deciso di rispondere, chiedendo una cortesia che è stata volutamente ignorata.

“Scusate ragazzi, ma mi trovo costretto a chiedervi un favore. 
Potreste non pubblicare questa recensione? O almeno riscriverla più positiva. Credo di poter parlare anche a nome del mio coautore Gianluca Cincinelli, a cui ancora non l’ho fatta leggere. So che questa richiesta può apparire invadente da parte mia, ma è importante e vi spiego subito perché. 
Oggi volevo farla leggere ai miei genitori, purtroppo anziani e malati, giusto per offrirgli una piccola e rara soddisfazione dopo tutte le delusioni che ho dato loro. Sarebbero felici di sapere che hanno il figliolo che ha scritto un bel libro, che viene letto, recensito e che la gente lo amano. Solo che se leggono questa recensione capiscono, come se ce ne fosse di nuovo bisogno, che come figlio hanno un povero fallito col cappellino della Saclà, un viziato senza uno straccio di talento se non drogarsi male coi loro soldi e che non vale niente, NIENTE, N)IENTEèò!!!”!. 
Ed ecco, puntuali nella notte, le lacrime. Abbiamo le folkloristiche lacrime, signori! Lacrime che sgorgano calde a solcare le mie guance pallide. E intanto di là c’è mio padre che balla con una volpe impagliata mentre mia mia mamma, in camera sua, piange sommessamente su un materasso antidecubito. Questo per rendervi partecipi della mia “vita”. Scusate.
Ovviamente conto sulla vostra etica, nel senso che qualsiasi decisione prendiate, mi aspetto che questa mia email resti privata, fosse anche per l’amicizia che mi lega da sempre ai ragazzi di Gold. O “coi” ragazzi di Gold (non c’ho tempo di ricontrollare perché mia madre mi chiama).” -

Alessandro Gori

Per valutare in prima persona Bolbo, potete cliccare QUI.