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GOLDSERIES: True Detective 2, troppa ambizione o fiasco totale?



Sono passati alcuni giorni della seconda parte di True Detective e ci è voluto un po’ prima di riprenderci dai davvero poco appetibili risvolti dell’attesissima serie HBO. Eravamo già sicuri di non poter riprovare le stesse emozioni trasmesse da Rusty e Marty poco più di un anno fa (Leggi anche: GOLDSERIES: TRUE DETECTIVE 2, L’ANTOLOGIA CONTINUA); di certo cambiando ambientazione, cast e sopratutto regista, il paragone era già in partenza poco adeguato, infatti è stato quasi come vedere una serie a parte, ma confidavamo sicuramente su di lui, sul genio, sulla mente di True Detective Stagione 1, Nik Pizzolatto, il visionario produttore esecutivo che ha rivoluzionato il modo di intendere la serie tv, creando un insieme di sotto-testi affascinanti e interessanti (non soltanto per il mondo radicalmente intellettuale), riuscendo ad accogliere milioni di persone dentro gli intrecci di un giallo introspettivo (Leggi anche: GOLDSERIES: TRUE DETECTIVE: CANI SMARRITI DELLA TV D’AUTORE).

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La speranza, al termine della prima stagione, visto che i protagonisti non si sarebbero rivisti, era di ritrovare almeno gli stati d’animo, la profondità, il ritmo tipicamente seriale che non scuote ma neanche addormenta, gli intrecci complessi che si sbrogliano progressivamente e in maniera spontanea e gradevole, e invece, quest’insieme di caratteri e sensazioni, si sono fatti attendere senza mai arrivare.

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True Detective Stagione 2 mette in scena la perversione oltre ogni limite, raccontando problemi e rapporti intimi che fanno da sfondo a un mistero criminale fuori controllo, ed effettivamente i presupposti erano davvero positivi (del resto lo sceneggiatore è sempre Pizzolatto), ma tutto questo complicato gomitolo caratterizzato da faccende che restano poco chiare dall’inizio alla fine, non eccita, non porta in dimensioni lontane e desolatamente affascinanti. Anzi, rimanda ad una aspettativa che fa fatica a concretizzarsi, caratterizzata dalla speranza di ritrovare le sensazioni provate nella prima parte dell’antologia e non vedere una serie mediocre.

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Eppure i segnali di crescita, seppur scanditi da momenti di noia mortale, ci sono stati: una colonna sonora incredibile, una fotografia inconfondibile, le luci e le riprese aeree che davano un tocco quasi fumettistico, le scene d’azione con riprese realistiche e, soprattutto, l’ottima interpretazione degli attori protagonisti: Colin Farrell, che trasmette il dolore che ha devastato il suo personaggio, una figura umile, debole e gentile; Vince Vaughn attore classicamente comico che assume un ruolo ambiguo e al contempo apprezzabile nei panni del calmo e determinato Gangster gentiluomo, che odia la parola Gangster e che uccide con calde parole più che con le armi; e ancora, Rachel McAdams, biondina con carattere, contraddistinta da una sorta di innocenza primordiale, ma con grossi problemi familiari che l’anno resa nel tempo dura come la roccia; infine, Taylor Kitsch che ricopre la parte di un ex militare con tendenze omosessuali che però non vuole esternare, così come il dolore che prova.

L’esposizione sensibile dei personaggi scavalca gli eventi trasformando quello che in principio sembrava un giallo, in una dramma eschilèo che trova il vertice nel tragico epilogo.
True Detective 2, che dunque delude complessivamente per i motivi legati al proprio nome, non raggiunge le aspettative degli spettatori e della buona parte della critica, risultando un prodotto sterile e incompiuto, nonostante l’ottimo cast e una sceneggiatura interessante: sviluppata in modo differente sarebbe stata intrigante.