L’ho guardato allontanarsi da quella malinconia che ha cantato per la prima volta in Non Erano Fiori, coerente, lineare, prolungata, strascicata di pezzo in pezzo e alla fine, l’ho vista scacciata con La Strada È Mia.
L’ho osservato camminare per la strada, la sua, verso altri progetti, verso altre città, verso altre ambizioni.
Non Erano Fiori è stato il primo disco con cui Coez ha salito il primo gradino verso il successo, il secondo è sicuramente Niente Che Non Va.
Un album che non può rimanere inosservato: un disco completo, vario, con più argomentazioni, estremamente radiofonico, ma al contempo vero e sincero.
Nella transazione da rap a pop, Coez non si è dimenticato se stesso: l’armonia della canzone si è fusa con la narrazione di quel figlio di nessuno.
È cambiato l’aspetto, è maturato il concetto, è mutato il sound, ma i testi raccontano di Coez, non di un altro autore, perché «Alla fine sono io. Dopo tutti i vari cambiamenti musicali è anche giusto riprendere quello che sei sempre stato. Non che col disco precedente non l’avessi fatto, ma quello era un lavoro peculiare».
Coez “ha perso una parte di [sé] che non tornerà, probabilmente ne avev[a] abbastanza” e con Niente Che Non Va riflette se stesso in delle parole, che possano essere immagine anche per chi uno specchio non ce l’ha.
Ti ho lasciato con un disco che parlava di una separazione, ti ritrovo con un disco in cui tra altri pezzi dalle tematiche differenti trovo Niente Di Che in cui termini il pezzo con “Non siamo più niente”; Jet in cui “Divisi non abbiamo senso come semicerchi” ;Ti Sposerai in cui “Prima non lo sapevo / Adesso che lo so / Sparirai” e concludi il disco con Le Parole Più Grandi in cui “T’ho fatto da ombrello / Adesso che il tempo si è fatto più bello non ti servirò”. Vedo inevitabilmente un collegamento tra le tracce citate e un’implicita dedica. Sei sicuro che non c’è Niente Che Non Va?
Sicuramente qualcosa non è andato in passato. Penso che in questo disco, soprattutto le tre canzoni che hai citato (Jet, in realtà è l’unica che si distacca) sono la fine di una cosa.
Jet, invece, è come se fosse una canzone d’amore ad una persona che neanche conosco.
Niente Che Non Va vuol dire che non c’è più tanto rancore verso determinate figure; più specificatamente, se vogliamo, nel mio rapporto con le donne.
Perché nell’altro disco, avevi concluso con La Strada È Mia e a quel punto sembrava che andasse tutto bene.
Sì, ma poi ci sono sempre dei ripensamenti. Rispetto alle canzoni dell’altro disco, mi sembra che ci sia un distaccamento forte. Non è che “va tutto bene”: è “niente che non va”.
Una volta mi hai detto che in questo disco avresti cercato di non affrontare esclusivamente il tema dell’amore, perché oltre che ad essere un argomento inflazionato, è sicuramente la musa poetica con cui riesci a scrivere. Come hai scelto le tematiche del disco?
Dipende: tutte in maniera molto diversa. Ci sono pezzi, come Costole Rotte, che trattano argomenti che non ho mai affrontato prima. Non è che ho cercato più di tanto; ho sperato di tornare a trattare anche altri temi. L’ispirazione prima o poi arriva: quando pensi tanto a qualcosa di diverso, alla fine arriva. Se ci pensi, il disco anomalo è Non Erano Fiori, non questo. È lì, che ho trattato solo un tema. Con Niente Che Non Va sono tornato su questioni di cui avevo scritto anche nei dischi precedenti.
Tra interruzioni di galleria e frasi mancanti, per quel treno che ha preso dopo i sei che aveva perso, ha ripercorso la sua strada artistica dai Brokenspeakers ad ora. Coez mi ha raccontato come ha mantenuto i ricordi di ieri, spiegandomi come “se sogni, se lotti, se provi a cambiare, o ti sei costruito le tue verità”, abbandonando “i sogni nei cassetti senza le ali coi lucchetti come i pali a ponte Milvio”, allora “non hai niente che non va”.
La Rabbia Dei Secondi è un pezzo di rivalsa e con Brokenspeakers pezzi simili li ho sempre trattati: qui lo presento in un modo un po’ più “canzone”. Tasche Leggere potrebbe essere Figlio Di Nessuno 2.0. I temi sono i miei da sempre. Ho ripreso cose precedenti, riscrivendole a 32 anni: più “canzone” come struttura, come intenzione. Nel rap, c’è un ritornello che gira e delle strofe che possono spaziare e dire un sacco di cose. La canzone di base o racconta una storia o parla di una cosa in generale. Questi pezzi nuovi hanno dietro una scrittura rap: nel rap si parla molto di noi stessi, mentre nel cantautorato, in realtà non sempre. In Niente Che Non Va ho portato questo elemento.
Non trattare solo d’amore era un obiettivo: per fortuna, sono riuscito a raggiungerlo.
La struttura del disco è meno lineare rispetto a Non Erano Fiori, ma nell’essere varia, affronta più aspetti sia della tua vita, sia della vita in generale.
Era Non Erano Fiori il disco particolare, che tu lo ascolti dall’inizio alla fine come se ci fosse un percorso dal mattino in cui uno si sveglia in Hangover, perché l’ex l’ha mollato e lo stressa fino a La Strada È Mia, in cui sembra che poi alla fine lasci andare la cosa.
Questo non è un concept album: è solo il mio approccio diverso, che è “niente che non va”.
Anche il pezzo che parla di mio padre è molto diverso dai precedenti.
Quindi, in che modo hai pensato di trovare una coerenza tra le varie tracce di Niente Che Non Va?
Sai che c’è? Alla fine, esce da sola. Anche nel disco precedente non l’avevo pensata. La traccia Niente Che Non Va l’ho scritta quasi in conclusione del disco. Ho capito che il disco si chiamava così quando ho finito tutto. Era il primo disco senza rancore, più positivo rispetto agli altri anni, affrontato con una maturità diversa. Ti assicuro che c’è poco di ragionato mentre siamo in studio a suonare. In qualche modo viene tutto da solo. Io capisco che cosa ho fatto e magari gli do un’impaginata generale alla fine. Il processo è molto meno cervellotico di quanto si pensi.
In Con Le Tasche Leggere narri spaccati della tua vita interrogando qualcuno e in Still Life dici che “Ho dovuto far pace con il mio vecchio / Perché l’odio ti strozza e il tempo che perdi in fondo nessuno te lo rida”, in Hangover “E mio padre non m’ha voluto / È per questo che lo saluto spesso con un dito medio”, in Mi Sono Perso “A scuola mi chiedevano chi fosse il mio papà / Io rispondevo che era un ninja / Lui c’è ma non si vede/ Ora ha un’altra famiglia con un’altra figlia”. È a tuo padre che alla fine chiedi “Come ci si sente con le tasche leggere”?
Sì, ma se senti il pezzo, le trombe dicono “papà”. Il gioco di quel pezzo è quello: sulla seconda metà dell’ultimo ritornello io lo dico: “pa-pà, pa-pà”. È una chicca. Poi, chi mi conosce lo sa che potrei trattare quel tema.
E quindi com’è cambiato l’approccio con tuo padre da Figlio Di Nessuno ad ora?
Con certe cose uno ci deve pure far pace.
Nell’ultima intervista che abbiamo fatto, mi hai detto che avresti dovuto innamorarti di nuovo per scrivere un nuovo disco. È successo? Ma soprattutto, nel caso non fosse successo, sarebbe stato necessario?
No, alla fine non è successo – per fortuna, direi -.
Credo che non ci sia più bisogno di chiedersi se ci sia un punto d’arrivo: dopo una vita che corre, una vita che lotta, alla fine Coez sarà il primo, senza rabbia dei secondi.
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