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GOLDSERIES: Wayward Pines



Domande senza risposte, misteri che si accavallano, iniziali incredulità costellate da un’inquietudine costante: ecco la ricetta della miniserie televisiva della Fox concepita sull’onda della sindrome di Lost.

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Un’ambientazione a metà fra The Truman Show e Twin Peaks fa da scenario a Wayward Pines, un racconto alternativo e bizzarro, costruito su una bella idea piena però di spunti e di intrecci che si concludono repentinamente in conclusione.

Matt Dillon, una sceriffo nato, è il protagonista di questa fiction caratterizzata da ondate di credibilità squilibrata, da atteggiamenti immotivati che progressivamente si svelano, manifestando la reale volontà dell’autore, o meglio dello scrittore della trilogia degli omonimi romanzi Blake Crouch, che, tra le altre cose, ha anche ammesso di essersi ispirato alla famosa serie di Linch degli anni ’90. Difatti i boschi ci sono, le apparenti questioni sovrannaturali pure, ma manca effettivamente il tocco del visionario regista del Montana. A Twin Peaks, una cittadina molto simile a Wayward Pines, gli interrogativi sono fuori dal comune al punto da sconvolgere lo spettatore, la poca credibilità dei personaggi è dipinta in un contesto che fa dell’assurdo la sua parte fondante, mentre a Wayward Pines, almeno fino alla 5/6 puntata, gli atteggiamenti dei suoi abitanti risultano quasi grotteschi, omologati ad una storia che in principio è difficile da capire.

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Tuttavia, arrivati la punto di lasciare, di abbandonare l’ennesima serie che doveva spaccare ma che si conferma banale e sterile, arriva l’epifania, arrivano le motivazioni, la reale storia che sta dietro il tutto, arriva la verità! Una visione futura di un mondo devastato, de-civilizzato, la simulazione di una probabilità reale e concepibile, basata su un’evoluzione anti-intellettuale e fortemente animale che ha distrutto l’uomo, o meglio che è trasceso da esso.

Ci sono tutti gli elementi per una serie di fantascienza come si deve che si mescola all’horror, al mistery e al thriller: il viaggio nel tempo, o per meglio dire, un salto in un futuro desolato e pericoloso, anti-uomini istintivi che rappresentano però il nemico minore, omicidi in piazza, fino al grande approfondimento del concetto di sopravvivenza in un mondo sconosciuto che, più di tutti, risulta ridondante e basilare, un concetto che unito a quello di libertà ordina l’intricata trama. La ricerca costante della condizione che ha mosso i popoli nella storia dell’umanità, che in questo racconto si mescola alle questioni sovversive e rivoluzionarie, giustifica nel finale tanti interrogativi che sembra rimanessero aperti; è la cornice che dichiara che la principale inimicizia si trova fra gli uomini, fra il controllo e la comunità, fra la repressione e la verità, e ci fa comprendere quanto l’organizzazione umana, piccola per quanto possa essere, risulti sempre complicata e piena di contraddizioni.

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Wayward Pines, che a differenza del prolisso ed eccessivamente complesso Lost dura solo 10 puntate, apre gli occhi sulle incoerenze di questioni tanto essenziali quanto inconciliabili, concludendosi con un finale inaspettato, interessante e per nulla banale. Da storia da 4 soldi, si trasforma in una trama inconsueta e dai buoni propositi, forse troppo breve per le tematiche trattate a volte superficialmente, ma dai risvolti che nel bene e nel male risultano sorprendenti.