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QUESTA GUERRA DEI CLONI INIZIATA È
MUSIC

Don Diegoh e Ice One tra Latte e Sangue



«Ero piccolo, stavo in questa villetta e arrivava sempre questo tipo di Crotone, un po’ sballato, che ripeteva “nta vita ci vo latt e sang”». – Don Diegoh

L’incontro di un oscuro funk che pone le fondamenta di un disco malinconico per costruire una città bagnata dal mare, un po’ capitale, un po’ piccola provincia, che ha la forza del rap che urlava negli anni Novanta per uscire dal cypher di strada.

È un cappuccio che viene calato sulla fronte corrucciata per proteggersi dagli attacchi della vita e porre il primo passo per imboccare una strada in cui sei solo e mille occhi ti guardano critici.

Il primo passo è rappresentato dal momento in cui Ice One posa lo sguardo su un ragazzo di figura gracile, con testa bassa e occhi accesi, di una profondità che regala solo il sud, che ti fa vivere i palazzi e le figure omertose.

“All’inizio con Diego ci siamo un po’ squadrati: arrivare a pensare di fare un album con un artista, vuol dire comunque cercare di creare un connubio che va al di là della musica. Devi anche capire la potenzialità espressiva della persona e qual è il suo background. Devi riuscire a capire cosa può rendere realmente; stessa cosa, l’MC deve capire se il producer può musicalmente fornirgli quegli stimoli che lo portano a rappare quello che scrive con maggiore o minore convinzione. Sono quei classici lavori dove lo ying e lo yang devono essere perfettamente incastrati. Sono storie sia musicali sia letterarie. È un lavoro delicato: con Diego è successo”.

Se non fosse successo, “la cosa migliore sarebbe stata voltare pagina e prendere ognuno la propria direzione. Un potenziale del genere da entrambe le parti o fai qualcosa o non fai niente, non c’è una via di mezzo”, dice Ice One.

Si sono guardati, osservati, studiati fino a che non si sono ritrovati su un palco in cui le rispettive energie si sono allineate per creare un unico flusso. Obbligati a non provare per ragioni imposte da Ice One, si esibiscono spontanei, sintonizzandosi l’uno con l’altro, anche se “è una cosa che non viene concepita. Ovviamente, c’è una struttura, però l’essenza è essere live in direct. Tu provi mai a respirare? Il respiro lo puoi controllare, ma non è un atto che puoi interrompere. Questa cosa di condividere il palco ha solidificato quello che è il legame artistico: ci sentiamo rappresentati l’uno dall’altro” mi spiega Ice One, raccontando com’è nata l’unione creativa con Don Diegoh.

Il cimentarsi in questa continua esposizione freestyle di se stessi ha fatto sì che Ice One e Don Diegoh si rendessero conto che “questo lavoro si poteva poi portare su un disco. Io non avevo intenzione neanche di fare un album nuovo: Ice One è riuscito con il suo lavoro a darmi gli stimoli necessari per farmi mettere tutto quanto all’interno di un album. Non mi dimenticherò mai che la prima volta che sono andato da lui a Ostia, mi fece un ragionamento sul tipo di produzione che faceva con una metafora: “Se a te piace la pizza margherita, io so fare quella; se a te piace un’altra pizza, devi andare in un’altra pizzeria”. Poi a vederla bene, più che una margherita sembra una 4 stagioni, perché lui ha avuto la pazienza, la perseveranza e la voglia di approfondire sempre di più dal punto di vista del suono questo disco. Un album che parte da una matrice boom-bap, identificabile di sfuggita come un album classico; a ben vedere invece è farcito di arrangiamenti che non ne fanno una pizza margherita, ma che ha delle virate nel suo stile: un po’ moderne, un po’ quasi futuristiche” così Don Diegoh descrive Latte & Sangue.

È un silenzio squarciato da rime che urlano, che nella debolezza dell’emotività, fanno stringere i pugni e sfondano gli schemi dell’anima che imprigionano. I demoni che corrodono il cuore e mordono l’intelletto si scatenano incontrandosi in spiriti diversi: “ogni persona che si cimenta con l’arte, in questo caso con la musica, ha il suo demone. Può essere più o meno simpatico: il mio è cupo con sprazzi di allegria, che però in genere sono grotteschi. Diego ha già una forte componente introspettiva, che si è sposata con una certa facilità con il mio sound. La mia ispirazione – fin da quando ho iniziato a concretizzare tanti pezzi che uscivano su vinile, cd o online – è quella cupezza che può avere il funk. Anche se c’è una melodia allegra, non è mai rassicurante, però la preoccupazione generata non è negativa, ti attrae. Il funk è l’odore del sesso”.

Ice One illustra come le basi – con suoni quasi cupi, alternate con ritmi a volte sostenuti – creino atmosfere più d’attacco come Re Nessuno o Porte Chiuse e la maggior parte delle tracce costruiscano un ambiente introspettivo, mettendo “la mia passione per le colonne sonore horror e la musica cupa in generale, è una roba che dentro di me evoca determinate forze, magari anche negative, che però io riesco ad imbrigliare e dargli un’altra forma. La mia natura è quella. Le mie forze vengono evocate da quei suoni. È stato abbastanza facile che ci trovassimo, perché Diego nella sua cultura ha anche della musica che ho prodotto io, per cui aveva una chiave di lettura molto più complessa e comprensibile delle mie produzioni”. Don Diegoh sottolinea come “Seby [Ice One, ndr] continua a dare degli insegnamenti che restano nel tempo. È intervenuto anche su una serie di tematiche: mi ha fatto capire che c’erano delle cose che potevo scrivere con più agio e delle cose che sarebbe stato meglio non scrivere o porle in una forma diversa. Oltre a fare le basi ha fatto rap e continua a farlo. Ci sono state delle cose nell’album che abbiamo visto insieme. Funzionava così: io arrivavo da lui senza aver scritto una rima su un foglio e mentre rappavo capivo se era una cosa che poteva andare dalle sue reazioni”.

Ha funzionato esattamente come la metafora di Ice One: “Il cuore e i polmoni sanno che stanno lavorando insieme: si trasmettono piccole informazioni che però fanno parte del metabolismo. Io mi fidavo ciecamente di quello che faceva Don Diegoh e lui lo stesso”.

In un percorso di due anni, il producer mi ha confessato che Latte & Sangue “è stata un po’ una scommessa: quello che io o lui avevamo promesso poteva alla fine anche non risultare. Dal mio punto di vista ho incontrato un Diego meno preparato di me, ma lui si è affidato totalmente proprio perché ha capito che se voleva imparare, doveva rischiare” .
Per Don Diegoh Latte & Sangue “è l’album che ho sognato di fare da quando ero ragazzino e che pensavo non sarei mai riuscito a realizzare. Ho sempre desiderato lavorare con delle persone che mi hanno segnato positivamente: prima coi loro dischi, poi con gli insegnamenti. Per me la musica ha sempre rappresentato anche un’interpretazione della realtà, un’armatura per affrontarla”
.

Il disco è stato il regalo che Don Diegoh ha voluto regalarsi arrivato al suo trentesimo compleanno, che ha coinciso con il festeggiamento dei trent’anni di carriera di Ice One, “infatti ci doveva essere un pezzo che si chiamava Trenta, ma che probabilmente non uscirà mai” mi confida l’MC.

I pezzi che strutturano l’album “ricalcano questo mood andando dalla genesi, allo Zenit che è oggi: da una persona che sta per compiere cinquant’anni e una che ne ha compiuti trenta. Entrambi si trovano ad un giro di boa della propria vita. Per cercare anche di collegare l’intimo a quello che è l’esteriore vanno a rifarsi a tutto quello che è stato, dando un occhio al passato sia dal punto di vista musicale – con venature soul, funk ed elettroniche – a scavare poi nel presente e a volgere un occhio al futuro. È un disco che si chiude con una frase che parla del presente: “noi abbiamo scelto di essere noi”.

Don Diegoh si muove in un viaggio che Ice One bagna con una pioggia fine di sonorità che si aprono con Lascia, che è la faccia di una medaglia in cui l’altra è raffigurata da Noi: “è come se prima invitassi a fare questa camminata di due minuti in cui ripercorro dieci anni della mia vita per poi arrivare a Noi. Cammino ascoltando musica in cuffia, fumando una sigaretta alla fermata di un tram oppure sto fermo “parcheggiato in doppia fila con le quattro frecce al centro del deserto”; e alla fine c’è il mare – effetto sonoro messo da Seby -: un modo per purificarsi, ma anche per far capire che le cose scorrono”.

Il mare che ritorna nelle parole del rapper crotonese e si insinua nelle atmosfere nel rievocare le origini di una città che lo marchia, che descrive in Le Barche, raffigurando un dipinto fluttuante che “dà un’idea di movimento, come tutto l’album: la dinamicità è quella che a me interessa”.

DonDiegoh_IceOne_Latte&Sangue_01

Ed ancora ne Il Poco Che C’Ho quando “le onde arriveranno a riva anche se il vento non risponde” Chef Ragoo rafforza quella rassegnazione che senza speranza affronta nessuna paura, mentre Don Diegoh spiega che è “una frase per dire che la vita prosegue anche se delle cose non tornano. Il disco è questo: far tornare delle cose con le rime e poi fare in modo che seguano la loro corrente e vadano avanti”.

Una cassetta che riporta storie antiche, che rivedi negli occhi di chi la racconta: un po’ noir, cupa e nostalgica. La voce sporcata da una registrazione di una registrazione, ascoltata in una notte in cui non nevicava, ma era freddo e ritrovi “i richiami al passato: posso tracciare un itinerario storico dal punto di vista sia musicale sia personale, in cui mi ha aiutato anche Danno nel pezzo Tutto Qua in cui lui si impersona nell’Hip Hop dicendo: “il mio nome da questo momento non è più Simone” e comincia a raccontare un’altra storia, quella dell’Hip Hop. Questo tipo di percorso io lo faccio nel pezzo Ciao Pà”.

A differenza di Radio Rabbia l’introspezione lascia spazio a volte a “dei banger da live, perché c’era la voglia di rappresentare un certo tipo di spirito, parte della scena italiana. C’è stata la scelta di farlo con educazione, con una maniera più elegante di porsi” e in pezzi come Eri Meglio Prima si manifesta un’ironia amara in cui con Kiave “con un ritornello rabbioso ci prendiamo in giro, sottolineando un cliché del rap moderno, ma anche della vita in generale. La parte bella di quel pezzo è che parte una sventola del break finale di Seby, in cui tira fuori tutta la rabbia come dire: “Basta, mi avete rotto i coglioni con questa storia che ero meglio prima”. A livello musicale, è uno degli episodi più belli del disco”.

Nella coerenza del disco, il pezzo che esula dall’armonia totale è Compà, diverso sia nel ritmo, sia perché per la prima volta Don Diegoh parla in dialetto, esprimendo “quello che mi veniva in mente per far sorridere gli altri: mi sono raccontato. È un episodio un po’ avulso dal resto del disco, ma in realtà c’entra sia come concept, sia come tematiche: quello che dico in dialetto, lo dico in Tutto Qua in italiano e in una chiave molto più malinconica in Lettera D’Amore, in cui mi sono totalmente svuotato di tutto”. Pezzo che con un ascolto superficiale può far sorgere l’interrogativo: a chi è dedicato?

“All’Hip Hop. È un pezzo a cui sono molto legato per un motivo: l’ho scritto per espiare determinate colpe e determinati errori che ho fatto nel passato nei confronti di alcune persone alle quali sono molto legato, con cui ho condiviso dei momenti musicali molto intensi. Quella è la vera preghiera: “se ne andranno tutti, però tu rimarrai”. È il pezzo che spiega la chiave del disco”.

Latte e sangue al sud s’intende come “stare sempre in salute”, imprimere la propria forza in tutto e il titolo del disco si rispecchia nella traccia col Turco in cui Don Diegoh spiega che prende anche un’altra valenza, ovvero “affrontare l’adolescenza e poi il presente. Sangue come ferite – per spiegarti la malinconia, i pezzi un po’ più duri del disco -, piuttosto che sociale”.

L’interezza del disco si esprime nelle parole di Ice One quando mi ha detto che “a posteriori il futuro si unisce col passato, il presente per noi non conta. Nell’arte non sai se un pensiero che hai fatto dopo, valeva per il giorno prima. In questo momento ti posso dire che l’album l’abbiamo fatto per far star bene gli altri e per affermarsi nel nostro piccolo pezzetto di caos che abbiamo messo apposto”. Per Don Diegoh Latte & Sangue è “la ricerca di unire all’interno di pezzi il modo in cui vedevo l’Hip Hop e la vita – arti dello stesso corpo – quando ero più piccolo con quello che è oggi. È il tentativo di dare una sorta di dimostrazione di maturità artistica e stilistica. Come sulle magliette Kittesencula: “Got Nothing To Prove”.

La soddisfazione mista a meraviglia del producer e dell’MC si è manifestata alla conclusione dell’album quando riascoltando i pezzi hanno visto che avevano preso nuova vita, come mi ha raccontato Ice One, indicando che l’obiettivo è stato quello di “cercare di fare qualcosa che rimanesse nel tempo”.

È un abisso condiviso in cui l’accento di una Crotone nascosta da un mare grigio, racchiuso nel corpo di un girovago con una poesia che si compone di vita e sentimento, sprigiona la potenza di un’amarezza che può dare solo una vita che apre cerchi, che decapita appena tracciati. Sono occhiali scuri che filtrano una realtà già plumbea e gli archi, i bassi, i pianoforti, che evocano una cultura pura che racconta solo verità e i synth fanno intravedere un futuro che è già qui.

Latte & Sangue disponibile dal 9 ottobre e da subito in pre-order QUI.

Photo Credits: Tiziano Boscarato