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Quella che non ha capito un cazzo… sei tu



di Giacomo Lepori

“VOGLIO SOLO UN UOMO CHE MI FACCIA SENTIRE SPECIALE! DI CUI NON DEBBA VERGOGNARMI!!! Quando usciamo tutti ci guardano come se venissimo da due mondi diversi! Mi capisci, vero?”

“Il fatto è che qua quella che non ha ancora capito un cazzo sei tu! Mi rimproveri sempre delle mie condizioni” … “<Non fare questo, non fare quello, come ti vesti, come non ti vesti… Non guardare quella donna…> Ognuno ha bisogno delle sue libertà, ognuno ha bisogno di esser capito… Ma forse io no. Il fatto è che è il pubblico a starmi sul cazzo! Elemosinate dei sì, per poi farci cosa? Per sentirvi più a vostro agio in un mondo fatto di inutili omuncoli falsi e decrepiti nelle loro facoltà? La cosa più assurda sta in quanto risalti agli occhi il caos di questo mondo, capito dai suoi abitanti più idioti: gli umani … Non cercate voi stessi, ma cercate voi stessi negli altri…”

Lei iniziò a piangere… Si trattava di un pianto rabbioso, forse di una rabbia rivolta verso di me, forse verso sé stessa, dato che non aveva capito niente di ciò che aveva vissuto. Raccolsi tutto ciò che avevo dimenticato da lei durante la mia permanenza accompagnata da scopate inutili e punitive. La rabbia mi investì come ad un tossico una dose di eroina, sentivo tutto il corpo tremare dall’effetto di un’autodistruzione orgasmica, la mancanza di lucidità mi aveva appena stravolto, in più l’ubriacatura della sera prima non era ancora cessata, colpi di tosse, mancanza di nicotina, groppi in gola che spingevano sempre più forte il mio organismo al rigetto… Un rigetto del corpo, per far librare la mia anima, un’anima priva di vincoli, un’anima a sè stante, regina del proprio inferno, abitato soltanto da lei. Tremolii… L’assurdità di tutto quel pianto volutissimo dall’ignoranza della sua persona, la rabbia che sale, che mi fa stare quasi meglio, che ridesta da incubi sociali, da vincoli mai voluti e mai rispettati. Io, in fuga da un’umanità inumana ma sempre più oggettistica, inseguo il mio essere animale privandomi di ogni aspetto umano, sconvolgendomi sempre sempre più fortemente, fino ad arrivare ad una solitudine accompagnata. Una solitudine passata con esseri simili al mio, persone a sé stanti ma aperte verso il diverso, il pensante, ma MAI verso quella sottospecie di oggetti appartenenti a quella oscenità autodefinitasi “società moderna”, una sorta di api OPERAIE che non fanno altro che spezzarsi la schiena per farselo mettere nel culo una volta chinatisi al cospetto della massa, quel putrido ammasso di merda delineante il “nostro” oggi.