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Odio #3: la paura. Come spiegare il terrorismo a tuo figlio



Foto copertina: REUTERS/Christian Hartmann

È la fine di una giornata intensa, fra lavoro e impegni vari, l’ultima di una settimana davvero impegnativa. Abbiamo lasciato giocare la bimba fino a tardi, tanto domani non ha scuola, ma alle 22 è crollata esausta nel suo letto. Non abbiamo nemmeno acceso la TV, per questa serata il nostro mondo è stato racchiuso tra le mura di casa, senza il minimo contatto con l’esterno. Ci prepariamo e andiamo a letto, ma come sempre fatico a prendere sonno e quindi mi connetto con il mio smartphone in attesa dell’arrivo di Morfeo. E leggo di Parigi.

Istintivamente penso a Viola. È a meno di dieci passi da me, sta dormendo tranquilla nel suo letto, probabilmente stringe in mano il suo gatto di pezza, o meglio, quello che ne resta dopo sei anni di convivenza, ma penso subito a lei. In che mondo dovrà crescere? È una bimba forte, ha il suo bel caratterino, ma è molto sensibile, se nota qualcosa che non le torna può pensarci tra sé per giorni per poi chiedere spiegazioni. Come potremo spiegarle ciò che è successo?

Io e mia moglie siamo cristiani cattolici, come la maggior parte degli italiani. Veniamo da famiglie che fin dall’infanzia ci hanno trasmesso i fondamenti di questa religione, e stiamo cercando di fare lo stesso con nostra figlia. Mi chiedo: quello che le stiamo insegnando potrà mai metterla in difficoltà, o addirittura in pericolo?
Ovviamente per noi, come per molti altri, la religione non è stata una scelta, ma un qualcosa di ben definito e strutturato radicato negli usi e costumi del nostro luogo d’origine. Di fatto fino a una certa età sono cose che prendi per buone così come sono, soprattutto perché se mamma e papà affermano che è così tu bambino non lo metterai mai in dubbio. Poi crescendo è ovvio che ognuno sviluppi la propria concezione religiosa, talvolta adattandosi a quanto insegnatogli oppure convertendosi ad altri culti o, perché no, all’ateismo. La mia visione delle cose è abbastanza semplice: Dio è uno, è un’intelligenza superiore di indole positiva che si è manifestata all’umanità in maniere diverse, a seconda della natura umana che incontrava. Credo che quello che io chiamo Dio per altri sia Allah piuttosto di Jahvè, Geova, Buddha o altri, e questo proprio perché nel mondo siamo tutti diversi, viviamo in ambienti diversi con condizioni e stili di vita agli antipodi. Semplicemente. Per questo non concepisco l’odio religioso.

L’odio di cui ho parlato già in altre occasioni non tarda a emergere. Mentre pranziamo in TV non si parla d’altro: conteggio delle vittime, cordoglio, Isis, Islam, questi ultimi confusi troppo spesso. In sovra-impressione scorre l’annuncio di uno speciale in prima serata, seguito dall’inquietante scritta “Stavolta è guerra!”. Quotidiani nazionali escono con prime pagine a dir poco imbarazzanti: il “Bastardi Islamici” di Libero sarà un ricordo difficile da cancellare. Alcuni politici danno fiato alle bocche, apparentemente bypassando l’intervento del cervello, inneggiando a bombardamenti e vendette varie. Sui social i più pacati condividono brani della Fallaci, sconvolti da quanto accaduto A CASA NOSTRA. Odio, odio, odio.

Ora mi sbilancio io. Avete rotto il cazzo.

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I fatti di Parigi sono drammatici, ma sono solo la punta di un iceberg. Sono la parte emersa di una guerra che si sta combattendo da anni, quella tra le forze occidentali ed il terrorismo islamico, una guerra molto diversa da quelle che leggiamo sui libri di storia, lontana da trincee e scontri a fuoco, ma una guerra fatta di intercettazioni, servizi segreti e attentati, alcuni sventati ed altri purtroppo no. Una guerra che non si sente, combattuta mentre noi guardiamo le partite o i reality sulla pay TV. Una guerra ideologica della quale parla chi ne sa troppo poco.

Chiudiamo i centri culturali islamici in Italia. Filo spinato alle frontiere. Siluri ai barconi. Bombardiamo a tappeto la Siria. Qualcuno ha obiettato che così facendo ne andrebbe di migliaia di vite innocenti, ma altri le considerano perdite accettabili. Ditelo loro. Ditelo agli abitanti di Kobane, in Siria, assediati dall’Isis, diteglielo che sono perdite accettabili. E ditelo anche alle famiglie delle vittime francesi: siamo in guerra, qualche perdita è calcolata su entrambi i fronti. Tanto la colpa è di tutti questi clandestini. Infatti, uno degli attentatori era cittadino francese, altri probabilmente belgi. Scusate, ho il voltastomaco.

La soluzione non ce l’ho io così come non può averla un giornalista che cerca di sfruttare questo drammatico evento per fare audience, tantomeno il politico che lo fa per ingraziarsi l’elettorato. Possiamo solo limitarci a vivere normalmente stringendoci attorno a chi sta soffrendo per quanto accaduto, lasciando lavorare chi veramente è impegnato a proteggere la nostra normalità da atti di terrorismo organizzato e non dal popolo islamico, come in molti pensano.

Verso le 16 di oggi pomeriggio arriva la domanda di mia figlia: “Io con ‘****’ ci gioco. E’ mia amica, anche se è più scura di me e con sua mamma parla un’altra lingua, se mi chiede la gomma io gliela presto, poi me la rende. Perché quelle persone cattive hanno fatto quelle cose brutte in quel paese?”.