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Bestierare: “Il nostro rap è impegno civile, senza paillettes”



Prima di leggere la nostra intervista, ricordate:

BESTIERARE si esibiranno il 4/12 a Firenze in occasione del Gold12bday!

Raggiungeteci: QUI

Critica sociale e impegno civile sembrano il fil rouge di tutti i vostri dischi. Potete spiegarci quali siano le ragioni dietro questa scelta? Vi definireste una band politica?

La nostra esigenza è quella di partire sempre da un contenuto, piuttosto che da un contenitore. Più che partire da un’ idea, partiamo dalle sue varie sfaccettature per provare a dargli una forma nuova, non convenzionale. ‘Usiamo’ il rap nella sua espressione più diretta, senza paillettes, e cerchiamo di raccontare quello che ci accade intorno quotidianamente. Il fatto che escano fuori determinate tematiche è una conseguenza diretta del nostro modo di vedere le cose. Se aumenta la pressione, gli argomenti si fanno più tesi. Se si allenta, siamo più rilassati e questo si riflette nei nostri testi.

Quello che di politico c’è in noi è nel modo di fare le cose, piuttosto che in quello che facciamo di per sé.

Siete più dalla parte del cinismo e dell’abulia oppure nutrite una speranza nel cambiare la realtà, attraverso l’arte e l’uso della parola?

La seconda che hai detto (cit. Quelo). E’ durissima, comunque, cambiare la realtà se pure con nobili mezzi come l’arte e la parola. E’ difficile anche solo definirla. Quello che speriamo di fare è comunicare, condividere la realtà. Non è che diciamo: ecco, adesso con questo testo proviamo a cambiare la realtà o a far capire il senso delle cose. No. Con un testo, però, proviamo a raccontare alcuni aspetti della realtà, ci ragioniamo sopra. E quindi più che a cambiarla proviamo ad analizzarla, e di conseguenza a condividerla. Cerchiamo di viaggiare in parallelo con lei, non pensiamo di cambiarla quanto di svelarla. Questo per noi vuol dire già moltissimo.

Bestierare

Siete “bestierare, non bestie da tiro”. In che cosa vi sentite “rari”, rispetto ad altri gruppi rap come, ad esempio, gli Assalti Frontali?

Visto che citi gli Assalti, di sicuro sono più le cose che ci legano a loro che quelle che ci differenziano. A parte il fatto che loro girano molto più di noi e soprattutto da molto piú tempo, ovvero dagli inizi… La cosa bella che ci è capitata con loro come con altri gruppi e artisti che abbiamo sempre stimato, è stata non solo trovarci sullo stesso palco, ma condividere le idee, il modo di vedere le cose e lo spirito nell’ affrontarle. Di bestie rare in giro ce ne stanno, alla fine.

Noi istintivamente ci poniamo di traverso alle definizioni, abbiamo sempre avuto grosse difficoltà a definirci. Partiamo da esigenze interiori più che da domande provenienti dall’esterno. E non importa se ci sia un nome per questo cui aderire perfettamente. Ecco, rara, forse, è questa attitudine. E’ ovvio, molti altri fanno questo percorso, la differenza è che noi lo abbiamo voluto mettere nel nome. Per proteggere questa idea. Raro non nel senso di una gemma preziosa, o di qualcosa di esclusivo, la nostra rarità è più quella di una specie in via di estinzione, che intendiamo proteggere e difendere.

Qual è il vostro rapporto con la tecnologia? E con i social?

Usiamo la rete per condividere, cercando di non restarci impigliati. 

E iTunes o Spotify? Siete stati tra i primi in Italia a mettere i vostri cd online in free download e in alta qualità…

Il free download dal sito è stato il primo passo nel momento in cui abbiamo deciso di fare uscire i primi due album uno a poca distanza dall’altro. Una mossa senza senso per un ipotetico mercato, ma non per noi secondo la logica dell’autoproduzione che seguiamo. Avendo fino adesso scelto di non avere mediatori che si occupano della nostra distribuzione, ci risultava naturale voler rendere tutto disponibile nel modo più semplice e immediato. iTunes e Spotify, arrivati dopo, semplificano ancora di più il processo e sono un modo per evitare di andare in un negozio di dischi (quelli che ricordiamo noi non esistono più…), ma di avere comunque chi vuoi nella tua playlist.

Potete darmi una descrizione personale di Corviale, controversa opera architettonico-sociale?

Per alcuni di noi è un orizzonte, nel senso che è visibile proprio dal balcone di casa.

Intanto facci precisare che Corviale è il quartiere, che viviamo, mentre l’edificio di cui parliamo si chiamerebbe il ‘Nuovo Corviale’. Ma vuoi mettere con chiamarlo ‘Serpentone’?

Nell’immaginario dei romani rappresenta un mostro di cemento che ha accolto le frange più border line della società da quando negli anni ottanta le sue case hanno cominciato a popolarsi, sia in modo lecito che non (la maggior parte), venendo occupate da famiglie provenienti da tutte le zone della città, e oltre. Il degrado e l’entropia, sintetizzando, per anni hanno contribuito a renderlo per i romani un luogo isolato e da evitare. E non proprio a torto.

Detto ciò, passando ad oggi, qualche seme sparso qua e là ha fatto si che nei suoi immediati dintorni ci sia tanto verde, ci siano attività funzionanti come un teatro, palestre, un mercato, un campo sportivo polivalente, una biblioteca comunale. Ci sono spazi che possono essere usati per iniziative varie, ad esempio corsi, dibattiti. In alcune delle sue stanze abbiamo fatto anche le interviste per Street Opera. Insomma, il suo aspetto esteriore discutibile oggi è almeno parzialmente contrastato da una certa attività sociale che lo circonda e offre possibilità impensabili fino a pochi anni fa.

Nessun ufficio stampa. Nessuna produzione. Che rapporto avete con il mondo europeo mainstream?

Cerchiamo di evitare tutto quell’apparato organizzativo di gente che alla fine vuole solo mangiarti in testa, per quanto ci riguarda. Chi per organizzarti la distribuzione, chi per i concerti, chi magari per darti un look. Decidendo di essere molto diretti col pubblico e non avendo a che fare con numeri così grossi, ce la gestiamo noi, un po’ sotto tutti gli aspetti.

Trovate Precario ancora attuale?

Purtroppo si.

Usate spesso le parole bestie e animali per definirsi, cosa intendono per animalità e cosa invece per umanità.

Ci viene in mente il tatuaggio di un nostro amico: ‘Più conosco gli uomini, più amo le Bestie’.

Come un animale è il primo disco. Che cosa rivendicate di quel lavoro, oggi?

Di quel disco rivendichiamo assolutamente tutto, in particolare la spinta che ci ha dato nell’andare avanti seguendo il nostro linguaggio, i nostri istinti primari, i nostri suoni. Due o tre brani di quel disco li facciamo spesso e sempre con soddisfazione. Abbiamo anche un brano fatto solo di versi, dove in 7 o 8 di noi partecipano simulando non si capisce bene quali strumenti; niente ritmi con le mani, solo bocca, e non si sa come, st’insieme di versi alla fine funziona.

Tornando al disco, se vedi i titoli di alcuni pezzi tipo ‘Buu’ o ‘Uh-Uh’ , sono versi liberatori, uno di sfogo contro i parrucconi, che oggi ai concerti diventa un urlo anche del pubblico; l’altro di affermazione godereccia del proprio corpo, senza vergogna.
Anche ‘Prima va a chi la gira’ , ad esempio, si inserisce in questo contesto.
Giù le barriere e in alto i calumet della pace.

Mi dici questi ma ndo vanno?” 

Ma questi chi? Ma ce sarai…