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PHOTOWALK #3 “2011 – 63° mese”, Yusuke Hishida a Roma il 13 marzo



A cinque anni dal terremoto e maremoto del Tōhoku e dall’incidente nucleare di Fukushima Dai-ichi, rimane viva l’esigenza di “ripensare” a ciò che questo evento ha rappresentato in senso più vasto e all’eco che tuttora continua a suscitare.

Nell’ambito della fotografia, l’11 marzo rappresenta uno spartiacque per molteplici motivi. Come sottolinea, infatti, il critico Manabu Torihara, la mole di immagini che documenta la tragedia, rispetto ai terremoti precedenti, è nettamente superiore per la diffusione in tutto il paese di cellulari dotati di fotocamera. In altre parole, oltre ad immagini fotografate da professionisti, sono numerose quelle scattate in diretta con il telefonino dalle persone direttamente coinvolte. Un’altra caratteristica è la quantità di progetti avviati per ritrovare i proprietari delle innumerevoli fotografie e album dispersi, perché trascinati via dallo tsunami.

Tutto ciò ha innescato innumerevoli riflessioni e dilemmi. È giusto in materia di privacy rendere pubbliche le fotografie per rintracciare i proprietari? Salvo rari casi, è stato evitato sul territorio nazionale di pubblicare immagini che comprendessero anche persone decedute. Considerando che le vittime sono state circa 20.000, è possibile comunicare fino in fondo la portata della distruzione evitando immagini di morte?
Susan Sontag, analizzando fotografie di vittime di guerra e la reazione che queste provocano nell’osservatore, sostiene che in generale predomina la tendenza alla discrezione quanto più l’oggetto fotografato si percepisce per appartenenza vicino a noi. Quando la distanza culturale e geografica viene ritenuta sufficientemente lontana, il tabù della rappresentazione della morte perde di significato e viene infranto.
In un tale contesto, rimane comunque evidente che l’atto di premere il pulsante di scatto fino in fondo dinanzi a individui che hanno vissuto una tragedia ponga interrogativi morali. Eppure, al tempo stesso è proprio la portata dell’accaduto a spingerci a mettere da parte le reticenze e a documentare in maniera più onesta possibile la realtà.

Tra i fotografi e fotoreporter che si sono diretti nelle zone colpite, spicca l’attività di Yusuke Hishida, la cui mostra di fotografie “2011- 63°mese” sarà esposta presso gli spazi della Scuola Primaria F. Di Donato il 13 marzo a Roma; l’esposizione, che sarà visitabile per un solo giorno, fa parte delle iniziative organizzate dal Comitato Amici di Roma per il Tōhoku, al suo quinto anno di attività.

Fotoreporter e giornalista dello Yomiuri Shinbun, Hishida ha iniziato a documentare quelle che lui definisce “le accellerazioni repentine della storia e le vicende dei suoi protagonisti”, a partire dagli attentati dell’11 settembre. Della sua produzione è nota in particolare la serie fotografica “Beslan” sulla scuola dell’Ossezia del Nord, teatro di scontro tra separatisti ceceni e forze speciali russe.
La mostra fotografica “2011- 63° mese” comprende 36 fotografie, affiancate da pensieri dell’autore, riprese nell’arco di 63 mesi dal 21 marzo 2011, giorno in cui il fotografo riuscì a raggiungere le zone colpite. Essa è il prosieguo della serie in formato B5 “hope/ TOHOKU”, una delle prime raccolte fotografiche sulla tragedia a essere in circolazione agli inizi di aprile del 2011.

Quando ci si trova fisicamente in un’area in cui a 360° si è circondati da macerie e distruzione, per una sorta di compensazione, anche i più minimi segni di vita vengono avvertiti in maniera dirompente. Questo, oltre allo scorrere del tempo, è forse uno dei motivi per cui, a immagini di desolazione si succedono fotografie che manifestano la dignità e la forza d’animo dei singoli individui, la ricostruzione, intesa non solo come aiuto da parte dello stato, organizzazioni volontarie ecc., ma come mirabile impegno quotidiano di ciascuno nel limite delle proprie possibilità.
L’autore dichiara che, seppur più volte combattuto sulla reale necessità di continuare a documentare, ha proseguito con il pensiero rivolto alle future generazioni del luogo che non avranno vissuto in prima persona la tragedia. Sottolinea, inoltre, che senza le parole di calorosa gratitudine rivoltegli dagli stessi soggetti fotografati una volta ricevute le immagini, l’atto dello scatto sarebbe stato molto doloroso.

Le fotografie di Hishida caratterizzate da una scrupolosa attenzione al dettaglio, se rendono vivida l’entità della distruzione, non per questo tralasciano i segni evidenti del ritorno alla normalità. È forse questo moto di speranza nel domani, che è in un certo senso già oggi, a rimanere maggiormente impresso. Ed è probabilmente per questo che alla sequenza di fotografie sembra accompagnarsi come sottofondo una musica lieve, intrisa di preghiera.

Per saperne di più:

www.yusukehishida.com
L’evento su Facebook