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Frank Ocean e I Racconti Metropolitani di Blonde



No, non è il disco per il quale premendo play, la mano inizierà ad alzarsi ed abbassarsi a tempo per incalzare un ritmo concitato.

17 tracce per sprofondare nell’intimità del proprio essere, da ascoltare la mattina mentre sta sorgendo il sole e la notte quando sta per risplendere l’aura pallida della luna.

Sonorità intimiste, che accarezzano l’orecchio e dopo qualche secondo in cui si definisce il mood del brano, scivolando entra la voce di Frank Ocean: soave, delicato, come la schiuma di un’onda piatta che si ritira lentamente verso se stessa.

Doppie voci che trascinano l’anima per mano, senza forzare il passo: delle sirene che sussurrano “We’ll let you guys prophesy / We gon’ see the future first” e consigliano “Living so the last night feels like a past life”.

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Una lunga storia che racconta con diversi suoni elttronici una stessa pacatezza, che si collega di strofa in strofa, di brano in brano.

Gli intermezzi che spezzano la continuità del disco, fanno inciampare e cadere nella quotidianità: un consiglio, una breve narrazione contemporanea, un’incomprensione.

Blonde è un esteso cammino in un mare in cui l’acqua persiste bassa anche se continui a muovere passi e nonostante l’avanzamento, la sensazione è quasi quella di retrocedere.

Un crepuscolo che si trasforma subito in notte fonda con solo lo spettro della luna distante.

A poco, a poco tra le onde timide il livello del mare sale e parole tiepide ti avvolgono il bacino, accarezzano il ventre con una cadenza dolce, mentre un gusto caramellato permea la bocca e “Now and then you miss it, sounds make you cry / Some nights you dance with tears in your eyes”.

La malinconia stringe le labbra con la sua mano scura che profuma di miele.

I ricordi dell’artista si dipingono di immagini che hanno le tue tinte e “I thought that I was dreaming / When you said you loved me / It started from nothing / I had no chance to prepare / I couldn’t see you coming / It started from nothing / I could hate you now / It’s quite alright to hate me now / When we both know that deep down / The feeling still deep down is good”.

Un brano che forse ricrea la memoria del suo primo amore, che Frank Ocean accennò in una versione ancora acerba al primo concerto del suo primo tour europeo o forse della tua?

Un vortice di voci ancestrali, che a volte si fanno più limpide e chiare, mentre alcune diventano Kendrick Lamar, altre Beyoncè, fino a rimanere mute come quella di Tyler, The Creator.

L’effetto di una droga antica, che scorre ancora nelle vene, che riporta il sapore di un’adolescenza che profuma di amore e una poesia perduta.

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Alla fine, l’acqua di quel mare ricopre la testa senza accorgersene: sommerso da quella voce, scompari tra i flutti di un mare metropolitano, che soffoca le orecchie con un oceano di suoni così familiari da trasformarsi in melodia.