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Tenersi un problema: la strategia dei topi



Guarire o non guarire da una malattia?
La risposta è meno scontata di quello che sembra.

Parlando di cambiamento vi ho spesso parlato di come trovare un nuovo equilibrio cambiando (allostasi) richieda molte risorse.
Per esempio quando ci ammaliamo, il nostro organismo decide di farci salire la febbre per curarsi.
Come sappiamo tutti, quel processo di cura assorbe tutte le nostre energie e ci costringe a letto, o per lo meno ci rincoglionisce parecchio.
Lo stesso vale per i problemi della vita e per le psicopatologie.
Se risolvere il problema ci sembra troppo dispendioso lasciamo perdere e ci conviviamo.
Ovvero scegliamo di non impiegare risorse nella risoluzione di un problema, valutando che questa soluzione sia il male minore.

E’ esattamente quello che i topi, e altri animali, fanno nei confronti delle malattie.
Piuttosto che avviare un dispendioso processo di guarigione, ci convivono.
E disagio a parte, questo ha un senso.
Alcuni studi infatti provano che i topi che “decidono” di non guarire vivono più a lungo.

Per l’uomo però la qualità della vita è molto più centrale che per un qualsiasi altro animale.
Le implicazioni sono infinite.
Ad esempio, è piuttosto evidente come i problemi vengano tramandati ai figli, anche per diverse generazioni.

Dove si trova allora il limite?
Quand’è che un’ossessione o una fobia non sono più tollerabili e vanno risolte, e quando invece decido di conviverci e magari crescere un figlio che mi vedrà fuggire da alcune situazioni o riordinare casa in modo maniacale?
Potrò lamentarmi quando da adolescente inizierà inevitabilmente a esprimere un disagio correlato?

Certo: avviare un processo di cambiamento causerà una flessione nella quotidianità, magari addirittura nella resa lavorativa.
E’ una questione di economia delle risorse personali.
Vado a dritto come un treno per fare carriera lasciando che il clima familiare si deteriori.
E’ una scelta.
Ed è necessario comprenderlo bene: è una scelta.

Per quasi tutti i miei pazienti iniziare una terapia ha portato agitazione in famiglia, perché quando cambia un ingranaggio l’intero sistema è costretto a riassestarsi.
Ci sono addirittura patologie, per quanto rare, in cui la psicopatologia di un individuo è funzionale al funzionamento della famiglia.
Un esempio è l’anoressia sacrificante, dove la figlia smette di mangiare e la famiglia si riunisce intorno al problema trovando coesione e armonia.
Senz’altro un disturbo evoluto per una specie evoluta, come lo siamo noi umani.

Il mio personalissimo parere è che uno si può anche tenere il problema, ma che facendolo non menta a se stesso: avrà delle conseguenze di cui dovrà prima o poi prendersi la responsabilità.
Diciamolo ancora: ci si deve rendere conto che non affrontare un problema è sempre una scelta.
E che senso ha prendere una scelta per poi lamentarsene?

Nell’ambito della mente, se c’è un problema c’è anche una soluzione.
(Allego questo link per alcune statistiche)
Una soluzione che ha dei costi. Per un problema che ha altri costi.
E’ solo una questione matematica.
Il resto sono tutte scuse.

Alla prossima settimana.