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Postumi da trentenni #1: Tornare single a trent’anni



Di solito a trent’anni i tuoi compagni di ballotta si sposano o mettono su casa, oppure girano per locali sciabolando shampoo a tre zeri mentre ostentano una carriera che assicuri loro un posto all’inferno e tette sode ogni venerdì sera. Invece, io e Maria ci siamo lasciati.

Ci siamo innamorati, fidanzati, e abbiamo fatto un figlio, forse troppo in fretta, molto prima di capire che eravamo uno la persona sbagliata per l’altra. E ora che lei ha un nuovo uomo e che nostro figlio saltella dal mio al suo appartamento senza troppi ostacoli, la mia più grande conquista personale è di essere tornato a pisciare in piedi senza l’ansia di sporcare la tazza.

Il tempo passato a discutere su cosa cucinare, a fare il cambio degli armadi indossando una tuta di felpa, a rovistare nel banco frigo dei supermercati cercando gli yogurt alla frutta con la scadenza più lontana, ha per forza di cose intorpidito il mio istinto predatorio, per questo tornare single mi ha messo davanti tutta una serie di fantasmi che solo dieci anni prima non esistevano. Non è semplice come un tempo cogliere le occasioni al volo, gli anni di divano hanno arrugginito i miei riflessi e anche se ho visto tre stagioni di Californication, stai sereno che le battute migliori mi escono sempre un minuto dopo di quando dovrebbero.

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Eppure la cosa peggiore è la consapevolezza di continuare a misurarmi con un passato di cui non so nemmeno quanto ci sia di reale. E non mi sto riferendo ai pezzi della mia storia (anzi, è proprio per chi è costretto, suo malgrado, a subirne le conseguenze che devo dimostrarmi forte e caparbio, per insegnargli che il dolore forma le persone molto più della frustrazione), no, il gigante con cui devo fare continuamente i conti è l’immagine di me dieci anni prima: l’intrepido, Batman, Ken Shiro, l’idolo delle folle, che pranzi e cene a base di rospi hanno trasformato in una figura leggendaria, molto differente da quello che se aveva un brufolo sul naso non usciva di casa.

Ora, per esempio, strappare un appuntamento a una ragazza è un rompicapo, e anche se colgo in lei una sincera disponibilità, risorgono fantasmi dal mio inconscio che mi immobilizzano nel nome di conseguenze che non saprei gestire. E a pensare che dieci anni prima con una ragazza prima ci scopavo, e poi decidevo se uscirci. Con un Negroni in mano ero Romolo in mezzo ai Sabini, Castor Troy sull’aeroplano da Anderson, sfoderavo un coraggio e un senso del gol degno di Higuaìn, nonostante fossi anche allora analfabeta di calcio. E qui un altro punto saliente: a trent’anni non reggi più l’alcool come una volta. Se affido ora la mia serata al Negroni, mi porta direttamente al pronto soccorso, dopo aver vomitato anche il pranzo di Natale che, probabilmente, ho già lasciato nel bagno dell’Arterìa l’ultima volta che sono uscito con Bargeman.

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La verità è che a trent’anni quello che ti fotte sono le aspettative. Le aspettative di un lavoro in cui perderti, di una casa in cui riconoscerti, di una persona con cui poter stare in tuta di felpa a mangiare schifezze. Hai un bagaglio di sogni ancora piegati ma non viaggi più con la fantasia. Sei abbastanza giovane per incazzarti, ma altrettanto maturo da sapere quanto sia meglio lasciar perdere. I tuoi gusti sono più forti, i tuoi desideri più semplici, hai già mandato affanculo il mondo e già vissuto le tue tragedie personali. Quando chiami i tuoi lo fai perché ti preoccupi di sapere che stiano bene, e non per riempire il vuoto tra la sigaretta e l’autobus 20. Sei già stato Bukowski, Woody Allen, Norman Mailer, Bob Dylan.

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Hai già fatto colazione con la vodka e i biscotti. Hai già amato da sbagliare tutto e hai già vinto e perso qualcosa. La vita non ti sembra più così misteriosa, ma non per questo senti d’averla capita. Mio figlio divide la giornata in più giorni, a secondo dei pisolini che fa: anche quando bevi Negroni succede la stessa cosa, ma a trent’anni hai scoperto il valore del tempo e hai imparato che le persone con cui vale la pena condividerlo si contano sulle dita di una mano.

Forse, tornare single a trent’anni non vuol dire altro che rivalutare le proprie aspettative. Ricordare con tenerezza quelle che avevi dieci anni prima e tenere strette le poche che ancora sono solide. Perché, forse, la strada per crescere è appena cominciata.

Come diceva un allora trentenne, con la bandana in testa e gli occhiali tondi: “dal momento che saranno proprio le mie scelte a immobilizzarmi, sembra inevitabile, se voglio diventare maturo, fare delle scelte, avere rimpianti per le scelte non fatte, e cercare di convivere con essi”.