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MUSIC

Nel Salotto Astratto con Pula+



Non sempre si crea l’opportunità di incontrarsi in un posto reale, in cui sedersi, guardarsi negli occhi ed iniziare a parlare guardando le reazioni del proprio interlocutore.

L’essere umano ha la fortuna di concretizzare ciò che l’immaginazione può solo disegnare su una tela intangibile: una lettera, un dipinto, una scultura… Raffigurazioni di ciò che la mente rielabora.

Attraverso queste parole, abbiamo edificato una situazione – perché si sa: le occasioni si creano.

Ho incontrato Pula+ nel mio salotto astratto: un ampio salone con delle grosse vetrate che danno su un panorama di cui non riusciamo a scorgere i confini, due poltrone e un tavolinetto basso su cui sono appoggiate due tazze di tè e un posacenere.

Ok ma devo chiudere gli occhi?” Mi chiede. No, mica sono una psicologa [sorrido].

Siamo seduti l’uno di fronte all’altro e stiamo ascoltando il suo ultimo disco Featuring Pula, in uscita l’11 aprile.

Aspirando ampie boccate di sigaretta, tra una voluta di fumo e un sorso di tè, illustro ad Andrea [Pula+, ndr] le mie impressioni su ciò che sto sentendo, su ciò che mi ha colpito delle sue strofe: una sorta di stream of consciousness, in cui io non sono una giornalista che interroga, ma una persona che si sta confrontando con lui.

La richiesta è stata di accomodarsi nel mio accogliente spazio utopico, come se fosse reale e di rispondermi come se stessimo conversando, con la stessa naturalezza con la quale avrebbe affrontato un tedioso pomeriggio domenicale, con la schiettezza di una rilassante chiacchierata tra amici.

Ok, però non mi conviene immaginare certi miei amici altrimenti degenererebbe troppo”, puntualizza Andrea [Pula+, ndr] prima di iniziare ed io annuisco: alla fine stai parlando con me, e se mi rompi una tazza, c’è la signora delle pulizie nell’altra stanza, che sistemerà tutto.


Ho lasciato la porta aperta, così che anche voi possiate entrare: provate ad ascoltare in silenzio la nostra conversazione.

Perché hai dovuto aspettare di essere indipendente per riuscire a fare un disco come volevi tu?

Perché rispondo solo a me stesso, è come essere a casa da soli. Puoi stare nudo sul divano a gambe aperte senza che nessuno ti giudichi. Anche se a volte riesco a giudicarmi duramente da solo, quindi il rischio c’è sempre. È stato un rischio calcolato e sul quale ho lavorato molto. Poi sai, sarebbe una cazzata dire che gli altri dischi non erano come li avrei voluti: è solo che nei lavori precedenti c’è stato un confronto con altre persone, funziona così per tutti. E nel bene o nel male entra anche qualcosa di loro nel tuo lavoro. Invece questo disco l’ho scritto completamente da solo, volevo assumermene la piena responsabilità. Volevo fare una cosa per me stesso. A volte quando sto in silenzio in casa, immagino una parte di me che mi comunica delle cose, sembra un brutto trip ma è così, e spesso è molto reale. [Purtroppo credo che sia un po’ il problema di tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno esigenza di esprimere qualcosa. Le conversazioni multiple: che poi le mie per esempio, la maggior parte litigano sempre tra loro e mi mettono in mezzo, A] L’anno scorso immaginavo ‘sta parte di me che piangeva, perché non la calcolavo. E ogni giorno questa presenza diventava più opprimente. L’ho accontentato, ora è felice.

A volte si accontenta… Fino alla prossima esigenza, perché di nuovo la stai trascurando.

L’uso della chitarra dà ai brani dell’album una connotazione più “orecchiabile” e un po’ musicale, vagamente in controtendenza rispetto alle ultime nuove uscite della scena. Perché hai operato questa scelta?

Perché non seguo le tendenze, ma nel senso che proprio non le conosco. Tutto dipende da come sei cresciuto. Ricordo, quando per caso si pisciava, che ne so, fuori da un concerto, o in un parco la sera, che alcuni miei amici giocavano a centrare un oggetto per terra, una bottiglia usata. Io giocavo a pisciare più lontano possibile. Questo difetto mi è rimasto, cerco di essere lungimirante [Be’ per fortuna si è trasformato in un difetto metaforico, A] e non mi interessano le cose che vanno oggi, soprattutto se mi rendo conto di non saperle fare.

Sembra che Featuring Pula e il crowdfunding – come mossa – sia una sorta di atto per distaccarti da tutte le varie implicazioni che la “società musicale” vorrebbe importi, cioè essere in un determinato modo piuttosto che in un altro – magari quello che scegli di essere tu -. È un’impressione sbagliata quella che percepisco nel sentirti quasi saturo del dover dipendere da qualcuno?

Io, di fatto, non sono mai dipeso da nessuno così tanto da sentirmi male. Sono sempre stato piuttosto libero nella realtà. È che dopo un po’ diventi saturo di qualsiasi cosa, anche della più bella, e hai bisogno di cambiare sistema, strada. È un trucco per restare giovani [Sicuramente meglio della chirurgia plastica, A]. Nella scelta del crowdfunding mi ha spinto più che altro un’altra idea: la voglia di creare una famiglia attorno al disco, attorno alla mia musica. Ti senti stupido e stranito a capire che le persone che prima cercavi di raggiungere attraverso un sistema discografico, ora le hai raggiunte parlandoci di persona [Penso sia anche un po’ merito dell’internet, A].

E poi, volevo sentire davvero una volta per tutte, che la mia musica è di tutti in realtà, e non mia.

Alla domanda precedente si lega anche il concetto del secondo brano nel quale dici che “Essere se stessi per [te] non ha senso”, mentre nel fare un disco personale come Featuring Pula, sembra proprio che l’obiettivo primo sia descrivere te stesso. Quanto è reale la dichiarazione di porsi puri di fronte ad un pubblico, senza involontariamente esasperare l’immagine di se stessi, trasportati dalla poeticità?

Io non ho intenzione di pormi puro, anche perché non credo di esserlo. Quel brano, appunto, parla di come per me sia incomprensibile l’affermazione “Sii te stesso”. Che cazzo significa? Io sono sempre io, nelle mie finzioni, nei miei sogni, nei miei imbarazzi come nelle mie vittorie. Cazzo ne so, non capisco cosa significhi, credimi [È sempre difficile trovare una definizione per se stessi, perché non ne esiste una unica. Credo che esistano varie maschere di se stessi che rappresentano in ogni caso sempre una faccia reale di noi stessi, A]. Non credo nei comandamenti, nelle auto-imposizioni.

Al tempo stesso non ho voglia di crearmi un personaggio, non ho grandi pensieri o giudizi a riguardo, è che proprio non ne ho voglia. Solo l’idea mi stanca subito, come quando devi fare una cosa per forza, come andare alle poste sapendo che c’è coda. La stessa mancanza di voglia, niente di più. Tutto quello che da fuori può sembrare essere parte del mio personaggio, in realtà sono io davvero, e sono così. Credimi, non avrei davvero nessuna voglia di creare qualcosa da indossare. Mi bastano già le mie varie personalità, che poi si offenderebbero…e non avrei nessuna voglia di sentirle lamentarsi [Anche perché solitamente tendono ad essere ridondanti, A]. Ho detto la parola voglia un casino di volte [Sì, lo hai fatto, A]. Emblematico!

Dici che “Quando scrivo sono spesso nudo”, ma se l’attitudine non cambia, si presume che tu comunque abbia delle scelte sia stilistiche sia di contenuto che ti rendono in qualche modo libero. Perché schierarsi in un’indipendenza così fortemente sottolineata?

No no aspetta, era una descrizione oggettiva della situazione ahahaha! Sono spesso nudo o in boxer, perché quando scrivo a casa sono rilassato. [Ahhhhh! Figurati che io l’avevo interpretata con accezione poetica! A] Non scrivo vestito, diciamo così [Be’ quindi dobbiamo immaginarti nudo ogni volta che stendi un testo? A].

Dici che “Siamo il domani che arriverà con qualcosa di buono”. Ma allo stato attuale, in cui il nostro presente non regala troppe prospettive positive per il futuro, tu ci credi davvero?

Eh, ci devi credere: i pessimisti a prescindere mi fanno incazzare. Sai cosa fa un pessimista? Gratta il primo strato di sentimento che ricopre il cuore della gente: quello della disillusione. Così arrivi facile al cuore delle persone, che si sentono meno sole nel loro pessimismo e dicono “Sììì, siamo tutti sulla stessa barca, e anche se affonderà, vaffanculo, siamo tutti assieme” [Poi, è un po’ troppo facile rifugiarsi nel pessimismo: prendere coscienza della realtà e decidere di sfidarsi troppo faticoso. Meglio credere di aver già perso. Ovviamente non sono d’accordo con questo approccio alla vita, A]. No, io, almeno di tanto in tanto, cerco di capire se sotto quello strato di pessimismo si trova dell’altro, nel mio cuore e in quello di tutti. Poi io ho fiducia nei ragazzi di oggi, hanno capito che il lavoro non è un concetto che va preso sul serio. I vecchi ci chiamano cazzari, ma intanto loro si lamentano di aver lavorato tutta la vita. Chi ha ragione? Fateci viaggiare, fateci vivere il momento e qualcosa di buono arriverà. Se siamo ancora qua è perché qualcosa di buono l’abbiamo già visto, tante volte.

Oltre a scrivere, lavori come grafico – se ho capito bene: lo fai come alternativa alla musica, perché quest’ultima non ti permette di sostentarti?

Grafico non è esattamente la parola giusta. Però le parole giuste mi stanno sul cazzo, ma in questo caso sarebbero, comunque, “art director” o “creativo” [Era una deduzione frutto di una tua rima, A]. Non per altro, ma perché a volte il mio lavoro non include il lavoro al computer. Io vengo pagato anche solo per tirare fuori idee, per uno spot o per una campagna o ancora per un logo. No, guarda, io non so scegliere tra le due cose, quando faccio troppa musica, a volte, mi manca stare a casa e disegnare qualcosa, e viceversa [Sì, capisco bene. Spesso mi annoio, A]. Sin da piccolo, sono sempre stato affascinato solo da queste due cose. Non so fare altro. La musica mi permetterebbe di vivere se avessi voglia di fare solo quella. Ma preferisco dividermi. Qualcosa mi arriva dalla musica, qualcosa dalla comunicazione. Mi annoierei a fare una cosa sola. Io preferisco le cene a buffet al posto di quelle al ristorante, mi piace mangiare in un piatto pieno di roba diversa, e sapere che, se ho fame, posso rialzarmi e prendere altro.

Sono un ingordo di vita [Mi preoccupa l’obesità, risultato di questa metaforica voracità, A]. Bella definizione… mi è venuta ora. Che bel complimento mi sono fatto! Grande ingordo. Se mi puntassero una pistola alla tempia e mi chiedessero di scegliere, sceglierei la musica. Ma non so se mi immagino in prima linea per tutta la vita. Tra dieci, vent’anni, mi immagino di lavorare nella musica dietro le quinte, forse… non lo so, non so rispondere a domande dove il soggetto in questione mi piace da impazzire. È come chiedermi “cosa ci faresti con questa donna?” Eh non lo so… mi piace troppo. Tutto? [Si può fare. Non sempre la scelta è un obbligo. Io scelgo spesso tutto ciò che posso. Per questo ho imparato a non dormire più, A].

Secondo te potrà arrivare un momento – magari basandoti sulla tua esperienza – in cui non ci ammazzeremo di più lavori che non sono i nostri, per riuscire ad avere una vita in cui viviamo e non sopravviviamo?

Dobbiamo. Guarda che ci stiamo avvicinando, secondo me. Il posto fisso è un’illusione e l’abbiamo capita. Io non sono tra quelli che prende per il culo chi dice “sono un fotografo, un dj, un designer, un blogger” [Mmm… Puoi essere eclettico, ma devi specializzarti in qualcosa per essere il più forte. Una sorta di biglietto da visita, altrimenti in questo mondo non sei credibile. Poi, puoi fare altro, ma lo sveli passo passo, A]. Per me puoi essere anche il più scemo di tutti, ma se stai cercando di fare una cosa che ti piace, hai tutto il mio appoggio. Il talento è LA cosa portante della vita. Va alimentato e tenuto in piedi sempre.

Il primo capello bianco quanto trauma ti ha provocato per avergli dedicato una canzone? Sto aspettando con ansia il mio.

Più che trauma, mi ha fatto capire che il tempo è banale, e va avanti. Non è che ogni tanto si ferma e va indietro. Sa fare solo una cosa, e la fa benissimo [Vedi? Lui è specializzato in un’unica cosa ed oggettivamente il più forte di tutti, A]. Però non è stato proprio un trauma, ho provato tanto amore per quel primo capello bianco. Mi sembrava un combattente che ha lottato e che è ancora lì. Quando capiterà a te, se mai tingerai i tuoi capelli bianchi, ricordati, se vuoi, che sotto quel colore, ci sarà sempre un capello bianco che ha visto tante cose e che va ricordato con amore. [Certo, ma spero sempre che si presenterà il più tardi possibile: è insieme trofeo di guerre vinte e il vessillo del declino in atto, A].

Il fatto di cantare nei pezzi, rende tutto più “radiofonico”. Perché questo dualismo recente canto-rap che si sta manifestando nell’ultimo periodo? Perché ci hai pensato adesso e non prima?

È molto naturale, io non mi sono avvicinato alla musica con il rap, quindi cantare (se così si può dire), mi viene naturale. Mi libera. Non penso alla radio, soprattutto con questo disco. La radio non inventa nulla, non crea e non distrugge. Segue e basta. E se tu, anche inconsciamente, tendi a creare o distruggere, è difficile che avrai il suo sostegno.

In questo album analizzi intimamente te stesso. Stai cercando di definire te stesso a te o a chi ti ascolta?

A me a me. Anzi mi spiace per chi mi ascolta, a volte si deve sorbire dei pensieri paranoici tutti miei [Viva lo stream of consciousness, A]. Però, sai, credo che le canzoni siano pezzi di vita modulabili e malleabili, cambiano forma nelle mani di un’altra persona. Quindi può sempre capitare la magia, che un pensiero tutto mio, possa in realtà essere comune. [È quel pensiero in cui le persone s’identificano, che permette davvero di apprezzare ciò che esprimi, A]

In Featuring Pula, in più pezzi non ti riferisci a te stesso chiamandoti Pula+, ma Andrea. Il tuo nome anagrafico ti pone più sincero rispetto all’aka?

Eh, mi sa di sì… me lo stai facendo notare tu ora… cazzo, mi sa di sì. [Forse dovevo farti chiudere gli occhi all’inizio. La parcella te la comunico in privato, A]

In Alibi fai capire che il modo per trovare la chiave per il cassetto dei sogni è provare a togliersi le proprie maschere: ma come si toglie una maschera che spesso è così attaccata al proprio volto da creare un’altra identità, che può essere scambiata come propria?

Più che le maschere, provare a buttare gli insegnamenti. Quando hai una cosa preziosa in mano, tutti ti riempiono di consigli, e spesso vai in confusione. Immagina di avere un milione di euro, la banca ti suggerirebbe investimenti, un tuo amico ti suggerirebbe di comprare sette case e via dicendo. Se tu non sentissi nessuno magari li sputtaneresti smettendo di lavorare e iniziando a viaggiare tutta la vita. Saresti forse stupido, per gli altri, ma saresti felice. Non sapere un cazzo a volte, aiuta a volare [Io a volte invidio l’ignoranza, nel senso di “colui che ignora”, come diceva Giovanni. La semplicità d’animo, mi ha sempre dato l’impressione di far vivere la vita più liberamente, A]. È l’incoscienza, quella cosa che un po’ ci manca. E la sua mancanza ci rende pesanti, pensanti e pesanti. Gli uccelli volano e non hanno studiato l’aerodinamicità delle loro ali, non si pongono il problema. Volano e basta.

Quanto ti è servito personalmente riuscire a realizzare questo disco?

Tanto, anche se non so ancora bene a cosa. Il significato personale di tutto questo, arriverà da solo, quando sarò tranquillo e ormai su altri progetti.

Spero di non essere stata troppo prolissa.

È sempre un piacere.

Alla prossima tazza di tè!

O birra! [Ti farò trovare un paio di bottiglie di IPA! A]

Per le vostre impressioni sul disco, dovrete attendere l’11 aprile.

Seguite Pula+, sulla sua pagina ufficiale.