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Capitan America, un vero antifascista



Ok, il titolo sensazionalistico serviva solo ad attirare l’attenzione e dopo quest’atto non potrò più criticare adeguatamente il clickbaiting dei Grillini, ma tant’è.

Prima di immergervi nella lettura di questo breve saggio, un saggetto insomma, vorrei specificare che io non mi occupo di politica: mi occupo di fumetti e di cinema di solito, al massimo di attrici formose e basket americano…ma mai di politica.

Perché?

Perché la politica mi disgusta, mi inquieta e abbassa la mia fiducia nel futuro e nei miei simili.
Quindi da dove nasce l’idea di spiegare in un articolo online perché io ritenga Steve Rogers AKA Capitan America un antifascista? E come sarà possibile lasciare fuori quasi del tutto il lato spudoratamente politico del concetto di antifascismo?

La prima domanda ha una risposta semplicissima: nasce a cena, davanti ad una bistecca alla fiorentina che levati proprio, in quel di Fiesole.

Compagni di mangiata: oltre alla mia fidanzata, Omar (sì, quello che tira avanti la baracca da queste parti), sua moglie Margherita e un’altra coppia di coniugi conosciuti quella sera.
Coppia abbastanza a digiuno di fumetti che io e Omar, da bravi Marvel Zombies, abbiamo subito cercato di indottrinare manco fossimo di CL.

Fra i mille argomenti tirati in ballo, anche quello che verte su quanto i fumetti della Marvel ci abbiano formato come persone e abbiano ulteriormente sviluppato la nostra coscienza sociale ed etica: “D’altronde dai, guarda anche Capitan America! Possiamo dire che il suo sia antifascismo street level!”

Uhm.

“Quindi mi stai cercando di dire che un maschio, bianco, biondo, occhi azzurri, fisico scultoreo e soprattutto militare americano, per te incarna il concetto di antifascismo?”

E qui che le cose si fanno complicate, cercherò quindi di semplificarle e contestualmente di rispondere alla seconda domanda.

Partiamo dal 1941, anno in cui Joe Simon e Jack Kirby crearono il supereroe per l’allora Timely Comics (che in seguito divenne la Marvel).

Simon e Kirby, entrambi ebrei figli di immigrati, guardavano con terrore e disgusto alle azioni della Germania nazista in Europa e vissero sin da subito la creazione di Cap come un “atto politico” ed una presa di posizione etica nei confronti dell’imperialismo dittatoriale di Hitler e della sua politica antisemita, xenofoba ed omofoba.
Steve, nelle loro intenzioni, rappresentava quel concetto astratto di libertà e democrazia al sapore di torta di mele che gli USA propugnavano all’epoca, era quindi il perfetto contraltare fumettistico/propagandistico per le azioni del Fuhrer.

Steve Rogers quindi nasce, possiamo dire, come incarnazione cartacea dell’antinazismo/antifascismo, nulla di più semplice e di più “straight-line”.
Ma come detto in apertura non è mia intenzione concentrarmi troppo sul lato prettamente politico della faccenda, quanto più soffermarmi sul versante più etico e filosofico.

Abbandoniamo quindi le tinte fosche e gli orrori della Seconda Guerra Mondiale e balziamo in avanti di un ventennio abbondante, tralasciando la parte di storia in cui la Atlas Comics tentò invano di rivitalizzare Cap dopo la fine del conflitto, dandogli il ruolo di “cacciacomunisti” in pieno Maccartismo…un progetto che fallì miseramente.

Arriviamo a Stan Lee che letteralmente scongela Capitan America dai ghiacci dell’Antartide e lo riconsegna alla leggenda fumettistica mettendolo a capo dei Vendicatori.

Negli anni che seguirono quel fortuito ritrovamento fra gli iceberg, le fortune e sfortune di Rogers si andarono sempre più ad intrecciare con l’attualità che la sua patria (e il resto del mondo) stava vivendo.
Sono gli anni delle sue avventure in coppia con Sam Wilson, alias Falcon, il primo super eroe afroamericano della Storia.

Sono gli anni in cui Steve gira per gli Stati Uniti in un ciclo narrativo che lo porta a contatto con le realtà più scottanti, degradate, socialmente ingiuste del suo amato Paese.

Gli stessi anni che lo condurranno ad avere a che fare con la “versione Marvel” dello Scandalo Watergate, che colpì il Capitano così in profondità da portarlo ad abbandonare costume e scudo e a ricominciare il vagabondaggio interrotto con Sam in un altro ciclo di storie che evidenzieranno le profonde ingiustizie sociali presenti in America all’epoca; per l’occasione Rogers indosserà un nuovo (e ahimè imbarazzante) costume e assumerà il moniker di “Nomad”, quasi a voler accentuare la sua condizione di uomo senza patria e tradito nel profondo.

Abbiamo quindi davanti un personaggio legato ad una storia di rifiuto delle ideologie totalitarie, che supera i confini autoimposti dai colori indossati e, nelle mani giuste a livello di scrittura, si erge a paladino dei più deboli, degli emarginati, degli ultimi, dei dimenticati.

Un personaggio che, per caso o per precisa scelta di chi l’ha creato, porta con sé non una spada o un fucile, ma uno scudo, quasi a voler enfatizzare anche visivamente il suo ruolo intrinseco di difensore dei più deboli e di protettore di un ideale.
Cap difende, non attacca.

Tutto estremamente romantico e ben orchestrato ma, vi starete ancora chiedendo, cosa c’entra tutto questo con il concetto di antifascismo?
Per dare una risposta definitiva (anche se non lo sarà mai in realtà), è necessario che io scenda un po’ più nell’intimo della questione, al riparo dall’ombra minacciosa dei dogmi politici e delle ideologie e vi spieghi cosa significa per me, ancora prima di antifascismo, il termine “fascismo”.

Poi “per me” fino ad un certo punto.

Aprite un dizionario od un’ enciclopedia e troverete che il termine fascismo sta ad indicare, per estensione, anche “qualsiasi concezione della vita politica e dei rapporti umani e sociali basata sull’uso indiscriminato della forza e della sopraffazione.”

Non per essere prosaici e sminuire un concetto politico immensamente più complesso (vi chiedo però anche di ricordare quanto da me detto in apertura sulla politica), ma sarebbe così scorretto sostituire il termine “fascista” con il termine… “bullo”?

E vi ricordate cosa dice un ancora magrolino e deperito Steve, al dottor Erskine a proposito dei bulli “da qualsiasi parte arrivino”?

Bullo/fascista è chi discrimina in base alla razza, alla provenienza, alla religione, all’orientamento sessuale. E Cap ha una lunghissima storia alle spalle di difesa dei più deboli, di lotta ai pregiudizi e all’ignoranza e di “testa alta” contro chi vuole limitare le libertà personali e il concetto stesso di democrazia (e ad un certo eroe in armatura al momento fischiano di sicuro le orecchie cartacee).

Significativo è un piccolo arco narrativo di inizio anni ‘80, ad opera di J.M. De Matteis, in cui lo scrittore introduce il personaggio di Arnie Roth: un vecchio amico d’infanzia di Steve che si scoprirà essere omosessuale in seguito.

Vi risparmio la narrazione didascalica dei numeri dedicati a questa storia (se volete saperne di più cliccate qui), vi basti sapere che nel finale Cap pronuncia un coraggioso (soprattutto se pensiamo all’epoca di pubblicazione) e feroce discorso contro l’omofobia e la dilagante isteria di massa dell’epoca nei confronti del virus HIV.
Non esattamente quello che ci si aspetterebbe da un soldato bianco, etero e semi-ariano, no?

Ed è proprio in casi come questi che Rogers stupisce, sovverte i preconcetti che di norma accompagnerebbero un supereroe che si veste con la bandiera del suo Paese e mette in difficoltà chiunque abbia una visione dicotomica e limitata della vita.

Il Capitano, assieme al Ragno e soprattutto agli X-Men, ha aiutato un giovane me stesso a comprendere, negli anni della formazione, che la diversità è sempre una ricchezza, che la prevaricazione del debole è sempre un’ingiustizia e che è sbagliato temere ciò che non si conosce per il solo fatto di, beh…non conoscerlo.

E questo per me, è l’epitome dell’antifascismo.

Grazie Steve*.

*Ovviamente quella storiaccia del Cubo e del passato riscritto dal Teschio Rosso che stiamo leggendo in questi mesi non esistelalalalalalalalalalalalalalalala.