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UNA PITTURA A OLIO NON POTRÀ MAI DIVENTARE UN TATUAGGIO



Siamo stati all’International tattoo expo di Roma e abbiamo intervistato l’artista spagnolo Javi Castaño, che ha ben chiara la separazione tra il tatuaggio e la pittura accademica.

Si è conclusa la diciottesima edizione dell’International tattoo expo di Roma al Palazzo dei Congressi dell’Eur. Tre giorni, dal 5 al 7 maggio, dedicati al mondo del tatuaggio, in cui sono stati ospitati più di 400 artisti provenienti da tutto il mondo. L’evento, oltre a tatuatori professionisti italiani e internazionali, ha visto in scena esibizioni, spettacoli di burlesque, breakdance, mostre, stand di oggettistica, libri e abbigliamento legati al mondo del tatuaggio.

I visitatori della convention delle passate edizioni sono stati circa venti mila, a testimonianza del fatto che ormai l’arte del tatuaggio ha perso la sua connotazione di nicchia e la sua posizione marginale nel mondo artistico per aprirsi al grande pubblico. Nelle edizioni passate, secondo me, il livello qualitativo degli artisti era molto più alto e nelle ultime edizione è andato a scemare, quasi come se a una maggiore quantità di pubblico corrispondesse una minore qualità artistica.
In ogni caso, il bello di camminare in questa grande fiera è ricevere delle sorprese inaspettate: giri l’angolo e scopri qualcosa di nuovo che ti appassiona immediatamente.

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Lo stand di Simone El Rana, che già conoscevo, mi cattura subito: due grandi crocifissi in legno con Gesù tatuato, che a vederlo non richiama nessun sentimento di blasfemia, ma solo una grande passione per l’arte (sia dell’artigianato classico che del tatuaggio) e una schiera di cornici con dentro ogni sorta di cuori sacri ed ex voto, rigorosamente in argento. Perché Simone El Rana è da vent’anni artigiano di preziosi e dell’arte dei gioielli, disegnati e prodotti in Italia, ad Arezzo. La sua produzione artistica è focalizzata principalmente nella realizzazione di monili e opere legate al mondo dell’antiquariato e della religione, in particolare agli ex voto e alla loro tradizione.

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Tra i miei amici è famoso soprattutto per i suoi gioielli e quasi tutti bramano un anello de El Rana, come una sorta di tesoro in stile Tolkien.

Continuo il mio giro per gli stand dopo aver preso una birra, per lasciare che il calore dell’alcol mi renda più in sintonia con le vibrazioni artistiche dell’evento.

Passo tra le postazioni di tatuatori come Myke Chambers, Hernán Chevalié e Aaron Francione e prendo gli adesivi e i biglietti da visita dei loro studi, feticci che colleziono e prendo a ogni convention, conservandoli accuratamente in una scatola e senza attaccarli.

Arrivo di fronte lo stand di Alfredo Edo Tricarico e noto una certa somiglianza con quello di El Rana, ma solo per gli ex voto incorniciati, perché le creazioni di Edo, artista di S. Giovanni Rotondo (FG), sono legate alla sua passione del mondo della street e grafic art e della kustom kulture.

L’influenza dalla cultura americana dell’hip hop e della street art sull’artista risalta all’occhio e ne rende originale il lavoro, tra cuori sacri, quadri, oggettistica, old painting, lettering su accette da macellaio e coltellacci e Vergini di Guadalupe dipinte su tavole da skate. Mi racconta che il suo la-boratorio, l’EDO design è attivo da circa vent’anni e mi fa scegliere un quadretto da portarmi a casa.

Grazie Edo.

Tappa obbligata del mio tour è allo stand della libreria spagnola Freaks Books, specializzata in pubblicazioni, fumetti e dvd d’importazione: ha delle edizioni limitate di libri di illustrazione e di tatuaggi che mi fa riscoprire il piacere di possedere e sfogliare un libro cartaceo invece del freddo scroll del telefono.

Arrivo allo stand di forniture per tatuaggi e tattoo machines Hit Hard Supply, di Roma: ci tengono a specificare che non vendono al pubblico e ai «turisti» del tatuaggio e che il prerequisito per comprare da loro è quello di lavorare in uno studio.

Accanto c’è lo stand di Santa Sangre Supply, con le tattoo machines realizzate dal tatuatore romano Luca Mamone e da Antonio Dore, utilizzate da artisti di ogni parte del mondo.

Infine vado a cercare l’artista che da quando sono arrivata voglio intervistare, Javi Castaño, proprietario e fondatore del Barcelona Electric Tattoo.

L’artista spagnolo è ospite del Black Horse Tattoo di Roma, storico studio della capitale.

Complici le birre che ho bevuto, trovo il coraggio di chiedere un’intervista a Javi Castano in uno spagnolo imbarazzante. Ma Javi mi mette subito a mio agio e mentre beviamo un’altra birra iniziamo a parlare del suo lavoro e della sua passione per il tatuaggio, ma soprattutto per l’arte.

Chiara:Come ti sei avvicinato al mondo del tatuaggio? Qual è il tuo background?

Javi: “Ero molto piccolo. Quando ho visto i primi tatuaggi ben eseguiti a Barcellona non appartenevano alla gente del posto ma per lo più a turisti, i locali avevano dei tatuaggi da junkies, molto brutti ed eseguiti male, non mi attraevano per niente. Andavo in centro città e vedevo questi turisti tatuati e ne ero molto attratto, come quando vedi una ragazza per la strada, ti innamori e non smetti di pensare a lei. È stata come una rivelazione per me, avevo 15/16 anni. Quindi mi feci il mio primo tatuaggio e in quel momento decisi di tatuarmi il corpo intero. Iniziai a frequentare un po’ di studi di Barcellona e mi resi conto che il livello era basso; io disegnavo tanto ed ero pazzo di quel mondo, pensavo che volendo potevo tatuare allo stesso modo, se non in modo migliore, dei tatuatori che vedevo. Ma soprattutto ero convinto di poter apportare qualcosa in quel mondo, anche se all’epoca era inaccessibile, ma sapevo che avrei trovato la maniera per farlo.”

“A 18 anni giravo per gli studi della mia città chiedendo di poter diventare un apprendista, e tutti mi dicevano di no, che non era possibile, che non ce l’avrei mai fatta, fino a che trovai scritto su una rivista di bikers dove potevo comprare il materiale per tatuare. Erano due anni che mettevo da parte i soldi per comprare una moto Guzzi, (mi piacciono le moto) e decisi di usare quei soldi per comprarmi il materiale.”

Chiara: Che anno era?

Javi: “Il 95/96. Iniziai a fare i primi aghi e dato che non sapevo saldare usavo il loctite blu (una colla per metalli), così iniziai a tatuare i miei amici e a fare le foto dei miei tatuaggi. Poi le portavo negli studi dove mi tatuavo abitualmente e le consegnavo. In uno di questi mi dissero che volevano ampliare l’attività, che si stavano spostando in un locale accanto e che li serviva un apprendista. Così mi hanno preso a lavorare. Era il 1997.

In quell’anno cominciai a tatuare una volta la settimana. Fino ad allora, lavorando in casa, avevo fatto 15 tatuaggi in un anno e mezzo, piccoli. Quando iniziai come apprendista dopo due anni quello studio mi andava stretto, quello che mi piaceva di più a Barcellona era il LTW, quindi riuscii a entrarci e ci rimasi dieci anni; molte mie tavole vecchie le ho disegnate là.

In seguito aprii il mio primo studio nel centro di Barcellona, il Barcelona Electric Tattoo, e sono otto anni che è attivo.”

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Chiara: So che qualche anno fa hai creato una fanzine, la 666% . È ancora attiva?

Javi: “È passato molto tempo dall’ultimo numero, il quarto per l’esattezza, ma ho già tutto pronto per la prossima uscita. Ho aspettato del materiale da amici che non è mai arrivato, così il mio progetto adesso è fare da solo la metà della fanzine, solo con cose mie. Ho in mente un’edizione più semplice, senza colore e più economica, stampata in bianco e nero, più underground di quelle precedenti, perché la serigrafia colorata faceva alzare il prezzo e la fanzine arrivava a costare venti euro. L’ultimo numero è uscito quattro anni fa e a metà di questa estate vorrei far uscire un’altra edizione, la numero 5, senza serigrafia e senza troppo lavoro manuale come in quelle precedenti, con la stessa essenza ma più economica, e non ne pubblicherò 666 copie come mio solito perché l’ultima edizione è rimasta invenduta, ne farò di meno.”

Chiara: Qual è l’artista che ti ha più influenzato nel tuo percorso artistico?

Javi:” Tatuatore?”

Chiara:

Javi: “Eddy Deutsche , Tim Lehi, Ed Hardy e Horiyoshi III, anche se può non sembrare ma lo seguo molto. Lo stile che apporto al tatuaggio proviene anche dai tratti dei fumetti, soprattuto quelli di Robert Crumb e di Gilbert Shelton, l’autore di The Fabulous Furry Freak Brothers. Mi rendo conto che ci sono dei dettagli nei miei lavori che disegno naturalmente, di getto, perché ho iniziato a dipingere seguendo i fumetti e ancora adesso nei mie tatuaggi c’è un po’ di quello. Mi porto dietro questo retaggio. Oltre al tatuaggio dipingo molto, è una mia passione.”

Chiara: Lo stile dei tuoi dipinti mi ricorda la metafisica dei quadri di Salvador Dalì.

Javi: “Mi piace Dalì ma a tratti lo trovo patetico e ci sono delle sue pitture che mi sembrano orripilanti. Ci sono pittori che amo e di cui non direi mai queste cose, tipo Paul Rubens che non ha mai fatto niente di patetico.”

Paul Rubens

“Dalì con la sua la bottiglia di Coca-Cola (vedi “La poesia d’America: atleti cosmici“), o tipo l’imbarazzante rosa sospesa nel cielo (vedi “La rosa meditativa”) mi sembra orribile. Non so che aggettivi usare ma mi sembra ridicolo, non mi piace. Però c’è una parte di Dalì che invece mi piace molto, colleziono libri delle sue opere più particolari e ricercate. Ho un sentimento di amore e odio per quell’artista.”

Javi: “Altri pittori che mi piacciono, oltre a Rubens, sono Teofilo Patini e Bruegel, sia il Vecchio che il Giovane. Erano padre e figlio, il Vecchio raffigurava scenari più tetri, demoniaci, ma mi piacciono tutti e due, e mi piace la pittura fiamminga e Tintoretto.”

“Ho l’enciclopedia dell’arte sul comodino vicino al mio letto e di notte la leggo, a volte vedo qualcosa che non conosco e faccio ricerche, mi alzo e vado a documentarmi, cerco connessioni tra le opere, non per imparare o accrescere la mia cultura, lo faccio per divertimento, per godermi il momento, non ha nessuno scopo preciso. Io ho fede nell’arte, ti forma e ti insegna, ma non lo faccio pensando di raccogliere le uova d’oro, penso solo a dar da mangiare alla gallina. Mi preoccupo solo di questo, se riesce bene sennò fa niente, se fai il cammino giusto arriverai nel tuo posto, seguo questa cosa in maniera naturale. Ho fede, la mia passione me la godo e non voglio dirigere troppo la mia pittura, se mi va di sperimentare, come con l’espressionismo astratto e il surrealismo, provo, se non funziona non è un problema.”

“Faccio anche tante prove che non vede nessuno perché me ne vergogno. Dipingo molto, fino alle due di notte, mia moglie un giorno mi ucciderà, ma la cosa fondamentale è che riesco a separare la pittura dal tatuaggio e ho molto chiara questa demarcazione. C’è gente che viene dalle belle arti e le vuole incorporare nel tatuaggio, io no, il linguaggio del tatuaggio è solo uno, puoi apportare qualcosa ma sono due mondi separati, una pittura a olio non potrà mai diventare un tatuaggio”.

Articolo a cura di: Chiara De Carolis.