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QUI NON SI BADA A SPESE
MUSIC

William Pascal presenta William Pascal



No, non è una supercazzola. È appena uscito il primo album ufficiale del romano William Pascal, membro del collettivo Do Your Thang, che come titolo porta il suo stesso nome.

Dopo un primo ascolto, un secondo e un terzo, arrivando all’ennesimo come niente fosse, posso ammettere che il disco gira molto bene e prende altrettanto bene. Ma lasciamo che sia l’artista a parlarci del suo lavoro!

Ci parli un po’ di te? Chi è William Pascal?
Sono un ragazzo romano di 23 anni in fissa con gli anime giapponesi, con le birre artigianali e con la pizza. Da fan “numero 1” del rap italiano mi sono catapultato nel mondo dell’mcing alla veneranda età di 18 anni e in pochi anni, fortunatamente, mi sono guadagnato il rispetto di molti. Da poco è uscito il mio primo album ufficiale e sono qui per raccontarvelo!

Il tuo primo album porta il tuo nome. Perché questa scelta?
Sincero, non sapevo dare un titolo abbastanza esaustivo che riassumesse le 11 tracce e che al tempo stesso non risultasse già sentito o di difficile comprensione. Potevo chiamarlo “Bienvenue chez moi” o “Poltergust 3000” ma poi in quanti lo avrebbero letto nella maniera perfetta? Alla fine ho optato per l’idea più semplice e diretta, storicamente valida per chiunque.

Parti con quello che per alcuni potrebbe essere un traguardo: il CD è contenuto in una jewel case ed è accompagnato da un corposo booklet, in pratica il tuo album è vestito per le feste! Hai voluto regalarci un bell’oggetto, o il regalo lo hai voluto fare a te stesso?
Entrambi! Non capita tutti i giorni di pubblicare un album e per me era fondamentale tornare sulla scena proponendo un prodotto curato sotto ogni punto di vista. Il primo disco è un traguardo e un’esperienza unica: dopo tanto impegno e tanto tempo passato a lavorarci sopra, credo sia stato più che giusto vestirlo per le feste!

Chocolope, brano che apre l’album, ci avvisa che il mondo che vediamo non è come il tuo. Perché, com’è il tuo?
E’ diverso, fatto di altre storie e altre immagini, basato su altri ideali e altre conoscenze, scandito da altre emozioni e altri interessi. Credo che ognuno abbia il suo mondo personale, nessuno è uguale all’altro.

Ritento: qui sfoderi tutta la tua tecnica con incastri veloci e studiati. Come hai sviluppato la capacità di esprimerti in questo modo?
Serve tanto esercizio per poter scrivere, registrare e performare determinati testi. Non a caso è una delle preferite del disco (anche dai miei colleghi della Do Your Thang) e non solo di quelli che tengono particolarmente alla tecnica e ai contenuti. Ritento è una sorta di sfida contro il tempo che fugge ma io continuo a provare e a riprovare tutte le mie mosse per sconfiggerlo.

Con Game Over insieme a Debbit porti un parallelo fra il mondo dei videogame e la scena attuale. Come stiamo messi secondo te?
Non ne ho idea, io sono rimasto al Game Boy (ma me l’han rubato!) e alla Play Station 2!

Quando la nuvola di fumo che si alza con Kune (insieme a Thelonious B.) si dirada, affronti il tema delle droghe pesanti con Schumacher prendendo le distanze da queste ultime. Sono due mondi vicini ma distanti allo stesso tempo e credo di capire che questi temi abbiano toccato il contesto in cui vivi e forse persone a te vicine. È questo il messaggio che volevi trasmettere?
Ultimamente credo si stia facendo molta confusione sul tema delle droghe pesanti. Il messaggio negli anni ’90 era di starne lontano e io mi sono sempre sentito vicino a questa visione. Oggi, invece, spesso si fa fatica a capire se se ne stia parlando bene o male. Da quando è uscito Narcos poi, sono tutti diventati i nuovi Pablo Escobar e non si rendono conto dell’impatto negativo che possono avere sui giovani parlando di droghe pesanti con così tanta leggerezza.

Creepy Sashimi, spunta il socio Pacman, qui fate a gara di punchlines! Mi colpisce la tua capacità di sparare immagini nette una dietro l’altra per creare un’atmosfera. Come scegli gli elementi di questa sorta di screenshots?
Viene tutto spontaneo quando entri nel mood giusto. Ascolto il beat e cerco di entrarci dentro il più possibile e allo stesso tempo cerco di scavare nelle immagini più nitide della mia testa!

Alan Beez in Moby canta chiedendoci di lasciarti solo a cacciare la tua balena. A chi dai la caccia?…aspetta, cazzo, ma verso la fine cambia il mood e va tutto in positivo… (Sbaglio o è Jekeesa che parla?)…mo questa me la spieghi!
In verità l’intero pezzo si basa sul rapporto vittima/carnefice, la balena sono io e l’uomo rappresenta la scena attuale. Il rap è il mio habitat: se incontro i bracconieri, subiscono tutta la mia rabbia (traducendo “Lasciatemi solo, siete nel mio abisso scuro: portate il vostro odio fuori dalla mia acqua, per favore…”)! Ho voluto inserire questa sorta di interludio verso metà disco per alleggerire un po’ la tensione visto che alcuni brani (ad esempio questo), possono risultare un po’ “pesanti” all’ascolto e alla traduzione del messaggio. Alla fine, da che doveva essere uno skit di dubbia riuscita, è venuta fuori la hit del secolo con Sealow che si promuove magistralmente per verdi acquisti e Jekesa che sentenzia al mondo la forza del DYT!

Ok, nella prossima c’è il Danno, hype forte per questo pezzo fin dalla lettura della tracklist: brano che non delude, spettacolo la terza strofa dove fate torello con le barre, ottimo S.W.E.D. a condire il tutto al ritornello. Come nasce la collaborazione col Danno e come ti sei trovato a lavorare con lui?
La collaborazione con il Danno nasce da un rapporto di stima reciproca che esiste da quasi 3 anni (o quantomeno da parte sua, io cantavo a memoria i suoi pezzi già 10 anni fa!). Quando avevo 9 tracce registrate e stavamo iniziando i mix, andai a casa sua per fargli sentire il materiale. Si fomentò un botto, soprattutto con “Creepy Sashimi”, “Ultimatum” e “Tous les jours”. E’ stato un piacere e un onore lavorare a un pezzo con una leggenda come lui. Devo dire che il suo carattere mette a proprio agio chiunque, è stato tutto molto spontaneo.

Guernica con Numi, no ma chi vi sta dietro? Il titolo nasce da un concetto espresso alla fine della tua strofa se non erro. Non mi stupirei se qui avessi scritto il testo partendo dal titolo. Ho visto giusto?
Ehm, no! Partire dal titolo è una cosa che purtroppo mi succede veramente di rado. Sono molte più le volte in cui scelgo il titolo alla fine o durante la scrittura del brano, come ad esempio è successo in questo caso.

Ultimatum è una sorta di outro, dove chiudi in bellezza. Intanto ti invidio abbestia perché qui dici che hai 21 anni, potrei dirlo anche io ma non sarei più credibile. Poi vado al sodo: e ora? Cioè, chiuso l’album, che ci dobbiamo aspettare?
Questo disco è il mio ultimatum, per cui non va chiuso ma va tenuto ben aperto in modo da poterlo ascoltare attentamente ancora per anni e anni! Sarà l’ultima opera impostata in questa maniera, quello che sarà dopo non lo so…so solo che stiamo lavorando sodo e che non vogliamo assolutamente fermarci ora: abbiamo appena iniziato a scaldare i motori!!!

Bonus track che, anche se non è scritto da nessuna parte, per me è così: Tous Les Jours. Io e il francese abitiamo in due dimensioni diverse, quindi qui potresti anche avercela con me perché non c’ho capito nulla ma il brano spacca. Cosa lega William Pascal al francese? Che differenze hai trovato nel comporre un testo simile con gli altri in italiano? E soprattutto, di che ci parli qui? 
In verità non c’è nessun legame, se non quello che mi piace in generale la lingua e come suona col rap/trap in sottofondo. Scrivere in una lingua non mia è certamente più complicato ma al tempo stesso riesce a stimolarmi moltissimo. Sono anni che provo a scrivere in francese, questo però è il primo brano che registro, convinto solo dopo aver fatto un’attenta analisi grammaticale e di pronuncia. Poi chiaro, c’è ancora tanto da migliorare… in Tous les jours dico mille cose, racchiuderle in tre righe sarebbe veramente impossibile. In breve posso dire che è un pezzo di stile in cui c’è molta voglia di rivalsa.

Ultima domanda, da un vecchio quale sono a un giovane quale sei: cos’è per te l’hip-hop? Lo vedi come una componente fondamentale di quello che fai o solo come una influenza marginale?
Ho grande rispetto per l’hip-hop. Per me resta un mezzo per esprimersi e comunicare in maniera libera e trovo affascinante la sua storia e la sua evoluzione. Non amo però le etichette, soprattutto in ambito musicale (a volte un genere diventa un limite). Nel contesto artistico-creativo, per l’appunto, amo essere libero.

Trovate il disco su spotifyApple Music e qui in copia fisica!