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Iniziamo a parlare di cose serie…



Manifesti di Angus Hyland, per la mostra allestita alla Tate Modern di Londra da Pentagram, attiva dal 20 giugno al 27 agosto.

Sono sempre più convinto che nella progettazione della comunicazione e del prodotto, oggi, non si possa prescindere dalla conoscenza della situazione nella quale versa il nostro pianeta, dal punto di vista ambientale e di sfruttamento e la nostra società, dal punto di vista delle diversità, della povertà, delle opportunità.

Mi ripropongo di scrivere più articoli di questo tipo per dare risalto alle diverse e sempre maggiori realtà che si stanno impegnando per cambiare la mentalità comune menefreghista e qualunquista. In questo ambito qual è il nostro raggio d’azione? Come questi argomenti possono entrare a fare parte del nostro lavoro e del nostro modo di approcciare al lavoro? Sicuramente pensando a quanto inquina il nostro lavoro, dai processi di stampa fino al nostro computer che rimane sempre acceso, considerando che dovrebbe esserlo il minor tempo possibile e disegnare a matita, su carta.

Così come nel product design si può iniziare a pensare al 90% della popolazione mondiale che non se ne fa niente delle nostre importanti problematiche su il tessuto più chic della prossima stagione della moda o del materiale più innovativo applicato ad un bagno o una cucina che costa 45.000 euro – come ci tiene a ricordarci un nostro professore allo Iuav, Alberto Bassi.

Si può iniziare a pensare come far giungere queste notizie ad un pubblico sempre più vasto, perché se abbiamo la «fortuna» di poter imparare il «come» si fa, è nostro dovere iniziare a vagliare anche il «cosa» si dice. Infatti, aspettando che questa diventi MATERIA UNIVERSITARIA, ci abboniamo ai siti che ci tengono informati e ci spronano a mettere in atto le nostre capacità creative al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica con un vero e proprio bombardamento visuale oppure imparare il signage e l’exhibition design da Pentagram e dalla mostra sopracitata che è zeppa di informazioni che puntano a «shockare», perché la situazione è critica, molto critica. Anche per chi ha avuto il buon senso di non spendere 7 euro – se va bene – per andare a vedere Muccino o i Pirati ma è andata a vedere il documentario di Al Gore, ha potuto vedere un caso di ottimo graphic design applicato, in grado di fare da «calice di cristallo», per citare Beatrice Warde, per gli argomenti più delicati dell’attualità. Credo, per concludere, e lasciare tutti a cercare le «proprie notizie in rete», che è importante considerare i temi della contemporaneità dentro al processo creativo e smettere di gongolare di fronte alla font più cool o alla brochure con la battuta a secco – magari su una di quelle belle carte che hanno bisogno di molteplici passaggi di calandratura e/o necessitano inchiostri ultrachimici, però, che odore buono che hanno…

Uno shot dal film di Al Gore «Una scomoda verità».

Per quanto riguarda i contenuti, c’è solo da scegliere, a partire dalle problematiche del clima, alla povertà, alla carenza di materiali, alla mancanza di acqua, il riscaldamento globale… Buona navigata.