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Mio fratello è figlio unico



Regia di Daniele Lucchetti
Produzione Italia, Francia 2007

Locandina del film

Alle falde del nuovissimo partito democratico, c’erano una volta dei ragazzi che credevano, che lottavano che speravano in nome del rosso o del nero.

Siamo negli anni sessanta a Latina in provincia persa e il piccolo Accio ritorna a casa dal seminario dopo aver capito che la vita da prete non gli appartiene. MA non gli appartengono più neanche il suo letto occupato dalla sorella, né tanto meno l’affetto di sua madre presa dal cocco di casa Manrico. La famiglia di Accio è una famiglia povera, fatta da una madre all’antica che crede che le donne saranno mantenute e possono andare al classico, e da un padre operaio. E’ una famiglia che non sa comunicare verbalmente, il contatto tra i vari membri del nucleo è tutto fisico.

La madre che bonariamente picchia Accio, gli scontri col fratello maggiore, le scazzottate, i pugni, il rincorrersi il loro modo di volersi bene, di appartenersi.

Ma Accio non si ritrova in questa sua realtà.

E segue così un venditore ambulante che lo porterà tra le fila fascista al contrario di suo fratello e di sua sorella comunisti. Ma Accio non si ritroverà neanche lì e passerà anche tra le fila comuniste per capire poi che gli ultimi resteranno tali per sempre finchè non si muoveranno da sé. Il film riflette un po’ la confusione di quegli anni, l’inconsapevolezza del momento storico che nelle province non si è mai manifestato realmente. Il film gioca sulla rivalità che c’è tra i due fratelli uno cocco di mamma l’altro no, uno amato dalle donne e l’altro no, uno sempre sicuro delle sue scelte l’altro un po’ zolla ballerina dietro alle proprie incertezze. Manrico amato da Francesca nonostante le sue sparizioni, Accio turbato dalla stessa Francesca che non prova nient’altro per lui che affetto fraterno.

Le riprese fatte quasi tutte con macchina a mano più che dare il senso di verità, esprimono secondo me il tratto nervoso e inquieto di Accio. Tutto il film è girato sui primi piani, quasi a tagliare fuori il campo esterno. Se siamo a Roma o a Torino o a Sabaudia lo capiamo solo dai dialoghi. Tutto resta intimo tra la macchina da presa e gli attori. Bellissima la scena in cui Accio da piccolo lo ritroviamo grande, tutta in un primo piano. Notevole la somiglianza tra il piccolo e bravissimo Accio adolescente ed Elio Germano l’Accio adulto. Hanno la stessa gestualità, non si nota lo scambio di attori, meraviglioso.

Un buon film, senza tante pretese che tiene alta l’attenzione. Superba la Finocchiaro e bravo Scamarcio che però a me non pare bucare lo schermo.

E come dicevo alle falde del nuovo partito democratico c’erano una volta dei ragazzi che lottavano e che poi appesantiti dalle poltrone, non si sono mai più alzati e ci sono invecchiati dentro.