La fortuna di scrivere sta tutta nel poter dire quello che si vuole, senza l’asfissiante pressione di sguardi ascoltanti.
Il fatto che poi non esistano sguardi capaci di ascoltare, ma solo di guardare, è dimostrato da molti studi che quantificano in miseri venti minuti, la durata dell’attenzione umana.
Quindi sforzatevi pure di parlare, organizzare e demagogizzare, tanto il tutto si esaurirà in venti stupidi minuti.
Immagino che ci siano delle eccezioni, sia in positivo (non ho esempi da portare), sia in negativo (in questo caso potrei parlare di un qualsiasi comizio di Pontida e domandarmi come si possa pendere per più di cinque minuti da delle labbra che emettono rutti), però la sostanza è che la nostra supremazia intellettuale, rispetto alle altre specie, si esaurisce nelle brevi distanze.
Detto questo, con la sicurezza che ormai la vostra attenzione si sia canalizzata su altri lidi, posso tranquillamente finire questo articolo.
Non ho girato molte città in vita mia, la mia conoscenza si esaurisce nella banalità di qualche capitale europea e nella dialettale estraneità di alcune regioni italiane.
Ero stato anche a Madrid, per una settimana, uno di quei viaggi all’insegna dell’ignoranza, durante i quali ci si trova a girare per delle strade delle quali si ignora la storia.
Madrid poi è strana, è una città che richiede un lungo corteggiamento, non la puoi consumare alla prima notte, ha in dote la magia e la nasconde dietro la conoscenza.
Avevo sempre pensato che fosse l’abitudine ad uccidere ogni curiosità, il gusto del non conosciuto che regala voglia di scoprire, ma chi non conosce, rimane stupito dall’apparenza, da una buccia che troppe volte è agghindata per colpire lo sprovveduto turista.
La maledizione dello splendore, come la Firenze natalizia, che regala meraviglia, ma è così magnifica da non richiedere approfondimenti, come una bella donna, che è sufficiente solo per il fatto di essere bella.
Madrid ha la buccia bozzoluta e terrosa di una patata, ci sono alcune eccezioni, ma nel complesso non fa dell’estetica un suo vanto. Ed è qui la magia, il paradosso di abituarsi a delle strade e finalmente coglierne l’incanto.