Incontro Mike D (vero nome di Micheal Diamond) dei Beastie Boys in un lussuoso albergo del centro di Firenze. Il classico posto che, se non ti “imbucano” in qualche modo, da fiorentino, non vedrai mai.
Mike è a Firenze per assistere la moglie, Tamra Davis, regista di fama mondiale, giunta nel capoluogo toscano per presentare, all’interno della rassegna “Lo schermo dell’arte”, il suo ultimo film “Basquiat: the radiant child”.
Il docu-film, una serie di interviste all’artista risalenti all 85 fatte dalla stessa Davis, è rimasto nel famigerato cassetto per ben vent’anni per esser poi presentato in anteprima lo scorso anno al Sundance Festival e quest’anno a Firenze. (o meglio lo scorso, visto che l’intervista è del novembre 2010).
E’ in questo contesto che si incrociano le vite di Mike D e di Tamra Davis, quelle dei Beastie Boys con quella di Basquiat. Tutti si muovono all’interno di questo fatiscente calderone artistico che è la New York dei primi anni ’80, una città che Mike D descrive molto bene durante la nostra chiacchierata. Basquiat è già un artista in rampa di lancio, alle prese con le glorie e le pene del successo, i Beastie Boys sono ancora un trio di giovani adolescenti alla ricercà di un’identità, sia artistica che musicale. Affascinati dal punk rock, l’anno seguente daranno alle stampe il loro primo disco, nonché primo capolavoro, “Licensed to ill”.
La colonna sonora di Basquiat: the radiant child, manco a dirlo, avrebbe dovuta esser realizzata dai Beastie Boys, ma uno di loro, Adam Yauch, ha avuto un cancro alla gola e per questo è rimasto fermo ai box. Ecco quindi che negli ending credits del film compaiono solo i nomi degli altri due compagni di ventura ovvero Mike D ed Adam Horowitz. Ma non disperate fan del trio di New York: Yauch ha superato felicemente il malore ed il prossimo disco (con tanto di tour mondiale) è già stato annunciato! Il titolo? Leggetelo nell’intervista!
Dopo l’incontro con Tamra Davis (a breve, su questi schermi) Mike mi raggiunge nell’ampio salone dell’albergo. E’ di buon umore. Tiro fuori il mio fedele Ipod viola col quale intervisto chiunque, da Dj Premier al lampredottaro all’angolo. Mike lo guarda incuriosito.
E’ un registratore. Così evito di farmi chiamare dai tuoi avvocati.
Ne ho uno anch’io – dice scherzando – così ti controllo.
Stavo parlando con tua moglie della New York degli anni ’80, quella raccontata nel film “Basquiat the radiant child”, la stessa in cui i Beastie Boys hanno mosso i primi passi. Me la immagino stimolante ma decadente, piena di vita ma scassata dal crack. Visto che le hai anche dedicato un disco (“To the 5 boroughs”) puoi dirmi come, secondo te, è cambiata la città in questi anni?
Beh è cambiata… radicalmente. Parlando dall 82-83, dal periodo di Basquiat, quindi, in poi. Ma la cosa è che… non è solo la questione della droga, quella c’era allora e c’è anche adesso. In ogni grande città puoi trovare queste cose, credo che le droghe, comunque, siano cambiate! (ride) La cosa è che, New York, all’epoca, era un posto come nessun altro al mondo. Era unico. Tutti potevano fare tutto. Volevi fare l’artista, volevi fare il musicista anche se non sapevi fare musica, beh allora potevi venire a farlo a New York. E con questo mi riferisco soprattutto a quelli che stavano in provincia, magari in un piccolo paesino, e facevano i pittori o chissà cosa e a casa loro erano considerati dei freak. Se eri uno di questi eri un emarginato. Quindi la cosa migliore era andare a New York per fare l’emarginato insieme ad un altro mezzo milione di emarginati. E a quel punto non lo eri più, quella diventava la tua comunità nonché il pensiero dominante. Anche le condizioni economiche erano diverse e più favorevoli. A quei tempi potevi vivere downtown, vicino ai club o alle gallerie d’arte, vicino insomma ai posti dove la cultura si stava facendo. Posti come il Club57…beh insomma potevi permetterti di vivere lì, sopravvivevere lì diciamo, in qualche modo. Al giorno d’oggi, se dici ai tuoi genitori “ok me ne vado a New York” beh ti conviene avere un bel piano. E due lavori. E ci sta che non ti basti. Prima non ti serviva nemmeno un piano… bastava andare lì e cominciare a fare roba. Qualcosa. Arte, musica, qualcosa. E questo è quello che permise alla scena di svilupparsi in quel modo, perchè tutti si ispiravano a vicenda. Le cose inoltre erano molto più mischiate fra loro, non è come adesso che se vuoi sentire la dance devi andare in quel posto mentre se vuoi sentire il jazz devi andare in quell’altro… anche i dj da club suonavano di tutto. Quando l’hip hop arrivò in vinile si misero a suonare quello ma suonavano anche la roba inglese come Slits o Gang of Four o anche quella americana. Non c’erano schemi mentali del tipo “questo disco qui non si può suonare”. Tutto era molto più contaminato.
Ok.
Insomma le cose sono cambiate. New York è sempre importante ma non lo è più così tanto.
Bene, torniamo al film. Con che idea vi siete messi a lavorare, tu e Adam Horowitz, sulla colonna sonora di Basquiat the radiant child?
Ho cominciato con una specie di playlist dell’epoca, nel periodo raccontato nel film io avevo qualcosa come 13 o 14 anni e già me ne andavo nei club a cercar soldi. Ero probabilmente troppo giovane per stare in quei posti! (risate!) Insomma abbiamo fatto un po’ di jam su quella roba, perchè sai esiste della musica che ti segna. Voglio dire, io continuo ad ascoltare nuova musica, e anche ad apprezzarla, ma questa musica che hai sentito in quel determinato momento della tua vita ti accompagnerà per sempre no? Sarà musica sempre importante per te, e questo è quello che la musica di quell’epoca rappresenta per me. Per cui, con la mia band, ci siamo messi a jammare…
Si, ho sentito parlare della tua band…
Si, immagino! (ride) Comunque, sai, quel periodo in cui non fai altro che comprare dischi, quel periodo in cui non riesci a consumare musica abbastanza in fretta? Non è detto che sia musica speciale per tutti, ma lo è per me.
E voi facevate punk a quell’epoca giusto?
Si anche. Non facevamo altro che andare nei club a ballare o a sentire qualsiasi gruppo fosse in città. Come ti dicevo, le cose erano molto mischiate. E’ questo il periodo in cui nasce l’hip hop, il periodo in cui magari arrivava Bambaataa a mettere i dischi, oppure Jazzy Jay. E mischiavano di tutto. Bambaataa era il migliore in questo, mixava assieme due dischi che tu non avresti mai pensato potessero andare assieme, così bene! Era magia pura. Comunque, alcuni dei pezzi che scriviamo con Adam cominciano a finire sulla soundtrack del film però Tamra era ancora alla ricerca di questo o quel particolare pezzo per questa o quella particolare scena. E la cosa si è rivelata particolarmente divertente per noi perchè ci siamo messi a suonare come se fossimo una band dell’ 82. Dovevamo fingere una cosa del genere.
Quindi la colonna sonora non suona come la roba dei Beastie Boys.
Ecco, è un po’ come il percorso inverso. Abbiamo cercato di ricreare il suono delle band che poi hanno influenzato il suono dei Beastie Boys. Ed è tutto strumentale.
Ok quindi niente parti cantate o rappate?
No.
Bene. Cosa mi dici invece dei Beastie Boys? Tua moglie mi ha detto che ieri stavate girando un video…
Si. Sono venuto via prima per esser qui oggi, ma dovrebbe esser pronto. E poi stiamo finendo il nostro disco. Che uscirà, credo, a metà marzo.
Quindi il video sarà il primo singolo del nuovo disco?
Si.
Ok. E puoi dirmi anche il titolo del pezzo?
Il titolo del pezzo è “Make some noise”.
Anche il disco ha già un titolo?
Si. Si chiamerà “The hot sauce committee part 2”
Lo guardo stranito.
Abbiamo già depositato il titolo quindi vai tranquillo.
In questo momento, nella conversazione, si inserisce la moglie Tamra Davis che, giustamente, domanda:
perchè parte 2?
Giusto. Che è successo alla parte uno?
La parte uno è in ritardo. E’ sommersa di ritardi. E visto che non volevamo farvi aspettare per la parte due, ecco la parte due.
Verrete in tour anche in Italia?
Lo spero!
Che l’ultima volta che siete stati qua credo fosse il 2004… .
Si è passato un po’ di tempo..
Si, decisamente troppo!
Hai ragione.
Ok, grazie per il tuo tempo, è stato un onore.
Grazie a voi.
A questo punto, caccio fuori i miei vinili e chiedo a Mike quale sia, nella sua discografia, il suo album preferito.
Mike pensa di stopparmi con la classica risposta: “non ne ho uno preferito.”
Ma io non demordo.
Sapevo che mi avresti risposto una cosa del genere.
Il fatto è che non ascolto la nostra roba vecchia. Quando abbiam finito un disco non lo ascolto più. Penso al prossimo.
Ok, ma avrai pensato qualche volta qualcosa come “oh mio dio questo fa schifo!” oppure “oh mio dio questo è fantastico!
Risate in sala.
Beh no, non proprio così. Ti rircordi sempre quello che è meno bello, mai quello che è bello. Mi capita magari di pensare che una canzone faccia schifo e di domandarmi “perchè mai l’abbiamo messa nel disco? Quella canzone fa schifo.” Ecco una cosa così, pero è difficile che ci troviamo a fare una conversazione del tipo “wow, questa canzone spacca, o cose così”. Non so. Forse siamo solo noi così.
Davvero non lo fate!? Allora lo faccio io.
Il primo disco che tiro fuori è “Hello nasty” che personalmente adoro. “Questo è grandioso”, dico.
Si…
Il secondo è “To the 5 boroughs” che invece non mi ha mai conquistato del tutto. Provo a palesare a Mike i miei dubbi. “Questo è così così.” E lui, da artista maturo, accetta il commento.
In effetti siamo stati criticati per questo.
Il resto della conversazione, me ne rendo conto solo adesso, non ha molto senso. Adoro tutta la restante discografia dei Beastie Boys a livello maniacale. Passano fra le nostre mani i vinili di “Check your head” o di “Ill Communication”, ma anche “Licensed to ill” o l’EP di “Root down”. tutte cose a cinque stelle.
La capacità critica vacilla.
Provo a ripiegare.
A proposito, come sta Adam? Si è ripreso dal cancro?
Si, sta molto meglio. Tanto che è già tornato a pieno regime con noi. Sai c’è questo tizio francese con cui stiamo lavorando al disco, Philippe Zdar che sta in un gruppo chiamato “Cassius”…
Certo, Cassius! Quindi il disco suonerà in quel modo!?!?
No,no!
Ti piace il french touch?
Si, ma il nostro disco non suonerà in quel modo. Non farti un’impressione sbagliata…
Quindi lavorerete ancora con Mario Caldato Jr (lo storico produttore dei Beastie Boys)
Si. Mario è incredibile.
Cosa stai ascoltando? Tua moglie dice che sei in fissa con la roba brasiliana…
Si, si, verissimo. Gilberto Gil, Jorge Ben, conosci gli Os Novos Baianos? Hanno fatto tipo due dischi, fanno tropicalia…
Mmm… no. E gli Os Mutantes li conosci?
www.beastieboys.com c’è il mio pezzo su di loro, ho postato anche un video.
Gli Os Mutantes! Grandiosi! Ecco stavo appunto per dirti che somigliano molto agli Os Mutantes, molto psichedelici. Quando ci fu la dittatura e tutti gli altri, tipo Gil, dovettero rifugiarsi in Europa, loro se ne andarono in campagna in una comune. Quindi sono super psichedelici. Se vai sul nostro blog, dovrai tornare indietro di qualche pagina ma, insomma, se vai sul nostro blog,Ascolti sempre l’hip hop?
Si, no, più o meno. Ho il disco nuovo di Kanye (West) l’hai sentito?
No.
Hai ragione, probabilmente non è ancora uscito, comunque io ne ho avuto un’ anteprima, non è male. Però adesso il rap in America, sai, è molto pop/dance, mi riesce difficile ascoltarlo… anche ascoltare le radio al giorno d’oggi… insomma l’hip hop di oggi… come posso dire… ci siamo capiti no?
Eccome.
Ma ci sono sempre persone che fan cose ganze. Tipo il disco di Kanye, appunto, non mi sarei mai aspettato che mi sarebbe piaciuto. Invece ci sono un po’ di canzoni fiche. Oppure Jay-Z.
Nell’underground ti piace qualcuno? Magari qualcuno da New York?
Gli ho detto che ci è piaciuto il disco dei Black Keys.
Si, ma quello non è hip hop. Mi piace Supernatural.
Ok, grazie nuovamente per la disponibilità. Davvero questa volta.
Grazie a te.
Ci vediamo al concerto dei Beastie Boys. Cominciate a cercare il biglietto.
Le foto sono di Emanuela Nuvoli.
Cliccate qui per andare a vedere tutte le immagini fatte durante l’intervista.