Regia di Cristina Comencini
Produzione Italia 2002
Finalmente un film firmato da donne. E’ donna la regista e sono donne le bravissime sceneggiatrici. Ma non è solo un film per le donne.
Il più bel giorno della mia vita ripercorre i giorni prima della comunione della piccola Chiara. Il giorno della prima comunione sarà per lei bellissimo, sarà la protagonista col suo vestito speciale, ma quando prega Gesù affinché la spada della verità cada sulla sua famiglia, qualcosa succede e la verità piomba come un macigno su tutti. La famiglia di Chiara è una famiglia borghese: la nonna Irene dalla grande casa col giardino alle porte di Roma dove si pranza insieme la domenica, la mamma divisa tra la possibilità di un nuovo amore e la trappola del suo matrimonio finito; lo zio avvocato e gay, la zia nevrotica vedova da tanti anni.
La Comencini è bravissima in questo film corale e dalle molteplici storie, sicura nella regia, delicato senza toni drammatici, intenso vero emozionante.
Il film gioca molto sul legame inscindibile tra corpi e sentimenti. I corpi tante volte repressi come vuole ogni famiglia borghese benpensante, Claudio che non riesce a confessare la sua omosessualità, Rita che ha nascosto da giovane un aborto, Sara che non riesce più a mettersi in gioco, Irene che non ha mai compreso che amare significava abbandonarsi completamente nella braccia dell’altro. La famiglia a volte nido sicuro in cui la memoria si rifugia come fa Irene quando riguarda i filmini del passato, ma a volte anche macigno che opprime e modifica anche la nostra capacità di essere realmente noi stessi.
Chiara diviene così piccola spettatrice di ciò che accade intorno a lei, e filma tutto addirittura nel giorno che doveva essere il più bello della sua vita, regalandoci così la visione con i suoi occhi di ciò che accade intorno alla scena.
Spettacolare il montaggio alternato della scena di sesso della piccola Silvio con il suo Cammello, frettolosa, tenera, imbarazzata e goffa, con lei che si vergogna della sua nudità come in tutte le prime volte che si rispettino, e la scena di perdizione dei sensi di Rita e del suo amante, dove al posto dell’imbarazzo dei corpi c’è la sensualità della scoperta di questi, il ritmo lento del dare e del ricevere, la consapevolezza dell’atto, la sensualità del cercarsi.
Bello anche l’intreccio delle tante storie che non affatica e non appesantisce il ritmo, ma che scorre toccando le corde dell’emozione per ciò che potrebbe essere quando ci si dimentica di essere vivi.